Festa del Santuario

Mons. Benedetto Tuzia

 

L’amore di Dio è l’amore di un padre e di una madre

 

Riproponiamo uno stralcio dell’omelia di Mons. Benedetto Tuzia, Vescovo di Orvieto-Todi

 

La liturgia con il brano del Profeta Osea (11,1.3-4.8-9) ci ha introdotto in quella che potrebbe essere la descrizione che la Parola di Dio dà dell’Amore Misericordioso: l’amore di Dio è l’amore di un padre e di una madre. Dio stesso parla in questi termini, usa questo linguaggio, un linguaggio molto bello che assume tutte le modulazioni e direi i movimenti di questo amore.
Il Profeta diceva: io l’ho amato questo figlio, gli ho insegnato a camminare, l’ho tenuto per mano, anzi, quando era ancora più piccolo, lo sollevavo alla mia guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare, il mio cuore si commuoveva dentro di me. L’Amore Misericordioso è descritto dalle bellissime immagini del Profeta Osea: è un amore forte, è un amore fedele, è un amore quasi viscerale, muove dalle viscere, da ciò che è dentro, da qualcosa che ti prende dentro, non soltanto nel cuore, nei sentimenti.

Poi però l’evangelista Giovanni (13,1-5.31-33°.34-35) ci ha ricondotto all’interno di una sala, forse uno dei luoghi più sacri. Gesù, in uno spazio piccolo come quello di una casa, di una sala delle nostre abitazioni, è insieme ai suoi discepoli nel particolare momento della vigilia della sua morte e apre il cuore, il suo cuore non ha più argini. Nei discorsi, negli atteggiamenti, nei comportamenti torna a sottolineare profondamente quello che noi chiamiamo l’Amore Misericordioso di Dio […]
Ecco, finalmente l’"ora" è giunta e Gesù, che è ripieno di tutta la potenza di Dio, fa una scelta: quella di inginocchiarsi davanti ai suoi amici e di lavare loro i piedi. Che stravolgimento, che cambio così forte della nostra idea di Dio. Noi siamo abituati a guardare a Dio in alto, ad alzare lo sguardo. Gesù ci riconduce a guardare un Dio che sta più in basso di noi. Noi siamo chiamati ad inginocchiarci davanti a questo Dio, a prostrarci. Qui abbiamo l’immagine di un Dio che si prostra ai nostri piedi. Gesù lo dice ai suoi discepoli: io sono Maestro in mezzo a voi, io sono il vostro Rabi. È un gesto molto bello, pieno di intimità. Ma qui non è il discepolo che lava i piedi al maestro ma è il Maestro che si inchina a lavarli al discepolo. […] Qualche esegeta nota che è un po’ uno scandalo che Giovanni non parli dell’Eucarestia; mentre tutti gli altri evangelisti si dilungano, lui non una parola. Inserisce, invece, questo gesto di Gesù, questa icona, che è una delle icone più sacre, quella della lavanda dei piedi. […]
Forse Gesù stesso si accorge che i discepoli non sanno più lavarsi reciprocamente i piedi, non sanno fare quel gesto che è un gesto di amore, un gesto di servizio, che è un gesto anche di umiltà, un gesto di dare la vita. Vedremo che tutti questi passaggi con cui l’evangelista Giovanni descrive il gesto che Gesù fa, sono gli stessi verbi che connotano l’Eucarestia.
Allora Giovanni è come se dicesse: riscopriamo quello che c’è sotto questo rito, questo gesto di dare la vita, partendo da un servizio, l’umile servizio che diventa il grande servizio di fare dono di se stessi a Dio, agli altri, ai fratelli. Forse per questo Giovanni ha taciuto. Non è un silenzio che dimentica i grandi passaggi e le grandi consegne di Gesù, ma è un silenzio quasi per richiamare: attenzione, non moltiplicate troppo il rito, non moltiplicate questi gesti eucaristici e arrivate a quello che c’è dentro: il dono della vostra vita. […]Il dono dell’Eucarestia è prendere la propria vita e dire: questo sono io, io mi faccio dono, io mi faccio dono a voi.
In questa pagina molto importante si vede la grandezza di Gesù, ci si accorge che Lui è il regista. Si parla di consegne, di tradere, di consegnarsi. Tradere è un verbo che ha il significato di tradire, e questa è la sera dei grandi tradimenti: del tradimento di Giuda ma anche del tradimento dei discepoli che durante quei momenti, hanno ancora motivo di stare a reclamare per sé i primi posti, sono ancora lì a fronteggiarsi per ottenere, per accaparrarsi il primo posto, mentre il loro Maestro ha fatto un gesto così grande e, soprattutto, sta per dare anche la sua vita.
Il tradimento non è solo il tradire Gesù e passarlo in mano ai suoi nemici […] c’è anche il consegnarsi di Gesù stesso. Questa stessa parola, sia in latino che in greco, è anche la consegna: Gesù è consegnato, ma Gesù si consegna. È Lui che dice:non siete voi a togliermi la vita, a derubarmi della vita, a sottrarmela, a fare un furto della mia vita, sono io che ve la do, io ne faccio dono. […] Solo un cuore pienamente libero, solo una persona che è consapevole di quello che fa, come Gesù, nel suo gesto di donarsi e di conse gnarsi acquista un valore altrettanto grande. Gesù, per la seconda volta chiede: avete visto cosa ho fatto? Io sono il Maestro, voi mi chiamate Maestro e Io però ho lavato i vostri piedi; vi ho dato l’esempio perché anche voi facciate così. E nell’Eucarestia: questo è il mio corpo, io lo do per voi, anche voi fate così; fate questo in memoria di me. Le due cose si uniscono, e il gesto che noi stiamo facendo è quel gesto. Direi che l’Eucarestia è il momento rituale, celebrativo di quell’Amore Misericordioso: quell’amore di Dio che teneva in le braccia suo figlio, Israele, quell’amore di Gesù che fa dono di se stesso, della sua vita e ora noi lo viviamo nell’Eucarestia. È bello che tutto questo avviene in una terra, in una Chiesa territoriale, la nostra Diocesi, che ha nel cuore l’Eucarestia. Se c’è una cosa preziosa per noi è l’Eucarestia. I nostri padri, in un evento prodigioso, in risposta anche a un momento di difficoltà di fede di un sacerdote, hanno costruito delle bellezze. […] Quella bellezza esterna sta lì a custodire una bellezza ancora più grande, è la bellezza dell’Eucarestia. Tutto questo è nella nostra Diocesi; di tutto questo ci prepariamo a fare memoria, 750 anni dopo: sarà un momento di grazia per noi!

