Beatificazione di Madre Speranza

don Ruggero Ramella, sdfam

 

SDFAM: sogno e profezia di Madre Speranza

 

Definizioni previe

I Sacerdoti diocesani Figli dell’Amore misericordioso (SDFAM) sono l’originalissima intuizione di Madre Speranza di Gesù, una sorta di vita mista di vita religiosa e vita sacerdotale secolare in un unico soggetto. I SDFAM sono preti secolari, quindi, che appartengono pienamente, a titolo personale, mediante la professione dei voti religiosi, alla Congregazione FAM, come gli altri membri strettamente intesi "Religiosi", ma con la caratteristica di essere contemporaneamente parte, canonicamente prioritaria, del clero secolare diocesano, e in tale veste partecipano alla stessa missione a favore del clero, come avamposto FAM tra il clero secolare, per suscitare soprattutto un movimento di "fraternità sacerdotale" tra sacerdoti religiosi e diocesani in generale, e tra sacerdoti diocesani in specie.

Proprio a tale proposito, anche un religioso, per il periodo che lavora nel territorio di una diocesi, è parte del clero di quella stessa diocesi; la vita diocesana, infatti, nonché la spiritualità diocesana, comprendono tutte le componenti che vivono in una diocesi, in cui il vescovo presiede alla loro sintesi. Sarebbe una cosa riduttiva e impropria, per una diocesi, che i religiosi, come tutte le altre componenti ecclesiali sovradiocesane, vengano considerati qualcosa a parte dalla diocesi, dalla sua vita e dalla sua spiritualità, e solo momentaneamente affiancanti la diocesi stessa, perché quest’ultima, magari, è insufficiente a provvedere ai suoi bisogni concreti, specialmente per scarsità di personale. Invece una diocesi è tale per tutte le sue componenti, dove ognuna di queste apporta il suo contributo originale in base al proprio specifico, anche in mansioni non strettamente proprie, senza derogare per queste al proprio carisma, ma piuttosto approfittare provvidenzialmente della circostanza, sia pure dettata dalla necessità contingente, per arricchire di un nuovo dono dello Spirito quella diocesi: è questa collaborazione, anche dei religiosi, che costituisce la reale vita diocesana, come la reale spiritualità diocesana, non essendo una cosa distinta da tutte le altre sue componenti, che invece ne sarebbero parte integrante.

Questo dà fondamento all’unità che deve assolutamente esserci tra clero secolare e clero religioso di una diocesi, che porterebbe dei vantaggi mutui nella vita stessa dei due cleri, come la dimensione pastorale più marcata nella vita religiosa, e la vita spirituale più accentuata nella vita secolare, similmente l’appartenenza più reale a una chiesa locale nella vita religiosa, e la vita comunitaria più strutturata nella vita secolare, dando infine una rispondenza concreta dell’appartenenza reciproca e dell’unione tra i due cleri a causa della natura condivisa dell’Ordine sacro. È proprio da questa unità ontologica che ha origine la cura particolare del clero diocesano-secolare da parte dei FAM, e quello che questo clero religioso particolare può fare per aiutare il clero secolare-diocesano a crescere nella spiritualità sacerdotale in specie, ed in particolare nella fraternità sacerdotale, grande garanzia e custode di quella stessa spiritualità.

I Sacerdoti diocesani FAM sono, in certo modo, il frutto migliore e più evidente di questa cura dei FAM per il clero in generale, e secolare in specie, fino ad arrivare alla loro incorporazione, mediante la professione dei voti religiosi, alla stessa Congregazione FAM, facendoli anche partecipi a pieno della missione FAM, non solo usufruendone quindi per sé, mediante il metodo appunto della fraternità sacerdotale, della "misma familia", della "casa" fatta di calore e di accoglienza, ma diventandone a loro volta essi stessi attori strategici, in quanto appunto viventi a pieno la condizione di vita del clero secolare. In certo qual modo, dal punto di vista della missione, sono gli agenti di punta dei FAM, come già detto, che nei SDFAM trovano una delle modalità eccellenti dell’unione tra il clero secolare e quello religioso, a cui mirano per missione propria.

 

Nodi contemporanei

L’anelito alla cura e alla vita comune del clero, partono da molto lontano: S. Eusebio da Vercelli, S. Agostino d’Ippona…, fino al Vaticano II e i nostri giorni, con il soddisfacente risultato che mai come oggi c’è stato un clero così all’altezza per preparazione dottrinale e culturale, spiritualità e condotta di vita, specialmente raffrontato al passato. In generale è certamente così, ma ci sono sempre le eccezioni; anche la gente, fino a qualche decennio fa, era disposta a perdonare gli errori dei preti, specialmente per i disordini sessuali, meno per i soldi. Ma in questi ultimi tempi qualcosa è veramente cambiato, e in questo c’entrano molto i media.

Oggi i media mettono allo scoperto tutto, o quasi, più o meno lecitamente, e più o meno in buona fede: un tempo, in un contesto sociale più religioso i preti erano più difesi e più compresi nelle loro debolezze. Oggi la gente li difende di meno, parallelamente ad un precedente calo del sentimento religioso e a una diffusa amoralità nella società, specialmente riguardo la morale personale, quasi che l’ideale che i sacerdoti portano con la loro proposta di vita sia inviso perché irraggiungibile nei fatti dai più, e perciò la gente li condanna più facilmente perché essi stessi fanno vedere, con le condotte sbagliate di alcuni di loro, frantumando nella gente anche un sogno, che è irraggiungibile ciò che propongono, o pretendono di proporre con le parole e con le loro vite a volte incoerenti. Perciò sono più in difficoltà e più bisognosi di aiuto, malgrado che siano "migliori" che in passato. Non sono, infatti, peggiori dei loro predecessori, ma è piuttosto il contesto sociale che è profondamente cambiato, e perciò è cambiata in peggio la percezione dei loro errori, anche se in numero decisamente minore rispetto ad altre epoche.

