riflessioni

Roberto Lanza

Il Giubileo?

"Ci ha fatto bene per ritornare a casa"

Il 20 Novembre il Santo Padre Francesco ha chiuso ufficialmente il Giubileo straordinario della Misericordia 2016, facendo calare il sipario su questo meraviglioso tempo di grazia. Quando finisce un "esperienza", è normale che si faccia un bilancio di come ha inciso nella nostra vita, di quale cambiamenti ha prodotto, di quale messaggi resteranno per sempre dentro di noi. Anche a livello spirituale non siamo esenti dal porci domande di questo tipo: Forse volevamo fare di più? In questo tempo di grazia quanto abbiamo amato? Abbiamo amato anche quando sembrava difficile, impossibile, senza paura di soffrire?

Immersi ormai in un mondo spesso agitato e distratto, presi talvolta da compiti assillanti, l’Anno santo 2016 credo che ci abbia aiutato non solo, a fare un bilancio della nostra vita e del nostro percorso di fede, ma soprattutto ci ha fatto ritornare alle sorgenti della nostra "vocazione" e della nostra identità più profonda di figli di Dio. Quale, infatti il primo "frutto" spirituale che l’anno santo vuole lasciare agli uomini, se non quello di rimanere nell’Amore Misericordioso di Cristo, dimorare nella sua misericordia, esistere nella e della sua grazia, vivere un rapporto filiale, vero, autentico con il buon Gesù, infine conoscere Dio come un Padre?

Così dice il Papa nella sua Lettera Apostolica Misericordia et misera a chiusura del Giubileo: "La misericordia, infatti, non può essere una parentesi nella vita della Chiesa, ma costituisce la sua stessa esistenza, che rende manifesta e tangibile la verità profonda del Vangelo. Tutto si rivela nella misericordia; tutto si risolve nell’amore misericordioso del Padre."1

Più chiaro di così!

Tutto è tutto, nessuna parola più di condanna, resta solo l’amore di Dio. Al di sopra di tutto il cuore, un cuore che diventa l’unico ed insostituibile metro di giustizia e di misericordia. Una verità carismatica molto bene descritta in un’orazione finale della nostra Novena: "Entra, Signore nella mia povera stanza e riposa con me: accompagnami nel pericoloso cammino che percorro affinché non mi perda" convinta che "per la tua misericordia, non lascerai di amarmi un solo momento e che sarai sempre con me"2. Questo anno di Grazia ha voluto lasciarci un programma di vita molto preciso e trasparente, ossia quello di chiarire, giorno dopo giorno, la nostra appartenenza. Siamo di Dio e quindi assumiamo il modo di amare e di pensare di Cristo, del suo vangelo? Oppure No?

Anche oggi Cristo continua a interpellare il mondo, con la domanda che rivolse duemila anni fa ad uno sparuto gruppo di discepoli, che avevano lasciato tutto e lo avevano seguito, attirati dalla Verità e dalla Misericordia che si sprigionava dalle Sue parole, dalle Sue azioni, da tutta la Sua Persona.

Questa domanda del Messia risuona anche a noi oggi: La gente chi dice che io sia? ...E voi che dite che io sia"3. Ma immerso nella mia profonda esperienza dell’Amore Misericordioso, non riesco a pensare ad un eredità giubilare che non tenga conto di quanto diceva Giovanni Paolo II° in occasione della sua visita al Santuario dell’Amore Misericordioso: «Per liberare l’uomo dai propri timori esistenziali, da quelle paure e minacce che sente incombenti da parte di individui e nazioni, per rimarginare le tante lacerazioni personali e sociali, è necessario che alla presente generazione sia rivelato "il mistero del Padre e del suo amore". L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina, per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita»4.

Una verità giubilare che anche la Madre Speranza evidenziava nel suo Diario: "Oggi 5 Novembre 1927 mi sono distratta cioè ho passato parte della notte fuori di me e molto unita al buon Gesù il quale mi diceva che io debbo far sì che tutti gli uomini lo conoscano non come un Padre offeso per le ingratitudini dei suoi figli, ma come un Padre pieno di bontà, che cerca con tutti i mezzi di confortarli, aiutarli e renderli felici e che li segue e li cerca con amore instancabile, come se Lui non potesse essere felice senza di loro". Quanto mi ha impressionato questo fatto, Padre mio!5

E allora ritorna la domanda:

cosa ci ha lasciato nel cuore questo Giubileo?

