pastorale familiare

Marina Berardi

La potenza dell’Amore

 

A Betlemme, nel cenacolo e sul Golgota l’amore potrebbe apparire insensato: nascosto nella debolezza di un Bambino che nasce in una grotta, nel vino e in un pezzo di pane e nel fallimento di un Uomo crocifisso, sfigurato dall’odio e dal rifiuto dell’umanità. Sono questi i due luoghi in cui il Padre misericordioso ha scelto di manifestare la divinità del suo Unico Figlio, la piena rivelazione dell’Amore. Gesù stesso, nello scegliere la mangiatoia e la croce, ci indica le profonde esigenze del dono di sé e sgombera il campo da ogni eventuale illusione: l’amore vero si prova nel crogiuolo, resta proprio quando si fa croce.

Ciò che appare allora irragionevole è voler eludere il confronto con le inevitabili prove del fuoco che la vita, spesso in modo imprevisto e inaspettato, ci chiede di attraversare. Paradossalmente, proprio la sofferenza e il dolore finiscono per fare da discriminante, separando la bigiotteria dall’oro puro: un amore taroccato si liquefa’ e si squaglia - in tutti i sensi! - mentre quello autentico brilla e risplende proprio grazie al buio.

Come non vedere le tenebre in cui è avvolto questo nostro tempo! Per questo immagino che oggi Gesù abbia scelto di manifestare la potenza dell’a­more nascendo fra le macerie lasciate dai terremoti, dal terrorismo, dalle tante povertà; fra le macerie del nostro peccato, delle nostre relazioni ferite, della nostra pretesa di esorcizzare la paura eliminando il diverso.

Madre Speranza ha percorso con decisione e passione la strada tracciata da Gesù: prendere su di sé il dolore dell’altro, essere "un abisso senza fondo, capace di assumere e annientare tutte le malvagità dei fratelli" (El Pan 2, 73). Infatti, una volta compreso che "la scienza dell’amore si apprende nel dolore", che quanto più si soffre tanto più si ama, lei non ha avuto altro desiderio che frequentare questa scuola: "Tu dici, Gesù, che se l’amore non soffre e non si sacrifica non è amore; che insegnamento, Dio mio! Adesso mi rendo conto perché il tuo amore è così forte ed è fuoco che brucia e consuma. Hai sofferto tanto!" (El Pan 18, 703).

Parafrasando un altro dei suoi scritti, anche noi potremmo interrogarci sulla crescita e la qualità del nostro amore nello scorrere degli anni: All’inizio [del fidanzamento], a "Betlemme", questo Bambino era il tesoro più prezioso, e durante gli anni tranquilli di Nazareth, [dei primi anni di matrimonio], si era felici accanto a Lui. Più tardi però sono arrivate le prove, le tentazioni, le sofferenze, l’orto degli ulivi e il Calvario, e allora? Siamo rimasti fedeli a Dio, Sposo e Signore? L’abbiamo seguito accompagnandolo come la santissima Madre? Gli siamo fedeli? (cf. El Pan 7, 412).

Il messaggio è di una semplicità disarmante quanto esigente: un amore così non lo si improvvisa lo si sceglie; è frutto di un paziente esercizio di preghiera, fortezza, fedeltà, rinuncia di sé, abnegazione, umiltà, fiducioso abbandono, ascolto della vita e dell’altro... Gesù stesso, a Nazareth, ha trascorso lunghi anni di vita ordinaria, dove è cresciuto in sapienza, età e grazia, esercitandosi non solo nell’arte del falegname ma anche in quella dell’amore, imparata da Maria e da Giuseppe.

Anche per la Vergine Maria gli eventi sono stati l’occasione per crescere in una "fedeltà materna" che in Lei si è fatta eroismo: Giunta per Gesù l’ora della passione, Maria, in piedi, rimane accanto al letto di morte del Figlio amatissimo. È lì il suo posto di mamma. È vero, purtroppo, che non può far nulla per alleviare le pene del Figlio, ma vuole mostrare apertamente, con la sua presenza, che è tutta sua. La santissima Vergine rimane accanto al Figlio, amato ora come quando da bambino le sorrideva. È stato ed è l’unico amore, fedele fino alla morte (cf. El Pan 7, 408-411).

A questo punto, desidero condividere una storia dei nostri giorni che ha silenziosamente gridato con la vita la potenza di un amore che si fa dedizione, che è più forte della morte ed è sempre all’opera, anche ora che, almeno umanamente, sembra non ci sia più motivo per sognare.

È la storia di due carissimi amici, Giuseppe ed Anna, con i quali abbiamo percorso lunghi tratti di strada, insieme a tante altre coppie e famiglie: itinerari per fidanzati, giornate di spiritualità, convegni, capodanno in famiglia, consultorio familiare, momenti di fraternità, di sofferenza e di intimità nella loro casa.

Spesso ci accade di rileggere la storia della nostra vita a partire da un evento che la segna, la cambia, la apre ad un senso ulteriore. Per questo motivo vorrei iniziare con l’ultimo atto terreno della vita di Anna. Lo faccio con alcuni passaggi stralciati dall’omelia del Vescovo di Arezzo, Mons. Riccardo Fontana, che ha presieduto le esequie nella cappella dell’ospe­dale Santa Maria della Misericordia di Perugia: "Noi siamo qui a raccontarci gli uni gli altri la storia di un laicato umbro splendente, la storia del Concilio Vaticano II calato in una realtà che ha fatto storia. Anna e Giuseppe hanno avviato, insieme ad altri, facendo comunità - la Chiesa è comunità! - la Pastorale familiare nella nostra regione.

Non hanno avuto figli propri, ma hanno avuto figli a centinaia perché hanno aiutato, hanno generato amore attorno a loro, ovunque sono andati, sempre, facendo questo pendolo grazioso tra la chiesa perugina e la chiesa spoletina su a Monteleone, tenendo viva continuamente la preghiera quotidiana vissuta con una grande intensità.

Sono tanti coloro che possono testimoniare come in questo ospedale o nelle nostre otto Chiese sorelle Giuseppe ed Anna abbiano portato la speranza…

Oggi, con un po’ di lacrime agli occhi, è arrivato il momento di congedarci da Anna con un arrivederci, se volete, un addio pieno di riconoscenza! Non già per quello che i nostri fratelli coniugi hanno fatto insieme di servizio alle nostre Chiese, ma per la gioia di essere gli amici di Gesù.

Attorno a questo altare stasera ci sono un bel gruppo di amici di Gesù, perché ognuno di noi ha qualcosa da raccontare, da dire anche ai più giovani. Forse tocca a noi, la generazione che ha visto tante primavere, raccontare e dire: "Coraggio" a chi si trova nella tribolazione di una scelta; in una cultura liquida che non sa come dare il verso, noi abbiamo avuto la grazia della fede. Una fede forte come le montagne dove Anna aspetterà la Risurrezione,… ma la sua anima è già accanto al Signore e siamo sicuri che pregherà non solo per il suo Giuseppe ma anche per tutti noi che abbiamo avuto la grazia di incontrarla, conoscerla, condividere con lei l’esperienza della vita.

Nella celebrazione eucaristica noi anticipiamo il nostro credo, la nostra storia. Sappiamo di poterci fidare di Gesù
e con questo atto salutiamo la nostra sorella che ha semplicemente amato, senza chiasso, entrando in punta di piedi…".

(continua)

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ultimo aggiornamento 16 gennaio, 2017