Come diventare Misericordiosi

Studi

P. Aurelio Pérez fam

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Il quarto atteggiamento che Gesù ci propone per diventare misericordiosi è quello del dono gratuito, generoso, senza calcoli. Il dilemma "avere o essere", forse traduce in modo più pratico "l’essere o non essere" di shakesperiana memoria. Trattenere e possedere oppure donare, anzi donarsi? In fondo la nostra vita è posta continuamente tra queste due alternative.

Abbiamo un modello unico: Gesù, Figlio del Dio vivente, che non ha trattenuto per sé, gelosamente, la sua uguaglianza con Dio (cf Fil 2), ma è uscito da se stesso, si è fatto dono totale e gratuito, per amore nostro. Spinti dal nostro naturale egoismo, noi siamo continuamente tentati di far risiedere il senso della vita nell’avere, non solo cose materiali, ma anche considerazione, stima, sapere, potere, affetto… Senza tutto ciò ci sembra di essere poveri, insignificanti. Ed è per questo che ci affanniamo per avere e trattenere per noi tutte queste cose. Di fronte a questo affanno del possedere Gesù dice: "Non accumulate tesori sulla terra!". Tutti i tesori che noi possiamo accumulare per noi stessi sono soggetti al deperimento che consuma (la "ruggine"), o a qualcuno che ce li può portare via (i "ladri"). Il tempo è galantuomo anche nei confronti dell’accumulare.

Il trattenere per sé ha tanti volti: il ricco che naviga sulla sua nave di lusso nelle stesse acque dove migliaia di disperati cercano un futuro migliore e magari ci lasciano la pelle, rifletterà su questo abisso che separa i destini degli uomini? L’uomo geloso che uccide la ex moglie o la fidanzata, e forse anche i suoi figli, perché non riesce più a "trattenere per sé" quella persona…, che cosa ha capito del vero amore? Il trattenere per noi stessi non ci soddisfa mai, perché ogni appetito egoistico è come quella bestia descritta da Dante che, dopo aver mangiato, "aveva più fame di prima".

Gesù, al contrario, dice che "c’è più gioia nel dare che nel ricevere", perché "il Signore ama chi dona con gioia", e ci invita ad essere saggi, evitando di riporre il senso della vita in ciò che vita non è. "Stolto!" - dice all’uomo ricco che sogna di costruire nuovi granai e godersi la vita – quello che hai accumulato di chi sarà?". Nel dirci "Date e vi sarà dato!" ci invita ad assumere un altro criterio di vita, quello suo. Lui è un puro donarsi, dall’inizio alla fine della sua vita. "Amor est effusivum sui ": l’amore per sua natura è dono di sé, uscita da se stesso. Anche il mistero della Trinità non è altro che un circolo virtuoso e perenne di amorosa donazione reciproca: nessuno dei Tre vive per se stesso, ma l’amore di donazione è talmente forte da trasformare la diversità delle persone in una unità sostanziale e indivisibile. E questo amore, quando decide di "uscire da sé" e creare, e addirittura venire verso di noi, diventa dono gratuito, misericordioso e fedele. "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito…". E il Figlio fa capire di aver imparato bene questa lezione dal Padre suo: «Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». (Gv 10, 17-18).

È talmente importante questo quarto atteggiamento per diventare misericordiosi come il Padre, che Gesù abbonda nello spiegarlo:

«Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio». (Lc 6, 38).

E poco prima, Gesù introduce il "Siate misericordiosi come il Padre vostro" con queste parole:

«A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. » (Lc 6, 29-35)

La concretezza del dare e il darsi non ammette teorie o parole vuote. Ecco il significato delle "opere di misericordia" su cui Papa Francesco tanto insiste in questo Giubileo straordinario:

"È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi discepoli. Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti.

