La vita, le opere e la beatificazione di Madre Speranza

P. Gabriele Rossi fam

 

 

MADRE SPERANZA ALHAMA VALERA

 

 

La vita, le opere e la beatificazione

(Seguito)

 

I fatti della guerra e del dopoguerra (1940-1948)

Ma questi di Roma furono anche gli anni della Seconda guerra mondiale, una guerra che arrivò a sconvolgere anche la vita delle Ancelle di via Casilina; come quando a più riprese, nell’estate del 1943 e nel gennaio del 1944, le bombe caddero a pochi metri da Villa Certosa, colpendo gravemente diverse persone che stavano per entrare nel rifugio sottostante: ma, per miracolo, la struttura rimase in piedi e i feriti gravi sperimentarono una medicazione a dir poco prodigiosa.

Erano quelli i mesi cruciali della caduta del Fascismo, in seguito al primo bombardamento sulla Capitale nel luglio del 1943; e dell’occupazione tedesca di Roma, iniziata con la firma dell’armistizio da parte dell’Italia nel settembre del 1943 e conclusasi con la liberazione ad opera degli Alleati nel giugno del 1944. La guerra sarebbe poi continuata al nord, fino all’aprile del 1945…

E in concomitanza con questi avvenimenti, ci fu per Madre Speranza una prova ulteriore che la ferì nell’intimo e la obbligò – per così dire – a perfezionare il suo abbandono incondizionato nelle mani della Divina Provvidenza: la morte improvvisa della Sig.na Maria Pilar Arratia, a Roma, nell’agosto del 1944.

Costei infatti l’aveva seguita dalla Spagna e stava condividendo con lei i contenuti e gli effetti delle diverse decisioni della Santa Sede. La sua collaborazione intelligente, generosa e devota era durata dodici anni (dal 1932 al 1944): ora il Signore la richiamava a sé, per darle la ricompensa che aveva meritato. Ma il dolore della separazione, frammisto alle lacrime, fu veramente grande.

E a poca distanza da questa dipartita, Madre Speranza comprese che era necessario avviare al più presto una mensa popolare gratuita, per sfamare tanta gente bisognosa e per compensare iniziative analoghe di matrice anticlericale.

Armata dunque di tanta fiducia nel Signore, lei pose in marcia con le sue Suore anche questo servizio, il quale iniziò nel novembre del 1944 e si protrasse non solo per i mesi di guerra, ma anche nel dopoguerra, finché fu necessario.

Fu questa una iniziativa con la quale si sperimentò di nuovo la grandezza della Divina Provvidenza e si scrissero pagine gloriose di carità evangelica.

 

La Casa generalizia e l’Anno Santo (1948-1950)

La permanenza a Villa Certosa durò fino al settembre del 1948, quando le Ancelle (con la loro Fondatrice, il loro Governo e le loro attività) si trasferirono nella nuova Casa generalizia, sempre sulla via Casilina. La nuova sede, realizzata su un terreno acquistato dalla Sig.na Maria Pilar Arratia nel maggio del 1940, era stata costruita solo a metà… Ma per il momento poteva anche bastare.

Giunti però nel maggio del 1949, insieme con un’altra rivelazione di cui si dirà più avanti, Madre Speranza comprese che quella struttura andava completata al più presto e senza avere i soldi in mano… L’impresa di costruzione sarebbe stata pagata in seguito, con le entrate dell’Anno Santo ormai alle porte!

Ma come ottenere in tal modo il permesso del Vicariato? E dove trovare la Ditta disposta a fidarsi? E come fare per avere un flusso regolare di pellegrini?

La prova di fede fu veramente grande, ma alla fine il miracolo si compì: il Cardinal Vicario le credette; la Ditta dei Fratelli Di Penta, accollandosi le spese e il rischio, completò i lavori per la vigilia di Natale del 1949; e un organizzatore tedesco garantì l’invio costante e abbondante di pellegrini dalla Germania.

Tutto era pronto per la grande sfida dell’Anno Santo del 1950!

Nel frattempo, in perfetta concomitanza con questi avvenimenti e forse già come premio per la fede che avevano richiesto, si era compiuto un altro miracolo: quello dell’approvazione pontificia delle Ancelle, nel dicembre del 1949.

L’Anno Santo non tradì affatto le grandi attese di Madre Speranza.

