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P. Gabriele Rossi fam

Madre Speranza di Gesù

 

Questa serie di articoli per evidenziare, in un modo assolutamente essenziale e schematico, quanto di più esemplare e di più importante Madre Speranza ha vissuto e ha realizzato. Vengono offerti brevi spunti di riflessione, tratti soprattutto dai suoi insegnamenti scritti e orali e dalle diverse testimonianze del processo di canonizzazione.

 

 

3. Lo spirito di mortificazione e di espiazione

 

«Io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi;
e do compimento a ciò che – dei patimenti
di Cristo – ancora manca nella mia carne,
a favore del suo corpo che è la Chiesa»
(Col 1,24)

Pur avendo un rapporto del tutto singolare con il Signore, Madre Speranza ha praticato la virtù della castità non solo in senso affettivo, ma anche in senso penitenziale. Le due dimensioni infatti non si possono separare.

La esemplarità di questa sua virtù è determinata, oltre che dai toni poetici e sponsali con cui l’ha vissuta e insegnata, anche e soprattutto dal modo con cui l’ha custodita e rafforzata sul piano strettamente corporale.

Si pensi ad esempio: alla sua compostezza nel vestire e nel trattare; alla sua temperanza nel mangiare e nel dormire; e alla continua ricerca di penitenze ulteriori per mezzo di cilici e discipline. A tutto ciò si aggiunga poi la partecipazione periodica, sul piano mistico, ai molteplici patimenti del Signore (sudorazione, flagellazione, coronazione, crocifissione e agonia): patimenti resi visibili e durevoli soprattutto per mezzo delle stimmate.

Questo impegno ascetico e mortificativo (che come qualsiasi altro aspetto della sua vita andava soggetto al controllo del suo Direttore spirituale) era per Madre Speranza il modo più efficace e più necessario: per moderare i molteplici appetiti disordinati che sono propri della natura umana a causa del peccato delle origini; per conformarsi più profondamente al Signore Gesù che nel suo stesso Cuore ha fuso in modo indissolubile l’amore e il dolore; e per riparare le innumerevoli offese che si arrecano da ogni parte alla Legge santa di Dio proprio per mezzo dei cinque sensi corporali.

Tra i frutti concreti di questa condotta esigentissima, possiamo annoverare anche il fatto che persone di ogni stato e condizione ricorressero a lei – specie durante gli anni di Collevalenza – per chiedere consigli e preghiere al fine di riparare situazioni attinenti alla sfera affettiva e passionale.

 

3a. L’amore sponsale verso il Signore

«A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro!...
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora»
(Mt 25,6.13)

Anche grazie alle sue esperienze mistiche, Madre Speranza ha compreso chiaramente che la consacrazione religiosa costituisce un vero patto sponsale con il Signore: un patto che possiede un sapore biblico; che coinvolge la persona tutta intera; che esige slancio amoroso e immolazione permanente; e che si apre poi ad una maternità (o paternità) di natura spirituale nei confronti del prossimo.

«Gesù mio, tienimi vicino, molto vicino a Te... Fa’ del mio cuore la tua dimora perpetua; e non permettere che vi entri giammai l’amore per nessuna creatura... Illumina i miei sensi con la luce della tua carità; e sii solo Tu a incamminarmi e istruirmi nei sentimenti più intimi del tuo Cuore. Degnati di avvolgere il mio spirito nel tuo così fortemente, che io rimanga sepolta in Te e così mi veda libera da me stessa. E vestimi della purezza della tua innocentissima vita». 1

«Padre mio, come vorrei spiegare quella delizia d’amore che si sente nell’anima al contatto con il Buon Gesù! Però lo vedo impossibile, perché non si tratta di un movimento delle labbra, ma di un inno del cuore. Non è un semplice rumore di parole, ma salti di felicità, dove – secondo Lui – si uniscono non le voci, ma le volontà. Egli mi dice inoltre che la delizia dell’amore mai si potrà spiegare, né mai si potrà udire al di fuori di sé, perché è una melodia percepita solo da chi la canta e da colui al quale viene cantata. È – secondo Lui – un canto nuziale che esprime i casti e deliziosi abbracci di due anime, con l’unione dei sentimenti e la mutua corrispondenza degli affetti. Che forte è tutto ciò, Padre mio! E quanta felicità si incontra in questo mistero! Amiamo il nostro Dio con tutta l’anima, affinché il nostro Dio si consegni alla nostra anima con grande veemenza!». 2

«Figlie mie, chi potrà mai spiegare la dolce intimità, l’espressiva tenerezza e l’ardente carità che unisce l’anima casta con il suo Dio? "Vieni – le dice Gesù –, ti porrò l’anello dell’alleanza, ti coronerò di onore, ti rivestirò di gloria e ti farò gioire delle mie comunicazioni ineffabili di pace e di consolazione». 3

