La lettera

 

Olocausto di bambini

Carissimo,

bambini usati, abusati, venduti. Bambini sui barconi di morte, buttati a mare. Bambini nella fame, nelle malattie, nella guerra, nell’odio dei grandi.

Bambini ostaggio, bambini avviati alle armi, bambini vestiti di crudeltà e di odio come kamikaze.

Datemi il nome, il volto, il cuore, le mani di ciascuno, di quelle madri-bambine obbligate al matrimonio nella loro debolissima età.

Cinquanta milioni di bambini in fuga, di minori non accompagnati. Sradicati, a rischio. Durante l’esodo, e, poi, all’arrivo, quando diventano preda di ogni genere di sfruttamento, di violenza.

Fuggono dalla guerra, dalle dittature, dalla ferocia, dalle bande criminali, dai cataclismi, dalla miseria.

Implacabile, accorato, il grido di Papa Francesco: "Salvate, salvate i bambini!".

Pagano, con la loro innocenza, la strage di ogni Natale.

Sì, è la Grotta. Guardo il Bambino che è nato, l’innocente offerto alle mani degli uomini.

Il Bambino che si chiama Gesù, ma che si chiama anche Aylan, il bambino curdo sulla spiaggia turca, come una bambola rotta. Sbattuto dal mare, tre anni, mentre cercava salvezza, con la famiglia, in Europa.

Il Bambino Gesù, che si chiama anche Omran, il bambino siriano coperto di polvere e di sangue, estratto vivo dalle macerie delle casa bombardata. Uno sguardo stordito, come a chiedere perché.

Mistero, luce e sangue di una Grotta in cui, adesso, non c’è più la Madre del Bambino. È fuggita, profuga, in Egitto. Si ritroverà, un giorno, con il figlio ai piedi della croce.

Non c’è la madre di Aylan, non c’è la madre di Omran. Nel loro sconfinato vuoto c’è solo quel "grido udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata perché non sono più".

Nino Barraco

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ultimo aggiornamento 20 dicembre, 2016