I COMANDAMENTI (7)
Non commettere adulterio

 

Sac. Angelo Spilla

 

 

Il sesto comandamento del Decalogo recita così:"Non commettere adulterio". Di questo comandamento forse abbiamo in mente una formulazione che non corrisponde in modo preciso all’originale biblico. Partiamo allora dal comprendere questo sesto comandamento del Decalogo secondo la concezione dell’antico popolo d’Israele, soprattutto in riferimento al matrimonio. Bisogna insomma riferirsi alla situazione sociologica dell’antico Israele che praticava la poligamia e dove la donna sposata era considerata in certo senso come proprietà del marito. Non c’era niente che proibisse formalmente all’uomo le relazioni con donne non sposate o con schiave. Per Israele, al centro del matrimonio non sta la sessualità, bensì la relazione di coppia, intesa per i partner come condizione per una buona riuscita della loro vita. Proprio perché il comando "non commettere adulterio"(Es 20,14 e Dt 5,18) non si riferiva all’area sessuale generale bensì a quella specifica del matrimonio, l’adulterio era considerato soprattutto come offesa alla comunione sponsale. Adulterio, secondo la terminologia latina ("rendere diverso/alterare"), nella Bibbia fa riferimento a un uomo che intraprende una relazione con una donna sposata. Le relazioni extraconiugali di un marito non costituivano adulterio, giacché questi poteva sempre, grazie alla poligamia, prendere come seconda moglie quella con la quale aveva tenuto relazioni. La situazione della sposa, però, era molto differente. Non potendo avere più di un marito e stando sotto il dominio del suo, qualunque relazione sessuale extraconiugale la rendeva subito adultera. Questa era adultera quando, quindi, rompeva il proprio matrimonio o i propri sponsali.

L’adulterio, quindi, veniva equiparato a una impurità legale ed era un delitto di diritto pubblico con pena di lapidazione. La donna sposata entrava a far parte della "cognatio" di suo marito. Le relazioni extraconiugali della sposa introducevano in questa "cognatio" sangue estraneo, che comprometteva la purezza della linea generazionale.

La donna nella concezione biblica era vista come proprietà dell’uomo. In presenza, poi, di una concezione maschilista presente nell’antico vicino Oriente, ha influito ancor di più la situazione sfavorevole della donna in caso di adulterio, proprio perché mettendosi con un altro uomo avrebbe dissipato la proprietà di suo marito, poiché considerata come sua proprietà.

Era sempre la donna, insomma, in condizione sfavorevole in caso di adulterio, mentre non veniva colpita seriamente la relazione dell’uomo sposato con una nubile o una prostituta.

È noto poi, riguardo a ciò, l’istituto del divorzio codificato nel libro del Deuteronomio:"Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che essa non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualcosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa"(24,1).

Da qui, lungo la tradizione giuridica del giudaismo, sono seguiti due fronti antitetici, quello rigorista che ammetteva il divorzio solo in caso di adulterio e quello lassista che lo concedeva per qualsiasi giusta causa ("non trovar grazia agli occhi" del marito). La donna così non solo non poteva ricorrere al divorzio ma neppure appellarsi contro la sentenza di scioglimento del suo matrimonio.

Ma andiamo al Nuovo Testamento, l’insegnamento di Gesù, per trarne delle considerazioni, oggi, da cristiani. Gesù nel Discorso della montagna sembra inasprire l’istanza del sesto comandamento. Egli annuncia:"Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio; ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con essa nel suo cuore"(Mt 5,27). Condanna gli sguardi, i desideri impuri, mentre raccomanda la fuga delle occasioni e il coraggio della mortificazione. Gesù insiste ancora dicendo:"Fu anche detto: chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto di ripudio. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, all’infuori del caso di concubinato, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una donna ripudiata, commette adulterio"(Mt 5,31-32). Gesù parlando di concubinato faceva riferimento alle unioni di per sé già vietate dalla legge mosaica, cioè il matrimonio tra parenti (cfr Lv 18).

Gesù, quindi, attua una revisione fondamentale del modo di comprendere e compiere la legge morale dell’antica alleanza. Propriamente perché "all’inizio non era così", Gesù restituisce al matrimonio le proprietà dell’unità e dell’indissolubilità:"I due diventeranno una sola carne"(Mc 10, 9). Adulterio e violazione del patto coniugale stanno insieme. E riscopre la ricchezza di valori che erano nel disegno del Creatore, di quell’amore che è donazione e comunione di tutta la vita, vivendo la sessualità all’interno della vita della coppia non in modo meramente fisiologico e istintivo ma trasfigurandolo in eros, segno di bellezza e di partecipazione all’amore stesso di Dio.

Questo è quanto contenuto pure nell’Antico Testamento. Pensiamo, ad esempio, lo splendore del Cantico dei Cantici che è la celebrazione "dell’amore forte come la morte"(8,6), quando nella donazione totale e assoluta la donna del Cantico proclama:"il mio amato è mio e io sono sua… Io sono del mio amato e il mio amato è mio"(2,16; 6,3).

Questo comandamento in positivo potrebbe leggersi così: siate fedeli l’uno all’altro, come il Signore, nostro Dio, è fedele e ama noi, suo popolo.

Ma vediamo, anche, come questo comandamento si estende a tutta la morale sessuale. La tradizione cristiana ha interpretato l’uso della sessualità nel suo significato fondamentale, finalizzato al dono totale nel matrimonio, alla procreazione responsabile dei figli, al predominio della razionalità sull’istintività, alla comunione d’amore.

Ai giorni d’oggi, però, la sessualità sembra essere affidata totalmente alle emozioni personali. A pochi interessa la morale sessuale proposta dalla Chiesa. Ma la Chiesa continua a dire una cosa bellissima: la sessualità è invenzione di Dio, ed è una gran bella trovata; la sessualità è il linguaggio di verità; linguaggio più intimo e autentico che una persona possa vivere; dici la verità col tuo corpo solo se c’è un progetto, una maturazione, quando sei pronto ad amare l’altro tanto da sposarlo; la sessualità è finalizzata a dirsi il proprio bene ed è aperta alla vita. Ci dice pure quelli che sono i principali peccati contro la castità, che fanno del male all’amore.

Atti che negano l’amore sono l’adulterio, che ci allontana dal coniuge e incrina il rapporto di fiducia, la masturbazione, la fornicazione, la pornografia, la prostituzione, lo stupro, gli atti omosessuali.

Questo comandamento ci invita a non prendere alla leggera la sessualità e avverte che separare la sessualità dall’esperienza dell’amore sminuisce la bellezza dell’unione stessa, offende la nostra persona e i nostri sentimenti più profondi. Ci invita ad amare e rispettare la purezza.

Ricordiamoci che amare è donare e non possedere, e chi vive solo per se stesso non ama.

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ultimo aggiornamento 12 aprile, 2017