«Figlie mie, la verginità consacrata possiede il merito e l’eccellenza del martirio. Con essa noi offriamo in sacrificio al Buon Gesù non solo il corpo ma anche il cuore. L’anima che sceglie per sempre questa condizione di vita dice al suo Dio: "Tu, Signore, sei il mio tesoro; in Te ho posto il mio amore e Tu mi basti; non ho bisogno d’altro per appagare il mio cuore"... La persona che sceglie Gesù come Sposo non è padrona di offrire il proprio affetto a nessuna creatura terrena, dato che deve vivere tutta per Colui che è già tutto per lei. Così essa è martire dell’Amore Divino; è ostia viva e gradita agli occhi del suo Dio». 4

«Teniamo presente che il cuore è la fonte degli affetti spontanei, ma la volontà è la fonte degli affetti deliberati. Ora, gli uni e gli altri debbono essere purificati nel fuoco della carità, sapendo che chi dice carità dice amore, ma chi dice amore non sempre dice carità. Noi non dobbiamo né possiamo amare il prossimo per noi stessi, perché ciò sarebbe un amore egoista; e neppure per se stesso; dobbiamo invece amarlo nella misura in cui ci conduce alla gloria di Gesù». 5

 

3b. Lo spirito di mortificazione

«Tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù, perché non succeda
che, dopo aver predicato agli altri, venga io stesso squalificato»
(1 Cor 9,27)

Ma nell’ambito della sua consacrazione sponsale verso il Signore, Madre Speranza ha anche condotto una lotta a dir poco severa nei confronti della sua dimensione corporea e psichica: mortificandosi quotidianamente nelle forme più ordinarie e in quelle più straordinarie; e arrivando a dominare in modo mirabile – oltre che i sensi – anche il carattere, le emozioni, le parole e i comportamenti.

«Stiano attenti i Religiosi a non ingannarsi dicendo che, in fondo, la perfezione consiste nella purezza interiore del cuore; poiché, se questo è vero, è altrettanto vero che la purezza interiore non la si ottiene senza la mortificazione dei sensi e il controllo del corpo, atteggiamenti che fanno da riparo alla purezza interiore: un po’ come la frutta che non arriva a maturazione senza la buccia». 6

«Il non mortificarsi è più faticoso che il mortificarsi, dato che per mezzo della mortificazione si sottomette l’istinto alla ragione e alla volontà e queste al nostro Dio... La mortificazione va accompagnata dall’orazione: perché la prima senza la seconda cade nella superbia; e la seconda senza la prima non è costante... I mezzi per praticare la mortificazione sono: 1) passivi: accettando tutte le occasioni che ci si presentano, senza cercarle; 2) attivi: cercando tutte le occasioni possibili, nel rispetto della Legge divina e delle nostre Costituzioni». 7

«Alcune mortificazioni sono per noi molto necessarie non soltanto per avanzare nella perfezione, ma anche per raggiungere la salvezza, dato che senza di loro ci esponiamo a cadere in peccato mortale. Non ci dimentichiamo che in noi esiste una lotta incessante; e che non possiamo mantenerci fedeli al Signore se non rinunciamo all’amore disordinato verso noi stessi, verso gli onori e verso i piaceri. Se vogliamo raggiungere la perfezione che il Buon Gesù desidera da noi, dobbiamo abbracciare la croce; e reprimere il desiderio degli onori per mezzo dell’ umiltà e il desiderio dei piaceri per mezzo della mortificazione o penitenza». 8

«Se vogliamo veramente arrivare al grado di santità che il Signore ci chiede, dobbiamo castigare il nostro corpo e i nostri sensi senza alcuna compassione. Consideriamo infatti che un corpo ben mortificato è un servitore molto utile; un corpo non mortificato invece è un nemico molto pericoloso, che tende sempre ad asservire lo spirito e non viceversa. E il pericolo maggiore è che esso sta con noi sempre e ovunque; e che i suoi sensi sono altrettante porte aperte...». 9

«La Madre non era per niente affatto scrupolosa e ci diceva le cose con estrema chiarezza; però era anche personalmente casta negli sguardi, nelle parole e in tutto il suo comportamento. Nonostante la sua grande virtù, faceva uso di tante penitenze corporali, al punto che il suo corpo era completamente rovinato... Lei faceva uso continuo di cilici e discipline, che fabbricava da se stessa». 10

«Un giorno, vedendo la Madre camminare a fatica (mentre era) appoggiata alla mia mano, le domandai se soffrisse molto. E lei mi rispose: "Questo corpo – di mio uso – è capitato male con me, figlio mio"». 11

3c. Lo spirito di espiazione

«"Lungi da te, o Signore, il far morire il giusto insieme con l’empio".
"Se troverò dei giusti, perdonerò a tutta la città"»
(cf. Gen 18,20-33)

Madre Speranza ha accettato e ha persino ricercato le diverse sofferenze fisiche e morali, non solo per la sua purificazione strettamente personale – ciò è ovvio –, ma anche e soprattutto per la sua assimilazione alla Croce del Signore e per la riparazione dei peccati altrui. E una simile funzione espiatoria e vittimale si è diretta in particolare a beneficio delle Anime consacrate e dei Ministri sacri.