La misericordia di Dio deve trovare in noi il coraggio di ritornare a Lui, qualunque errore, qualunque peccato ci sia nella nostra vita. Questo, credo, che sia il significato più profondo, più bello, più concreto che possiamo ricavare da questo anno di grazia, ossia quello di riscoprire la grazia di TORNARE A CASA. Colui che ritorna a casa, vuol dire che è stato già in quel posto, che conosce la strada, sa che ha un posto dove trovare appoggio e sicurezza, e soprattutto riconosce che nel ritornare non potrà mai fare esperienza di abbandono. Così siamo noi, noi abbiamo una casa, abbiamo un luogo dove ascoltare la voce di Dio: "Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto", è la voce mai interrotta dell’amore che parla dall’eternità e dà vita e amore ogni qualvolta viene udita. Ma se ritorniamo, vuol dire anche che ce ne siamo andati via da questa casa, proprio come il figlio minore della parabola, ce ne siamo andati in un "paese lontano", in un mondo dove non viene tenuto in nessun conto tutto quello che a casa è considerato sacro, andarsene da casa è la negazione della realtà spirituale che appartengo a Dio in ogni parte del mio essere, che Dio mi tiene al sicuro in un abbraccio eterno, che sono veramente scolpito nelle palme delle sue mani e nascosto alla sua ombra.

Tornare a casa, ma perché?

Quando guardiamo al nostro lungo e faticoso viaggio per ritornare a casa, constatiamo come sia tormentato da infiniti sensi di colpa nei confronti del passato e di preoccupazioni per il futuro. Ci rendiamo conto dei nostri fallimenti e sappiamo di aver perso la dignità della nostra condizione di figlio, ma non siamo ancora capaci di credere in pieno che dove i nostri fallimenti sono grandi "la grazia è ancora più grande"6. Sempre ancorati al nostro senso di indegnità, progettiamo per noi un luogo molto al di sotto di quello che spetta ad un figlio. Una delle più grandi provocazioni della vita spirituale è ricevere il perdono di Dio. C’è qualcosa in noi, che ci tiene tenacemente aggrappati ai nostri peccati e non ci permette di lasciare che Dio cancelli il nostro passato e ci offra un inizio completamente nuovo. Si, ci vuole coraggio, ma il vero coraggio non è tornare a casa da garzone per poter almeno sopravvivere, il vero coraggio è tornare a casa, ma come figlio di Dio. Dobbiamo sentirci veramente parte del piano di salvezza di Dio, ossia veramente Figli di Dio, scelti da Lui, amati da Lui.

In Osea abbiamo una prova dell’amore di Dio per Israele che ama come un figlio, lo chiama dall’Egitto, si china su di lui: "Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano ma essi non compresero che avevo cura di loro io li traevo con legami di bontà con vincoli d’amore ero per loro come chi si porta un bambino alle guance, il mio cuore si commuove dentro di me"7. Sentirsi figli di Dio per fare esperienza dell’amore incondizionato del Padre, di un Dio che fa grazia all’uomo, che lo ri-suscita. Vivere il perdono significa sempre donare un atto di speranza, una rinascita che apre un nuovo avvenire, donare la misericordia da parte di Dio significa dire al proprio figlio, che è paralizzato nelle sue contraddizioni, "Alzati e cammina!". Significa urlare "Esisti, tu vali più del tuo errore o del tuo stesso crimine o peccato".

Tornare a casa perché quando eri piccolo e giocavi intorno alla casa, ne conoscevi pregi e difetti, non ti era sconosciuto nessun mattone, ogni luogo, ogni stanza, ti ha visto crescere, ti ha visto muovere i primi passi. In quel luogo abbiamo iniziato a volerci bene, tra quelle mura hai imparato a sentirti al sicuro, protetto, amato. La casa è il luogo dove risiede l’amore, dove vengono creati i ricordi, dove arrivano gli amici e dove la famiglia è per sempre. Ci vogliono le mani per costruire una abitazione, ma solo il cuore può costruire una casa. La casa è l’unico posto in tutto questo mondo dove i cuori sono al riparo, è il luogo della fiducia. È il luogo dove ci strappiamo quella maschera fredda e sospettosa che il mondo ci costringe a indossare come auto-difesa, e dove ci confidiamo e parliamo senza riserve e con il cuore pieno di gioia e speranza. È il luogo in cui le espressioni di tenerezza sgorgano senza alcuna sensazione di imbarazzo e senza timore del ridicolo. Casa è quel luogo che i nostri piedi possono lasciare, ma dove il nostro cuore resta indelebile agganciato alla memoria di quello che siamo. Caro figlio, sei arrivato nei pressi della casa, senti aria di casa, di famiglia, forse hai paura, ma sai che lì abita ancora tuo padre, senti l’odore dei ricordi, di porte rimaste chiuse per molto tempo, una sorta d’intimità pesante e nostalgica, che può risultare soffocante e opprimente, ma sai dentro di te che in quella casa c’è l’Amore, c’è sempre stato: "Ci sazieremo dei beni della tua casa, della santità del tuo tempio"8.

