... ascoltando la parola del papa   e   rileggendo gli scritti della Madre ....

Meditazione nella Cappella della Domus Sanctae Marthae - Lunedì, 23 giugno 2014
(da: L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.141, Mart. 24/06/2014)

 

 

 

Nessuno può giudicare

 

 

 

 

Benedetto XVI

Chi giudica si mette al posto di Dio e così facendo va incontro a una sconfitta certa nella vita perché verrà ripagato con la stessa moneta. E vivrà nella confusione, scambiando la "pagliuzza" nell’occhio del fratello con la "trave" che gli impedisce la vista. È un invito a difendere gli altri e non a giudicarli quello rilanciato dal Papa nella messa celebrata lunedì mattina, 23 giugno, nella cappella della Casa Santa Marta.

Come non dobbiamo coltivare delle preferenze per qualcuno, così non dobbiamo assecondare le antipatie. Dobbiamo anche astenerci dai giudizi preconcetti, tanto più gravi quanto più lo è la cosa di cui in cuor nostro accusiamo gli altri. Ricordiamo che i giudizi temerari provengono in primo luogo dalla nostra superbia. (Madre Speranza nel 1933; 1, 41)

Diligentemente evitino giudizi temerari, pettegolezzi e cose che la carità comanda di tenere nascoste. Non si dovrebbe mai ascoltare quello che si dice contro il prossimo e, tanto meno, andare a raccontare quanto si è sentito nei suoi confronti; questo equivarrebbe a seminare zizzania (discordia) nel campo della religione, che dovrebbe essere di pace e unione intima e di amore vero. (Madre Speranza nel 1936; 3, 59)

Tutto il bene che la carità costruisce viene distrutto dal vizio infame della mormorazione che riduce a un essere abominevole la persona che lo commette. (Madre Speranza nel 1936; 3, 60)

Ci sono alcune religiose che sono più sfrontate perché giudicano perfino i superiori criticando le loro virtù, mettendoli in cattiva luce, alcune volte per ignoranza altre con cattiveria. Che pena! Queste persone sono molto lontane dalla croce, si sono trasformate in altrettanti Giuda che mormorava perfino del Maestro e sappiamo che fine ha fatto.

Attente a non giudicare il comportamento delle consorelle. Coloro che sono calunniate non si perdano d’animo e non si difendano, ricordino che Gesù gradisce l’umile silenzio tra le calunnie.

Poco tempo fa qualcuna mi ha chiesto in che consiste la santità. Credo che essa consista nel possesso di Gesù per mezzo dell’amore e la persona consacrata più santa e perfetta è colei che più lo ama.

Oso perfino affermare che l’anima consacrata che si sforza con tutto l’impegno nella fedeltà alle cose esteriori, ossia la puntualità agli atti di comunità, i digiuni, le penitenze, le mortificazioni senza preoccuparsi di crescere nella carità e il desiderio di fare in tutto la volontà di Dio, non può diventare santa. La santità consiste nell’amore e nella carità poiché dobbiamo salvarci salvando gli altri.

La carità ci seguirà anche dopo la morte e sarà la misura della nostra unione a Gesù nel paradiso. (Madre Speranza nel 1941; 5, 87-91)

Evitiamo ad ogni costo la critica. Ricordiamoci che non siamo state chiamate a giudicare le sorelle. Detestiamo questo vizio, ricordando che la carità ci obbliga a evitarla con ogni mezzo. Sappiamo che la critica consiste nel manifestare ad altri le mancanze delle consorelle, distruggendo in molti casi la loro reputazione. Ciò avviene ogni volta che riferiamo ad altri i loro difetti. (Madre Speranza nel 1941; 5, 282)

Il passo evangelico della liturgia (Matteo, 7, 1-5), ha fatto subito notare il Pontefice, presenta proprio Gesù che «cerca di convincerci a non giudicare»: un comandamento che «ripete tante volte». Infatti «giudicare gli altri ci porta all’ipocrisia». E Gesù definisce proprio «ipocriti» coloro che si mettono a giudicare. Perché, ha spiegato il Papa, «la persona che giudica sbaglia, si confonde e diventa sconfitta».

