I COMANDAMENTI (8)
Non rubare

 

Sac. Angelo Spilla

 

 

"Non rubare". È un comandamento formulato in modo generale, senza menzione di nessun oggetto specifico. Fa certamente riferimento, però, a tutto ciò che noi oggi chiamiamo furto, e quindi l’appropriazione ingiusta dei beni materiali del prossimo.

Il comandamento non rubare secondo il suo originale e primario significato biblico era in riferimento ai truffatori di persone; era in riferimento a coloro che realizzavano guadagni e si arricchivano a spese degli altri. Era uso presso l’antico popolo d’Israele che qualcuno, non avendo come pagare dei grossi debiti, si vendesse come schiavo al suo creditore. Ma c’era pure la legge mosaica che poneva un limite a questa consuetudine: "Se un tuo fratello, un ebreo o un’ebrea, si vende a te, ti servirà per sei anni, ma al settimo lo rimanderai libero. Quando lo lascerai andare via libero, non lo lascerai a mani vuote, ma gli farai doni dal tuo gregge, dalla tua aia e dal tuo torchio. Nella misura in cui il Signore tuo Dio ti avrà benedetto, darai a lui. Ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore ti ha riscattato. Perciò oggi ti comando questo"(Dt 15, 12-15).

Era chiaro agli ebrei che Dio disapprova che i ricchi sfruttano i poveri come schiavi. Questo comandamento prima di tutto, quindi, mette in primo luogo il diritto della persona umana al possesso delle cose come beni.

Qualche autore moderno ha fatto notare che questo settimo comandamento, se considerato nella sfera dei beni materiali, risulterebbe un doppione del decimo. Per cui questo comandamento, nella sua origine, non era in riferimento alla proibizione del furto in generale, ma al rapimento di un israelita libero, fatto soprattutto in vista di venderlo come schiavo. È il caso di Giuseppe, venduto dai suoi fratelli (cfr Gn 40,15). Questo comandamento affermerebbe, quindi, innanzitutto il diritto dell’israelita alla libera disposizione di se stesso. Sono un bene sacro la vita e la libertà. Come Israele è stato liberato da Dio dalla schiavitù dell’Egitto, così non si deve rapire nessuno di questi liberati per fare di lui uno schiavo.

Ma il comandamento ha anche una sua estensione più ampia: è una cosa moralmente cattiva appropriarsi di ciò che appartiene agli altri; si estende cioè ad un orizzonte più vasto come il furto di oggetti e beni; una estensione di significato dal rapimento alla rapina. Il comandamento condanna tutti gli attentati contro la libertà umana, e in particolare tutti i tentativi moderni, infinitamente vari, per ridurre in schiavitù la persona umana (cfr GS, 27).

Volendo attualizzare il settimo comandamento, cerchiamo di comprendere il significato e ciò a cui fa riferimento questo divieto. Il rubare è un impossessarsi delle proprietà altrui contro la ragionevole volontà del padrone ed è un’offesa alla giustizia e, ancor più, alla verità.

Questo comandamento, quindi, proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni e di arrecare danno al prossimo nei suoi beni. Fa riferimento a questo comandamento l’e­stor­sione, come anche l’abuso di cui può essere fatto oggetto la persona umana. È furto anche pagare salari ingiusti, speculare sul valore dei beni per trarre vantaggio a danno di altri, contraffare assegni o fatture.

Proibisce, anche, di commettere frodi fiscali o commerciali, come anche di arrecare volontariamente un danno alle proprietà private o pubbliche.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice pure che è furto anche l’usura, la corruzione, l’abuso privato di beni sociali, i lavori colpevolmente male eseguiti, lo sperpero. È in riferimento al retto agire nell’attività economica e nella vita sociale e politica, all’amore per i poveri, alla dignità del lavoro umano e alla giustizia.

Anche lo stesso doppio lavoro, fatto per ingordigia di guadagno, diventa violazione di questo comandamento, perché in questo modo si toglie l’impiego al disoccupato. Si ruba evadendo le tasse, imbrogliando sui prezzi, non compiendo fino in fondo il proprio lavoro.

La lista dei furti continua ancora: un imprenditore che costringesse i suoi dipendenti a lavorare ben oltre il dovuto, forse anche minacciandoli di licenziamento, o fare firmare la paga mensile dando una somma minore. Pensiamo pure alle "tratta delle donne", fatte schiave nel mercato della prostituzione. Anche il turismo sessuale tacitamente regolamentato e pubblicizzato, o a quelle persone che non possiedono regolari permessi di soggiorno e sono in balia dei loro padroni. Sono ladri anche i "trafficanti di confini" estorcendo cifre elevatissime promettendo lavoro e benessere. È furto pure levare l’onore a un uomo, la dignità a una donna, la tranquillità ad una persona, la speranza ad un anziano, l’affetto ad un bisognoso, ecc.

Sappiamo comunque che Dio ci ordina di riparare al danno arrecato e a non farlo più. Ricordiamo dal vangelo il caso di Zaccheo che ottiene il perdono dal Signore davanti al pentimento e al proponimento: "Se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto"(Lc 19,8). Chi infrange questo comandamento è chiamato, oltre che a chiedere perdono, a fare un gesto concreto: restituire ciò che ha rubato.

Il comandamento può esprimersi in termini positivi così: mi basta quello che ho. Sono riconoscente di ciò che Dio mi dà e gioisco per quello che possiedo.

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ultimo aggiornamento 15 maggio, 2017