E infatti: la Casa riuscì ad ospitare una media giornaliera di 500 pellegrini; le Suore impararono a gestire sempre meglio la nuova attività di accoglienza; e il Signore, da parte sua, continuò a benedire il lavoro, gli alimenti e ogni cosa…

Alla fine, Madre Speranza poteva annotare con enorme sollievo nel suo Diario che tutti i debiti erano stati pagati; e che erano avanzati anche dei soldi per costruire una Cappella funeraria nel Cimitero di San Lorenzo! Dunque, come era capitato tante altre volte, nella sua vita aveva trionfato di nuovo la legge della laboriosità, abbinata alla fiducia più completa nella Divina Provvidenza.

Nel corso dell’Anno Santo, tutti gli introiti della Casa furono incassati direttamente dal contabile dell’Impresa, il trentacinquenne celibe Alfredo Di Penta: costui altri non era che il minore dei tre fratelli titolari della Ditta costruttrice.

E nei piani sapienti del Signore, questo contatto quotidiano di Alfredo con Madre Speranza e la sua Comunità religiosa, doveva servire a qualcosa…

 

La fondazione della Congregazione maschile (1951)

Alla fine, il fattore che causò la partenza di Madre Speranza da Roma fu proprio la tanto desiderata e tanto temuta fondazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. L’ordine le pervenne nel febbraio del 1951, insieme con l’indicazione che il primo Religioso doveva essere appunto il suddetto Alfredo Di Penta.

Superato lo shock iniziale da una parte e dall’altra (né lei né lui, infatti, si potevano immaginare una cosa del genere), ci si attivò immediatamente per individuare un Vescovo che accogliesse la nuova fondazione e facilitasse il più possibile la preparazione teologica di Alfredo e il suo accesso agli Ordini Sacri.

E la scelta cadde su Mons. Alfonso Maria De Sanctis, Vescovo di Todi.

E proprio alla presenza di lui, nella Cappella della Casa di Roma, si diede inizio alla fondazione: prima, con la vestizione di Alfredo e altri due confratelli, il 14 agosto 1951; e poi, con la loro prima professione, il giorno successivo.

Tutto era pronto per il loro trasferimento a Collevalenza di Todi…

 

La riabilitazione della Madre Fondatrice (1952)

Per apprezzare l’atto eroico di virtù che Madre Speranza ha compiuto nel febbraio del 1951, quando ha ripetuto il suo "Ecce ancilla Domini" e ha posto in marcia la fondazione maschile, bisogna ricordare che per quella stessa data lei era ancora una semplice Suora, spogliata di ogni autorità ufficiale sopra le altre Ancelle, anche se per tutte continuava ad essere "la Madre" e "la Fondatrice".

Questa situazione, imposta nel primo Capitolo generale del 1946, durò di fatto fino al Capitolo generale del 1952, anch’esso celebrato a Roma.

Ma questa volta, quando le capitolari elessero di nuovo all’unanimità Madre Speranza come Superiora generale dell’Istituto, la Santa Sede non frappose più nessun ostacolo: era il 18 di dicembre, giorno del suo onomastico! Il grande applauso che ne seguì, spazzò via in un attimo tutte le nebbie della sospensione (1941-1946) e della rimozione (1946-1952) da quel medesimo incarico.

 

c) Il periodo tuderte

Madre Speranza è vissuta a Collevalenza di Todi quasi 32 anni, fino alla fine della vita: i primi due anni nell’antico borgo, gli altri nella nuova sede.

Durante questo periodo, oltre che a guidare di nuovo l’Istituto femminile, lei si è dedicata con tutte le sue forze: ad avviare la Congregazione maschile; e a realizzare il grande complesso del Santuario dell’Amore Misericordioso.

Dopodiché si è messa in disparte e ha atteso i tempi del Signore…

Lo sviluppo della Congregazione maschile (1951-1968)

Madre Speranza giunse nella piccola frazione di Collevalenza – presente anche il Vescovo di Todi – il 18 agosto del 1951, insieme con alcune delle sue Suore e i primi tre Figli dell’AM. Presero alloggio nell’antico borgo, con l’incarico ufficiale di reggere la piccola parrocchia, bisognosa di assistenza. Dopo un mese, si unì alla loro comunità anche Padre Gino Capponi, del Clero di Todi; e dopo due anni e mezzo, anche Padre Arsenio Ambrogi, del Clero di Perugia.