Chi giudica «sbaglia sempre». E sbaglia, ha affermato, «perché prende il posto di Dio, che è l’unico giudice: prende proprio quel posto e sbaglia posto!». In pratica crede di avere «la potestà di giudicare tutto: le persone, la vita, tutto». E «con la capacità di giudicare» ritiene di avere «anche la capacità di condannare».

Il Vangelo riferisce che «giudicare gli altri era uno degli atteggiamenti di quei dottori della legge ai quali Gesù diceva "ipocriti"». Si tratta di persone che «giudicavano tutto». Però la cosa più «grave» è che, così facendo, «occupano il posto di Dio, che è l’unico giudice». E «Dio, per giudicare, si prende tempo, aspetta». Invece questi uomini «lo fanno subito: per questo chi giudica sbaglia, semplicemente perché prende un posto che non è per lui».

Ma, ha precisato il Papa, «non solo sbaglia; anche si confonde». Ed «è tanto ossessionato da quello che vuole giudicare, da quella persona — tanto, tanto ossessionato! — che quella pagliuzza non lo lascia dormire». E ripete: «Ma io voglio toglierti quella pagliuzza!». Senza però accorgersi «della trave che lui ha» nel proprio occhio. In questo senso si «confonde» e «crede che la trave sia quella pagliuzza». Dunque chi giudica è un uomo che «confonde la realtà», è un illuso.

Non solo. Per il Pontefice colui che giudica «diventa uno sconfitto» e non può che finire male, «perché la stessa misura sarà usata per giudicare lui», come dice Gesù nel Vangelo di Matteo. Dunque «il giudicatore superbo e sufficiente che sbaglia posto, perché prende il posto di Dio, scommette su una sconfitta». E qual è la sconfitta? «Quella di essere giudicato con la misura con la quale lui giudica» ha rimarcato il vescovo di Roma. Perché «l’unico che giudica è Dio e quelli ai quali Dio dà la potestà di farlo. Gli altri non hanno diritto di giudicare: per questo c’è la confusione, per questo c’è la sconfitta».

Oltretutto, ha proseguito il Papa, «anche la sconfitta va oltre, perché chi giudica accusa sempre». Nel «giudizio contro gli altri — l’esempio che dà il Signore è "la pagliuzza nel tuo occhio" — c’è un’accusa» sempre. Esattamente l’opposto di quello che «Gesù fa davanti al Padre». Infatti Gesù «mai accusa» ma, al contrario, difende. Egli «è il primo Paraclito. Poi ci invia il secondo, che è lo Spirito». Gesù è «il difensore: è davanti al Padre per difenderci dalle accuse».

Ma se c’è un difensore, c’è anche un accusatore. «Nella Bibbia — ha spiegato il Pontefice — l’accusatore si chiama demonio, satana». Gesù «giudicherà alla fine del mondo, ma nel frattempo intercede, difende». Giovanni, ha notato il Papa, «lo dice tanto bene nel suo Vangelo: non peccate, per favore, ma se qualcuno pecca, pensi che abbiamo un avvocato che ci difende davanti al Padre».

Così, ha affermato, «se noi vogliamo andare sulla strada di Gesù, più che accusatori dobbiamo essere difensori degli altri davanti al Padre». Da qui l’invito a difendere chi subisce «una cosa brutta»: senza pensarci su troppo, ha raccomandato, «vai a pregare e difendilo davanti al Padre, come fa Gesù. Prega per lui».

Ma soprattutto, ha ripetuto il Papa, «non giudicare, perché se lo fai, quando tu farai una cosa brutta, sarai giudicato!». È una verità, ha suggerito, che è bene ricordare «nella vita di tutti i giorni, quando ci viene la voglia di giudicare gli altri, di sparlare degli altri, che è una forma di giudicare».

Insomma, ha riaffermato il Pontefice, «chi giudica sbaglia posto, si confonde e diventa sconfitto». E così facendo «non imita Gesù, che sempre difende davanti al Padre: è avvocato difensore». Colui che giudica, piuttosto, «è un imitatore del principe di questo mondo, che va sempre dietro le persone per accusarle davanti al Padre».

Papa Francesco ha concluso pregando il Signore perché «ci dia la grazia di imitare Gesù intercessore, difensore, avvocato nostro e degli altri». E di «non imitare l’altro, che alla fine ci distruggerà».

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ultimo aggiornamento 03 settembre, 2014