«Dobbiamo essere persuasi che l’amore verso il nostro Dio e il desiderio della salvezza delle anime fanno sì che l’anima religiosa si senta felice soltanto nella sofferenza e nella mortificazione, arrivando così non solo ad amare la croce, ma a desiderarla con vera ansia, perché in essa incontra vere consolazioni spirituali. A questa anima nulla le sembra troppo duro, dato che l’amore le fa pensare con frequenza alle privazioni e alle sofferenze del suo Divino Maestro». 12

«Per mezzo della Croce, il Buon Gesù salvò il mondo; e per mezzo della croce anche noi dobbiamo cooperare con Lui per la santificazione nostra e per quella del nostro prossimo. Certamente che la sofferenza è dura; però non è più così quando contempliamo il Buon Gesù che cammina davanti a noi...». 13

«Il fare penitenza è un atto di carità verso noi stessi e verso il nostro prossimo, dato che le nostre opere espiatorie sono utili anche per gli altri. Pertanto: Non ci muoverà la carità a fare penitenza non solo per noi stessi, ma anche per i nostri fratelli, specialmente per le Anime consacrate al Signore? Non sarà questo il mezzo migliore per ottenere la loro conversione o la loro perseveranza? E chi più di noi è obbligato ad amare il prossimo come noi stessi, con la stessa carità del Buon Gesù? Nessuno più di noi è obbligato a riparare i peccati del prossimo, specialmente dei poveri Sacerdoti del mondo intero che hanno avuto la disgrazia di offendere il Signore e per quelli che tuttora lo stanno offendendo». 14

«Questa mattina, Figlie mie, io ho recitato una formula che non è certamente quella che si trova scritta. Ma io la rinnovo tre volte al giorno (al mattino, a mezzogiorno e alla sera); e sempre mi esce quella parte che voi non avete sentito, ma che io ho nel cuore, e cioè: "Dio e Signore mio, io Speranza di Gesù mi presento umilmente davanti alla tua Divina Maestà; e con piena deliberazione e perfetta determinazione della mia volontà, rinnovo il mio desiderio di osservare i tre voti di obbedienza, castità e povertà; e quello di vivere come vittima di espiazione per i peccati che commettono i Sacerdoti del mondo intero e le Anime a Te consacrate. Tu, Dio mio, aiutami ad essere fedele fino alla morte"». 15

«Per la Madre, la penitenza era il suo pane quotidiano: la compiva per scontare le sue colpe e quelle dei poveri peccatori... Non ho mai veduto la Madre ricusare le sofferenze; anzi, era lei stessa che le chiedeva al Signore: "Tu mi insegni, Gesù mio, che la sofferenza infiamma del tuo Amore e che il tuo Amore non si raggiunge senza la sofferenza: e Tu, Dio mio, me la negherai? Perdona una volta di più; e non mi dare più consolazioni ma sofferenze e persecuzioni. Fa’ che io ami fortemente la croce; e che senza di essa non possa vivere felice"». 16


1 MADRE SPERANZA ALHAMA, Diario, 13 novembre 1942 (n. 843-847).

2 MADRE SPERANZA ALHAMA, Diario, 29 dicembre 1953 (n. 1390-1391).

3 MADRE SPERANZA ALHAMA, Consigli pratici, anno 1941 (n. 190).

4 MADRE SPERANZA ALHAMA, Riflessioni, anno 1961 (n. 35-37).

5 MADRE SPERANZA ALHAMA, Consigli pratici, anno 1941 (n. 167).

6 MADRE SPERANZA ALHAMA, Libro delle Usanze per i FAM, anno 1954, parte 2,12.

7 MADRE SPERANZA ALHAMA, Libro delle Usanze per i FAM, anno 1954, parte 2,9.

8 MADRE SPERANZA ALHAMA, Bilancio mensile, anno 1955 (n. 123-125).

9 MADRE SPERANZA ALHAMA, Le mortificazioni, anno 1955 (n. 2-3).

10 SUOR ANNA MENDIOLA, Testimonianza processuale.

11 FRATEL ENNIO FIERRO, Testimonianza processuale.

12 MADRE SPERANZA ALHAMA, Bilancio mensile, anno 1955 (n. 176).

13 MADRE SPERANZA ALHAMA, Bilancio mensile, anno 1955 (n. 166).

14 MADRE SPERANZA ALHAMA, Le mortificazioni, anno 1955 (n. 36-37).

15 MADRE SPERANZA ALHAMA, Esortazioni, 25 maggio 1967 (n. 1068).

16 MADRE SAGRARIO ECHEVERRIA, Testimonianza processuale.

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ultimo aggiornamento 17 dicembre, 2012