Nell’attuale contesto sociale, e prima ancora dei loro errori, i sacerdoti sono diventati generalmente irrilevanti, ridotti, nel migliore dei casi, a operatori sociali, ma sono nel contempo anche avversati, invisi, e a volte odiati. Di conseguenza si sentono soli, incompresi, indifesi, fragili e deboli psicologicamente. Inoltre nella Chiesa, oggi, la confusione sul loro ruolo e sulla loro identità è generalizzata, anche per un giusto, ma a volte malinteso, avanzamento laicale, che per essere affermato sembra abbia bisogno, indebitamente, del ridimensionamento del Sacerdozio.

Ancora di più aumenta il bisogno di una maggiore cura quanto più si ha la percezione che, nello stesso ambito ecclesiastico, in quanto preti, vengono considerati più per la funzione che per le loro persone, che invece risultano un po’ trascurate. Sono così soli anche affettivamente (e la debolezza sessuale, a parte patologie specifiche, nasce proprio da questo, poiché il celibato, sia pure consacrato, non è castrazione dell’affettività), specialmente se non supportati da motivi fortemente spirituali e profondi; raramente un ideale astratto, sia pure sacro, fa vivere pienamente felici ed appagati, mentre ciò che fa vivere veramente felici è piuttosto l’amore a qualcuno: il celibato consacrato è la scelta di amore per Qualcuno, e non un qualcuno astratto o generico, sia pure l’essere umano in genere o l’Altissimo stesso, ma qualcuno in carne ed ossa, Gesù Cristo, appunto, e l’uomo reale e concreto che porta la sua immagine. Così, alla fine, i preti sono generalmente abbandonati a se stessi, malgrado le tante cose migliori rispetto a tanto passato, abbandonati nella spiritualità, nell’identità, nella percezione di sé, nell’elaborare i fallimenti del ministero, come l’esserne dimessi per l’età, fino a sperimentare, insieme a gran parte dei coetanei laici, una vecchiaia fatta di grande solitudine umana, e forse più grande ancora.

 

Soluzioni obbligate

Ecco la profezia di Madre Speranza: aver saputo prevedere questo futuro, oggi ormai presente, ed aver indicato la medicina, ossia la fraternità sacerdotale ed in particolare i SDFAM, per offrire una fraternità anzitutto a costoro, e, di conseguenza, offrirla, anche per mezzo loro, a tutti gli altri sacerdoti, per uno stile nuovo e comunitario del Sacerdozio.

Il Sacerdozio, infatti, è comunitario di suo, e qualora si riesca a farlo concretamente comunitario esso è di grande sostegno umano, e oggi ce n’è più bisogno di ieri; inoltre, il suo essere comunitario è una verità ontologica per via del Sacramento dell’Ordine che rende i sacerdoti confratelli, ossia fratelli due volte, la prima per via del Battesimo e la seconda per via appunto del Sacerdozio. Quest'ultimo è talmente grande, enorme, smisurato nella sua portata e nelle sue esigenze, e conseguenti responsabilità per chi ne è investito (stiamo parlando di incarnare nel tempo il Cristo Salvatore dell’uomo e di tutto l’universo, e scusate se è poco), che sembra una cosa abnorme che una siffatta realtà sia posta sulle fragili spalle di un povero uomo. La condivisione del Sacerdozio, sia ontologica che esistenziale, e di conseguenza nell’esercizio spicciolo del ministero, permette di portare gli uni i pesi degli altri, senza rimanere schiacciati dai propri, perché appunto non si è lasciati soli: così gli errori di uno sono riparati dalla virtù degli altri, e la linea della salvezza non è spezzata tragicamente da nessuno di loro, anzi, anche ciascuno di loro, con il proprio errore viene, suo malgrado, mantenuto in questa stessa linea di salvezza per la forza dei confratelli che, loro malgrado, lo portano perché egli non cada, e, qualora cadesse, essi stessi lo rialzano. E questo sia misteriosamente che nella vita concreta di tutti i giorni.

Madre Speranza aveva intravisto i nostri giorni e per questo ha fondato una Congregazione dedita in special modo al clero, tanto per riparare quanto per prevenire, accompagnare, far crescere e realizzare la vocazione sacerdotale nella vita dei singoli sacerdoti. Il Carisma dell’Amore misericordioso, in particolare per i SDFAM, oltre che esserne per primi fruitori, e quindi più all’altezza del loro gravissimo ministero, li fa particolarmente maturare nell’essere strumenti della Misericordia di Dio, dopo averla sperimentata sulla propria persona, per tutti e particolarmente per i sacerdoti, specialmente oggi, in un mondo confuso che, per non sentirsi colpevole, contemporaneamente al sentirsene comunque, rinuncia però, più o meno scientemente, alla Salvezza di Gesù.

I recenti scandali e l’immagine amplificata e quasi univoca che, purtroppo, i media danno dei sacerdoti cattolici (con il conseguente aggravamento dell’irrilevanza sociale che di fatto già vivono per altri motivi) richiedono evidentemente anche una necessaria e maggiore attenzione, nonché esiziale impegno, nel vaglio delle vocazioni al sacerdozio in specie, e particolarmente per una riforma dei seminari nella direzione di una maggiore fraternità sacerdotale e di una più insistita vita comunitaria nella vita sacerdotale, secondo una vasta gamma di modalità concrete, per formare e sostenere in questi principi i futuri sacerdoti fin dall’inizio del loro cammino vocazionale, facendone anzi un ulteriore ed importante criterio di discernimento e di verifica.

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ultimo aggiornamento 07 agosto, 2013