Non possiamo sfuggire alle parole del Signore e in base ad esse saremo giudicati: se avremo dato da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete. Se avremo accolto il forestiero e vestito chi è nudo. Se avremo avuto tempo per stare con chi è malato e prigioniero (cfr Mt 25,31-45). Ugualmente, ci sarà chiesto se avremo aiutato ad uscire dal dubbio che fa cadere nella paura e che spesso è fonte di solitudine; se saremo stati capaci di vincere l’ignoranza in cui vivono milioni di persone, soprattutto i bambini privati dell’aiuto necessario per essere riscattati dalla povertà; se saremo stati vicini a chi è solo e afflitto; se avremo perdonato chi ci offende e respinto ogni forma di rancore e di odio che porta alla violenza; se avremo avuto pazienza sull’esempio di Dio che è tanto paziente con noi; se, infine, avremo affidato al Signore nella preghiera i nostri fratelli e sorelle. In ognuno di questi "più piccoli" è presente Cristo stesso. La sua carne diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga… per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura. Non dimentichiamo le parole di san Giovanni della Croce: «Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore»" (MV 15).

Vorrei mettere in evidenza anche quel particolare significato del donarsi che riguarda i pastori della Chiesa e, per analogia, tutti i consacrati e le consacrate. Lo trovo stupendamente evidenziato, senza bisogno di commenti, dal nostro papa Francesco, nell’Omelia rivolta ai sacerdoti il 3 giugno scorso, solennità del sacro Cuore:

"I tesori insostituibili del Cuore di Gesù sono due: il Padre e noi. Le sue giornate trascorrevano tra la preghiera al Padre e l’incontro con la gente. Non la distanza ma l’incontro. Anche il cuore del pastore di Cristo conosce solo due direzioni: il Signore e la gente. Il cuore del sacerdote è un cuore trafitto dall’amore del Signore; per questo egli non guarda più a sé stesso – non dovrebbe guardare a sé stesso – ma è rivolto a Dio e ai fratelli. Non è più "un cuore ballerino", che si lascia attrarre dalla suggestione del momento o che va di qua e di là in cerca di consensi e piccole soddisfazioni. È invece un cuore saldo nel Signore, avvinto dallo Spirito Santo, aperto e disponibile ai fratelli. E lì risolve i suoi peccati…

Il pastore secondo Gesù ha il cuore libero per lasciare le sue cose, non vive rendicontando quello che ha e le ore di servizio: non è un ragioniere dello spirito, ma un buon Samaritano in cerca di chi ha bisogno. È un pastore, non un ispettore del gregge, e si dedica alla missione non al cinquanta o al sessanta per cento, ma con tutto sé stesso. Andando in cerca trova, e trova perché rischia. Se il pastore non rischia, non trova. Non si ferma dopo le delusioni e nelle fatiche non si arrende; è infatti ostinato nel bene, unto della divina ostinazione che nessuno si smarrisca. Per questo non solo tiene aperte le porte, ma esce in cerca di chi per la porta non vuole più entrare. E come ogni buon cristiano, e come esempio per ogni cristiano, è sempre in uscita da sé. L’epicentro del suo cuore si trova fuori di lui: è un decentrato da sé stesso, centrato soltanto in Gesù. Non è attirato dal suo io, ma dal Tu di Dio e dal noi degli uomini…

Gioire. Dio è «pieno di gioia» (Lc 15,5): la sua gioia nasce dal perdono, dalla vita che risorge, dal figlio che respira di nuovo l’aria di casa. La gioia di Gesù Buon Pastore non è una gioia per sé, ma è una gioia per gli altri e con gli altri, la gioia vera dell’amore. Questa è anche la gioia del sacerdote. Egli viene trasformato dalla misericordia che gratuitamente dona. Nella preghiera scopre la consolazione di Dio e sperimenta che nulla è più forte del suo amore. Per questo è sereno interiormente, ed è felice di essere un canale di misericordia, di avvicinare l’uomo al Cuore di Dio. La tristezza per lui non è normale, ma solo passeggera; la durezza gli è estranea, perché è pastore secondo il Cuore mite di Dio."1


1 Papa Francesco, Omelia ai sacerdoti nella Solennità del Sacro cuore, 3 giugno 2016.

 

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ultimo aggiornamento 06 settembre, 2016