Frattanto Alfredo andava compiendo il suo percorso, tra momenti speciali di grazia (come quello vissuto nella Santa Casa di Loreto, nel maggio del 1951; o quello vissuto nella sua cameretta di Roma, la vigilia della vestizione), e situazioni difficili da superare (come quella di dover entrare, per ordine di Roma, nel Seminario della Quercia a Viterbo, per compiervi degli studi più regolari).

Ma alla fine, la meta dell’Ordinazione Sacerdotale venne raggiunta: questa ebbe luogo a Collevalenza, il 3 luglio del 1955, per le mani di Mons. De Sanctis, nella nuova Cappella del Crocifisso, consacrata proprio il giorno prima.

Per quella medesima data, i Figli dell’AM – tra Padri e Fratelli – erano già dodici come gli apostoli, più due "Sacerdoti diocesani con voti". Come dunque non recarsi di nuovo a Loreto, dopo qualche giorno, per ringraziarvi la Vergine Santa, alla guida di un pellegrinaggio ufficiale dell’intera Famiglia Religiosa?

Tutta questa singolare avventura culminò infine con il primo Capitolo generale, celebrato a Collevalenza nel settembre del 1956, nel quale Padre Alfredo Di Penta venne eletto all’unanimità primo Superiore generale dei Figli dell’AM. Egli ricoprì questa carica per dodici anni, cioè fino al marzo del 1968, quando fu sostituito da Padre Arsenio Ambrogi, in previsione dell’imminente approvazione diocesana del Vescovo di Fermo, Mons. Norberto Perini (28 luglio 1968).

E bisogna qui precisare che, se anche agli inizi vi furono presso il Sacro Dicastero dei Religiosi alcune perplessità sul fatto che "una semplice Suora" pretendesse fondare un Istituto maschile, all’interno della Congregazione dei FAM mai nessuno mise minimamente in dubbio il ruolo capitale di Madre Speranza.

E il carattere umile di Padre Alfredo facilitò questa logica delle cose.

 

La missione sacerdotale della Congregazione maschile

Senza escludere altre opere ispirate dalla legge suprema della carità, si può dire che il fine primario dei Figli dell’AM è precisamente l’unione con il Clero Diocesano, per aiutarlo nelle sue eventuali necessità e per fomentarne l’unità interna e la santità. Si tratta pertanto di una prossimità al Clero da perseguire tanto nelle problematiche materiali, quanto nelle esigenze spirituali.

Più volte la Madre Fondatrice ha difeso la specificità di questa missione e la sua viva attualità: secondo lei, non c’era bisogno nella Chiesa di un’ennesima Congregazione Religiosa (ve ne sono già tante per le differenti necessità apostoliche); ne occorreva però ancora una che operasse per il superamento della divisione tra i due Cleri; che fomentasse l’unità interna del Presbiterio Diocesano; e che diventasse per i Sacerdoti un punto sicuro di riferimento, davvero come "la propria famiglia", in tutte le situazioni e per tutte le necessità.

Questa missione si realizza di fatto con modalità operative ben determinate: 1) aprendo le Case della Congregazione all’accoglienza dei Sacerdoti o per brevi periodi di recupero o per permanenze stabili; 2) prendendosi cura della loro vita spirituale, specie di quelli più giovani, tramite l’animazione fraterna di raduni, ritiri e corsi di esercizi; 3) praticando uno stile di gratuità economica tanto per i ritiri mensili e gli esercizi annuali, quanto per le permanenze non stabili nella Casa Religiosa; 4) provvedendo all’accoglienza e all’assistenza di quei Sacerdoti anziani e malati che volessero ritirarsi presso le strutture della Congregazione; 5) favorendo in ogni occasione incontri fraterni con i Sacerdoti, collaborando con essi nel ministero e offrendo loro aiuto in ogni necessità; 6) nutrendo sempre verso i Sacerdoti rispetto e dedizione, e consacrandosi più pienamente alla loro causa con il voto di vittima; 7) e unendo all’Istituto alcuni Sacerdoti del Clero Diocesano, tramite la professione dei voti e la pratica della vita comune.

Altre modalità infine potrebbero sorgere con il mutare delle circostanze.

Sulla base di un simile programma apostolico, si può dire che la Congregazione dei FAM non debba quasi conoscere limiti nell’alleviare le difficoltà dei Ministri sacri e nel rafforzarne le potenzialità. In pratica, del Clero Diocesano deve interessarle tutto: la solitudine e la stanchezza, i momenti di crisi e i possibili sbandamenti, la malattia e l’anzianità... Ed inoltre, deve starle a cuore che nel Presbiterio Diocesano regni una profonda unità di intenti attorno al Vescovo, e vi siano forme significative di impegno spirituale e di condivisione fraterna...