Prima che qualsiasi essere umano ci abbia toccato, Dio ci ha formato nel segreto del suo cuore. Egli ci ha amato con un primo amore, un amore infinito, smisurato, vuole che sentiamo che siamo i suoi figli prediletti: "Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni"9. Dio mi cerca da lontano, prova a trovarmi e desidera portarmi a casa, Dio è il Padre che veglia e aspetta i suoi figli, corre loro incontro, li abbraccia, li supplica, li implora di tornare a casa. Si, tornare a casa per fare esperienza del cuore di Dio, per ricordare che è stato Dio a scegliere me.

Per anni e forse per tutta la vita ci portiamo dentro domande

del genere: "C’è qualcuno che mi ama veramente?

È l’amore di un Dio che è esistito prima ancora che fosse possibile qualsiasi rifiuto e starà sempre lì dopo che tutti i rifiuti si saranno consumati. È l’amore che sempre accoglie a casa e sempre vuole festeggiare. Tornare a casa significa ritornare nel grembo di Dio, ritornare alle vere origini del nostro essere, significa rinascere nuovamente dall’alto. Ecco il Dio in cui voglio credere e che ho creduto, un Padre che dall’eternità ha pronunciato il mio nome, ha scritto il mio nome sulle pareti del suo cuore, ha fuso la sua anima nella mia, un Padre che ha steso le sue mani sulla mia vita in un abbraccio misericordioso, eterno. Ogni giorno Dio mi tiene al sicuro come una chioccia tiene al sicuro i suoi pulcini o come un aquila vigila sulla sua nidiata. Gesù l’aveva detto quando, piangendo, si apprestava a morire sulla croce:"Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!10

Tornare a casa, dunque, per rivivere l’incontro tra Dio e i suoi figli, tra il Creatore e le sue creature, è il luogo dell’alleanza, è la tenda dell’incontro. Dio è disponibile all’incontro e noi possiamo gioire alla sua presenza. Questa gioia non è una forma di sentimentalismo emotivo che produce un’euforia superficiale, essa nasce dalla consapevolezza e dalla certezza di essere in presenza del nostro Dio e Salvatore, l’unica fonte di vita e benedizioni. I nostri giorni hanno ormai bisogno di "luoghi" dove il cuore "ferito" da tante lacerazioni dell’uomo di oggi, venga curato e consolato. Qui si può fare esperienza dell’amore di Dio, che ha messo la Sua tenda in mezzo a noi, in questo "roccolo di misericordia" si ricorda il dono di un Dio, che ci ha talmente amati da mettere la sua tenda in mezzo a noi, per portarci la salvezza, per farsi compagno della nostra vita, solidale con il nostro dolore e con la nostra gioia. In questa casa di misericordia si celebra la "gioia del perdono" che spinge a far "festa e rallegrarsi"11, perché "c’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte"12.

 

"Questo è il tempo della misericordia perché ogni peccatore non si stanchi di chiedere perdono e sentire la mano del Padre che sempre accoglie e stringe a sé"13. Questo è il vero e unico significato del Grande Giubileo dell’Anno Santo del 2016: la celebrazione gioiosa e solenne dell’Amore Misericordioso di Dio. Concludo questa riflessione riportando un pensiero della Madre Speranza, che sia questo l’augurio che ci facciamo per non "cancellare" mai dal nostro cuore e dalla nostra memoria questo anno di grazia: ""Se qualche volta si cade, si sbaglia, non abbiate paura, andate subito dal Signore. Perché se ci dovesse giudicare nostro padre potremmo avere paura, ma del Signore non c’è da temere"14.


1 Lettera Apostolica Misericordia et Misera

2 Novena all’Amore Misericordioso – IX giorno

3 Mc. 8, 27-29

4 Visita Santuario dell’Amore Misericordioso – Collevalenza 22 Novembre 1981

5 Diario di Madre Speranza, 5 Novembre 1927

6 Rm. 5,20

7 Os. 11, 1,4

8 Salmo 64

9 Geremia 1,5

10 Mt. 23,37

11 Lc. 15,32

12 Lc. 15,10

13 Lettera Apostolica Misericordia et Misera

14 Esortazioni (1959-1971) (El Pan 21)

Articolo precedente

Articolo successivo

[Home page | Sommario Rivista]


realizzazione webmaster@collevalenza.it
ultimo aggiornamento 20 dicembre, 2016