I COMANDAMENTI (6)
Non uccidere

 

Sac. Angelo Spilla

 

 

Il comandamento di non uccidere prima ancora di essere scritto nelle tavole della legge era stato scolpito nel cuore umano, nella coscienza individuale. È stata la voce della coscienza che rimproverava Caino di essere un assassino per aver ucciso il proprio fratello Abele. Propriamente perché Dio ha inserito nel cuore dell’uomo tutto l’ordine delle verità che condiziona il bene e l’ordine morale e sta alla base della dignità dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. Da lì: "Nessuno tocchi Caino": "il Signore impose a Caino un segno perché non lo colpisce chiunque l’avesse incontrato" (Gn 4,15).

Al centro di questo ordine sta propriamente questo comandamento: non uccidere. Con ciò si afferma il diritto di ogni uomo alla vita, dal primo atto di concepimento al suo naturale tramonto. La vita umana è qualcosa di sacro. Viene da Dio e appartiene a Dio, è qualcosa di prezioso poiché è il più grande dono che Dio ha fatto all’uomo qui in terra.

Ma vediamo più in particolare il suo significato originario.

Per il popolo d’Israele uccidere in guerra era qualcosa di ovvio e non costituiva problema. Fuori da questo contesto quando, invece, qualcuno uccideva un altro, questi doveva immediatamente subire la stessa pena, proprio per rendere giustizia alla vita. Questo comandamento "non uccidere" ("rasah") condanna ciò che noi chiamiamo assassinio o omicidio, cioè la morte di un membro della comunità eseguita fuori del quadro comunitario o legale. Questo comandamento per gli ebrei significava, quindi, di non commettere assassinio per proteggere la vita umana, soprattutto le persone indifese; afferma il diritto di ogni uomo alla vita.

Ma vediamo l’attualità di questo comandamento soprattutto alla luce del Vangelo. Gesù nel Discorso della montagna amplierà l’ambito del quinto comandamento a tutte le azioni contro il prossimo, generate dall’odio o dalla vendetta. Gesù dice:"Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: Chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio" (Mt 5, 21-22). E poi ancora, Gesù non abolisce questo comandamento ma ne mette in luce il significato più profondo: "Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio, anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra"(Mt 5,38-39). Così pure intende garantire il diritto e la dignità di ogni persona tanto dal vietarci di dire al fratello fin’anche stupido o pazzo, perché avrebbe l’effetto di renderlo ridicolo o di escluderlo dalla partecipazione piena alla vita della comunità. Tutto questo uccide l’altro perché lo esclude e lo rifiuta.

Come interpretare, dunque, in questo nostro tempo il quinto comandamento? Dobbiamo riconoscere che va senz’altro e innanzitutto riferito ai temi scottanti della pena di morte, della guerra, dell’omicidio, dell’aborto e dell’eutanasia. È proprio la vita dei più deboli che Dio vuole garantire.

Nessuno ha il diritto di uccidere il proprio fratello, a meno che non si verifichi una grave situazione di legittima difesa. San Tommaso d’Aquino ce ne offre una giusta interpretazione a questo proposito: "Se per difendersi si esercita una violenza più grande del necessario, questo sarà illecito… L’azione del difendersi può causare un duplice affetto: l’uno è la conservazione della propria vita, l’altro la morte dell’aggressore. Il primo soltanto è voluto, il secondo non lo è "(Summa Theologiae, II-II,64,7). La legittimità di questa tutela si estende pure in situazioni ec­ce­zionali quando si ricorre alla forza per la difesa dei diritti dei deboli e non per aumentare odio e inimicizia, quanto piuttosto per estinguerle.

Soffre il nostro cuore, intanto, nel vedere scenari di morte. Anche il nostro secolo è gravato dalla morte di milioni innocenti. Non rimandiamo il ricordo solamente alle guerre sante, ai bombardamenti, ai campi di concentramento e alle massicce deportazioni delle popolazioni. Quanti delitti ancora oggi vengono compiuti con immediata crudeltà, preparati a volte da interi piani di odio razziale ed etnico! A questo cimitero di vittime di crudeltà oggi si aggiunge ancora un altro grande cimitero: gli attentati terroristici, i non sopravvissuti nei viaggi disperati della morte, le uccisioni a intere popolazioni per condizione religiosa, politica o sociale.

Non uccidere, e comunque in nome di nessun Dio. Quanti trafficanti di morte ci sono oggi! Assistiamo a tanti omicidi. Non dimentichiamo ciò che ci insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica: è peccato grave l’aborto; è peccato contro la vita anche l’eutanasia, quando si pone fine a una vita fragile e debole; è peccato grave commettere un omicidio diretto e volontario o collaborare ad esso, è peccato grave anche il suicidio. Spesso però quest’ultimo è frutto di una condizione di grave sofferenza psichica e non è in alcun modo disprezzo per la vita.

Sappiamo, anche, che non si uccide solo fisicamente. Si può "uccidere" anche con la lingua, infamando il buon nome del fratello o esprimendo giudizi avventati.

Il Concilio Vaticano II ci ricorda che si può essere omicida per inerzia, per omissione e per proprio egoismo:"Di fronte al numero tanto grande di affamati in tutto il mondo, il Concilio insiste verso tutti, e specialmente verso le autorità, perché ricordino questa parola dei Padri: Dà da mangiare a chi muore di fame, perché se non dai da mangiare, lo hai ucciso"(GS 69,1).

Vogliamo vivere bene questo quinto comandamento? Trasferiamolo in comportamenti positivi: proteggi la vita, proteggi la salute, rispetta la dignità di ogni persona, a prescindere dalla sua razza o religione, di età o di intelligenza, dallo stato di salute o di malattia. Accogli ogni uomo come dono di Dio, unico e irripetibile.

Amiamo la vita cominciandola a rispettare in noi e negli altri. L’amore è più forte della morte.

 

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ultimo aggiornamento 09 marzo, 2017