E sempre sulla base di un simile programma apostolico, è anche possibile comprendere meglio il senso e la finalità del ramo dei Sacerdoti Diocesani.

 

I Sacerdoti Diocesani inseriti nell’Istituto Religioso

Madre Speranza iniziò a redigere le norme per questi componenti della sua Congregazione fin dal febbraio del 1952, mentre si trovava a Fermo per assumere l’opera caritativa di un santo prete defunto, il Collegio Don Ernesto Ricci.

Fin da allora, lei comprese chiaramente che la cosa sarebbe stata di grande utilità apostolica (e per questo ebbe anche a patire vessazioni diaboliche); ma che avrebbe incontrato pure molte difficoltà, per il semplice fatto che era una proposta non prevista dal Codice di Diritto Canonico. Ma ciò nonostante, lei prospettò ugualmente questa forma di consacrazione a diversi possibili candidati; e i primi due aderenti del gruppo emisero la loro professione privata a Fermo, il giorno 8 dicembre 1954, iniziando da quello stesso momento a risiedere in Comunità.8

Ma come intendere l’aggancio tra questi Sacerdoti e l’intero Istituto?

Dire che questi Sacerdoti costituiscono un ramo della Congregazione, dal punto di vista giuridico significa precisamente: che essi non sono né un Istituto Secolare aggregato ai FAM,9 né un’Associazione propria dei FAM;10 ma che si incorporano al suddetto Istituto Religioso "in quanto singoli" e – dunque – con una modalità giuridica completamente atipica e innovativa.

Pur restando legati alla propria Diocesi come prima e più di prima, questi Sacerdoti entrano nella Congregazione: per praticarvi i tre voti e la vita comune, in profonda sintonia con i Superiori interni e gli altri Confratelli; e per fugare più attivamente i pericoli dell’apatia spirituale e della solitudine celibataria.

In tal modo, si può dire che essi: partecipano realmente (anche se con modalità proprie) della stessa vocazione, consacrazione e missione degli altri Figli dell’AM; e realizzano con questi un’unione stretta e polivalente, che possiede una natura non solo spirituale e comunitaria, ma anche giuridica e apostolica. In effetti, l’appartenenza di questi Sacerdoti all’Istituto Religioso arriva al punto di renderli partecipi anche di molti diritti di voce attiva e passiva, determinando così per loro una vera responsabilizzazione interna anche a livello decisionale.

Considerando tutti questi elementi e rapportandoli con la missione sacerdotale sopra descritta, si deve fermamente dichiarare che: «Il profondo inserimento di questi Sacerdoti Diocesani all’interno della Congregazione è espressione peculiare di quella unione fraterna che i Figli dell’Amore Misericordioso sono tenuti a perseguire nei confronti del Clero; allo stesso tempo ne è anche strumento prezioso, per una più incisiva azione apostolica nel Presbiterio».11

Stando così le cose, si comprende meglio: la logica che anima tutto questo progetto voluto dal Signore (fermentare il Clero Diocesano con il coinvolgimento di membri dello stesso Clero); e il rifiuto da parte della Madre Fondatrice e dei suoi Religiosi di ripiegare su soluzioni giuridiche ordinarie.12 E infatti, le due approvazioni dell’Istituto (quella diocesana del 1968 e quella pontificia del 1982) sono avvenute stralciando dalle Costituzioni ogni riferimento a questo ramo.

Diciamo subito che Madre Speranza non fece in tempo a vedere approvati i suoi Sacerdoti Diocesani con voti e in vita comune; ma, dopo la sua morte, anche questo progetto tanto discusso avrebbe finalmente incontrato una soluzione favorevole, fosse pure per gradi: infatti, l’apposito Statuto per i SD-FAM è stato riconosciuto dalla Santa Sede (CIVC-SVA), prima nel 1995 e poi nel 2005.


8 Si trattava precisamente di Don Lucio Marinozzi e Don Luigi Leonardi.

9 Cf. CIC-1983, cann. 710 e 580.

10 Cf. CIC-1983, cann. 677 § 2 e 303.

11 Cf. Costituzioni rinnovate dei FAM del 1995, art. 10.

12 Appunto: l’Associazione propria, o l’Istituto secolare aggregato

 

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ultimo aggiornamento 11 ottobre, 2013