Io credo che M. Speranza si sia soffermata su queste pagine, sull’Eucarestia, cioè che abbia trascorso chissà quanti momenti di contemplazione, di immersione in questo amore che poi lei traduce: questo è l’Amore Misericordioso di Dio, il farsi totalmente, il mettersi nelle nostre mani per trasformare convertire […] le nostre, rendendole capaci di donare, accogliere, di benedire, accarezzare, di stringere con tenerezza.
Credo che M. Speranza sia arrivata a quelle altezze di contemplazione perché si è sprofondata in questo mistero e oggi anche noi possiamo parlare dell’Amore Misericordioso.

Chiudo con un passaggio che mi sembra facesse parte di quell’eredità che ha voluto lasciare ai suoi figli, è il brano dell’apostolo Paolo che diceva ai Corinzi (1Cor 12,31-13,13): siete una comunità molto bella, una comunità che rifulge di carismi, di doni, avete capacità d’intuizione e di approfondimenti teologici, avete conoscenze… Ma se voi avete tutto questo e non avete l’amore, […] non siete nulla, siete privati anche dell’esistenza, siete i nulla-esistenti, non solo depauperati, , ma siete niente. Capite la grandezza di quest’affermazione di Paolo? Lui stesso alla fine dice: ora rimangono queste tre cose, la fede, la speranza e la carità, ma la più grande di tutte è la carità.
Madre Speranza ha lasciato in testamento ai suoi figli e alle sue figlie tutto questo: il Signore ha dato a me questa eredità, ma sia la vostra eredità: una fede viva, una speranza certa, una carità ardente.
Una fede viva, cioè una fede che vede circolare all’interno questa linfa in tutte le ramificazioni, perché porti fecondità.
Una speranza, che lei aveva già nel suo nome, un nome che è una identità. Una speranza ferma, certa, non le piccole speranze di cui noi facciamo collezione, che cadono una dietro l’altra come foglie essiccate.
Un amore ardente, come una fiaccola che illumini, che scaldi.
Queste tre cose sono le più grandi, ma la più grande di tutte, quella che resta per sempre, è solo la carità. La fede, infatti, non entra con noi, rimarrà alle porte del Regno, perché quando c’è l’adempimento, davanti alla visione, non avremmo più bisogno di credere. Non ci sarà la speranza perché quelle cose che noi abbiamo sperato e desiderato ora si realizzano. Ma la carità rimane perché non c’è niente che viene dopo l’amore: l’amore rimane per sempre, succede a se stesso.
Eccolo il canto all’Amore di questa serva di Dio, la venerabile M. Speranza; a quell’Amore che non viene meno, che viene dall’alto e si riversa dall’alto su di noi. Se siamo accoglienti, questo amore ci investirà in pieno e anche in noi rifulgerà.

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ultimo aggiornamento 27 ottobre, 2012