Carità e misericordia di Dio per tutti gli uomini

 

     S.S. Paolo VI  

Riportiamo alcuni brani dell’Omelia che il Santo Padre il 4 giugno 1967 ha tenuto durante la celebrazione della Santa Messa nella Basilica Vaticana, spiegando il tratto del Vangelo del giorno

L’onnipotenza, le sollecitudini, la bontà di Dio amore infinito e la necessaria rispondenza degli uomini alla sua legge

Immaginare il volto di Gesù

Immaginiamo che a ciascuno di noi fosse proposto il tema: descrivete la fisionomia di Cristo; fate il ritratto di Gesù, anche sensibile; tracciate il suo profilo, la sua immagine.

Quante ne abbiamo viste di queste immagini!

Ma quale è il tratto caratteristico a cui Egli ha tenuto?

Il buon pastore custodisce e cerca

Soffermiamoci a quanto ci espone il Vangelo.

Gesù ha tracciato un paragone che, si può dire, riassume l’intero suo insegnamento quando ha detto: Io sono il BUON Pastore. Gesù ha voluto assimilarsi questa semplice figura agreste che, meditata in chiave simbolica, ci dice una immensità di cose.

Ora proprio questo pensiero ritroviamo nella pagina di oggi, e quasi in fase polemica.

Avevano rimproverato al Divino Maestro di conversare con gente assai discussa, con i pubblicani, i peccatori; di arrivare persino ad assidersi a mensa con loro. Non così doveva agire un profeta. Come fa a chiamarsi il Cristo chi discende all’ultimo livello dei rapporti sociali?

Allora Gesù, per difendersi, ricorre a due paragoni: del pastore, il quale, avendo smarrita una pecora, lascia nel sicuro recinto le novantanove che non corrono pericolo e va in cerca della centesima, e non desiste dalla fatica sin quando non la riporta all’ovile.

Il secondo raffronto è molto curioso. Gesù si paragona a una donna di casa, la quale cerca con ansia una moneta cadutale dal gruzzolo e rovista ovunque sin quando riesce a ritrovarla.

In questi affanni Gesù raffigura Sé stesso.

Incontriamo così, nel racconto, il tratto saliente della fisionomia umana e morale di Gesù.

Gesù si è voluto raffigurare in un ricercatore, poiché viene a ricuperare gli uomini perduti.

Gesù insegue un essere, un tesoro che gli è sfuggito di mano e si rappresenta nell’ansia di chi sta appunto esplicando la ricerca febbrile di ciò che per Lui è inestimabile bene. Il Figlio di Dio ricercatore degli uomini.

Ciò vuol dire che gli uomini, e siamo noi, appartengono a Lui; sono Sua proprietà. Ancor prima di aprirmi alla coscienza e alla vita, io sono già nel Cuore di Cristo; sono il Suo gregge, il Suo avere, la Sua ricchezza.

Noi, iniziando la vita, siamo già parte di questo patrimonio: esso è inestimabile. Noi apparteniamo a Dio.

E non basta: il miracolo di questa scoperta procede in una rivelazione che non ci aspetteremmo e che sembra illogica.

Quegli che è creatura, a un tratto sfugge, si perde. Questo fatto quale reazione provoca? Noi penseremmo: di collera, condanna, anatema.

Nel Vangelo, invece, — ecco la sublime novità — questo distacco che, col Catechismo alla mano, chiamiamo peccato (la più grande disgrazia che l’uomo può infliggere a se stesso, poiché lo separa dalla vita), invece di provocare un abbandono, una condanna, suscita affanno ed amore anche più intensi. Sembrerebbe trattarsi di un paradosso: invece è così.

Ora, se adunque riflettiamo che quelle anime siamo noi, che noi siamo l’oggetto d’una trama divina, di questa attenzione che si concentra su di noi e ci insegue e persegue e ci vuole, coglieremo il contenuto della pagina di Vangelo che stiamo meditando.

L’uomo se ne va; si allontana. E Dio, rincorrendolo e ritrovandolo, disvela la meraviglia della Sua grandezza più nel perdonare i fuggiaschi, nel colmare l’abisso di nullità prodotta dal peccato che non nella stessa creazione!

Abbiamo mai pensato quanto noi valiamo?

Noi siamo oggetto e tanto più reale quanto meno degno, dell’Amore di Dio. Ora se Dio ci ama è segno che l’essere umano, la nostra vita è di un valore incalcolabile. Il Signore ha dato Sé stesso per recuperarci.

C’è ancora di più. Nonostante questo nostro dramma di incoscienza e di malizia col quale dissipiamo il tesoro datoci dal Signore per vivere la Sua luce e la Sua grazia, noi possiamo essere reintegrati nella dilezione di Dio.

Come la pecorella smarrita, la moneta perduta.

Siamo fatti per il salutare ritorno.

Di questa rivelazione del Vangelo dovremmo ringraziare, con le lacrime agli occhi, il Signore; poiché concerne il destino di ciascuno di noi.

Io sono salvabile: dunque non vi è più alcun motivo di disperazione.

Ci accoglie sempre l’amore infinito

Questa pagina del Vangelo cancella, quindi, la disgrazia più grande che possa toccare all’umanità: appunto il ritenersi abbandonati, reietti; il disperare. Quando si pensa agli scritti, di gran parte della letteratura moderna che terminano con asserzioni desolate sulla impossibilità del recupero, del tornare, del riprendere, del rivivere, del risorgere, bisogna proclamare che il Vangelo sconfigge tali errori, supera l’abisso e proclama: tu devi sperare. Voltati indietro: guarda chi ti insegue: Dio ti è vicino. Gesù ti ama: è il Salvatore. Basta aprire le braccia, abbandonarti fiducioso sul Suo Cuore. Egli non ti farà aspettare. Ti desidera proprio in questo atteggiamento di umiltà e intende svelarsi a te nel supremo dono della Sua bontà. Tu eri morto e il Signore ti risuscita.

Soffermiamoci su di un solo tratto, quello che ci proponevamo di cogliere per imprimere nel nostro cuore l’immagine di Cristo. E’ il tratto che lo definisce di più. Ricordatevi, o figli, o fratelli, che Cristo è buono: anzi è la Bontà inesauribile; è l’Amore infinito.

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ultimo aggiornamento 08 settembre, 2017