Gli incontri
di Gesù (2)

 

 

 

 

 

 

Gesù incontra un paralitico

Sac. Angelo Spilla

 

 

L’evangelista Marco ci descrive molto bene e dettagliatamente l’incontro di Gesù con il paralitico di Cafarnao (Mc 2,1-12; cfr pure Mt 9,1-8 e Lc 5,12-16).

Gesù durante la sua vita pubblica aveva fissato la sua dimora a Cafarnao, che etimologicamente significa "villaggio di Nahum". Nahum è la persona consolata. Questo villaggio diventa dunque tutto un programma di salvezza. Proprio qui avviene quest’altro incontro.

Mentre Gesù parla alla folla in una casa non meglio identificata, avviene il doppio miracolo: il perdono dei peccati e la guarigione. La casa è probabilmente quella di Pietro, dove Gesù abitualmente dimorava (Mc 1,29).

Mentre Gesù annunzia la parola ecco che quattro persone si fanno avanti portando un paralitico. Non riuscendo però ad avvicinarsi a lui a causa della folla, scoperchiano il tetto nel punto dov’egli si trovava e, attraverso l’apertura, calano davanti a lui il lettuccio su cui giaceva il paralitico, copertura composta da canne, rami e fango seccato.

Allora, vista la loro fede, Gesù dice al paralitico:"Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati".

L’asserzione di Gesù è sorprendente tanto da sconvolgere e stupire tutti: infatti soltanto Dio può rimettere i peccati. Ma particolarmente gli scribi l’intendono come usurpazione di una prerogativa di Dio. Nel loro cuore considerano Gesù un bestemmiatore. Gesù li smaschera interiormente, legge dentro di loro e mette a nudo il loro orgoglio. Per dimostrare che ha il potere divino di rimettere i peccati opera il miracolo della guarigione del paralitico:"Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico -: alzati, prendi la tua barella e và a casa tua".

E’ la prova della potestà divina di Gesù di rimettere i peccati. Egli è il medico dei malati e dei peccatori. In Gesù Dio è venuto nel mondo, è entrato nella storia dell’uomo per condividerla e salvarla. Egli salva tutto l’uomo, nel suo corpo e nella sua anima; proclama così l’amore misericordioso e salvifico di Dio, facendoci comprendere che la malattia più grave non è quella fisica, ma quella che si annida nel cuore dell’uomo e lo sconvolge profondamente: il peccato.

Ma desidero soffermarmi particolarmente guardando il contesto di questa guarigione. A prendere l’iniziativa di incontrarlo per sottoporgli un paralitico sono quattro uomini. Non si conosce nulla di loro, né l’evangelista ci fornisce indicazioni sul tipo di malattia. Tuttavia, il fatto che il paralitico fosse "portato" su un lettuccio ci fa pensare ad una malattia totalmente invalidante.

Da qui cogliamo innanzitutto la descrizione dell’umile e risoluta impresa di queste quattro persone che vogliono ad ogni costo fare incontrare il paralitico con Gesù. Hanno deciso cosa fare. E Gesù prontamente, "veduta la loro fede, disse al paralitico: Figliolo, i tuoi peccati ti sono perdonati".

La fede dei portatori e la sofferenza del paralitico riescono ad attirare l’attenzione di Gesù. Sempre nei vangeli, fede e sofferenza scuotono Gesù e lo impegnano a dare risposta a chi chiede aiuto. Sappiamo come Gesù prova compassione per i malati e i poveri. Ogni situazione di bisogno è per lui motivo di intervento per ristabilire ogni tipo di guarigione, espressione dell’umanità nostra bisognosa di essere guarita e salvata dal male e dal peccato.

Quella fede salda dei barellieri incontra un percorso sconcertante ma assai fruttuoso. Si attendevano che Gesù lo mettesse in piedi subito ma ecco che Gesù dice al pa­ra­li­ti­co:"Figlio, ti sono perdonati i peccati". Ci si aspettava una guarigione immediata ma Gesù capisce che ci sono altre urgenze. Gesù si rivolge al malato con molta tenerezza e lo chiama "Figlio!" (in greco "Tékon", cioè "figlioletto mio", "piccolo mio"). E poi che fa Gesù? Salta tutti i passaggi tipici della religione, non sgrida per i peccati commessi e non chiede neppure il pentimento, non propone sacrifici. Dà solo l’annunzio del bene che compie: "Ti sono rimessi i peccati … risorgi … cammina". La guarigione fisica che poi compie è segno del miracolo del perdono dei peccati compiuto.

Cosa ha compiuto dunque Gesù? Riconosciuta la fede dei suoi quattro amici che lo fanno arrivare davanti a Lui, Gesù come primo e principale dono offre il perdono dei peccati. È il segno del grande amore che Dio ha per noi. Questo ci ha rivelato e mostrato Gesù. La guarigione fisica e il perdono dei peccati sono dunque espressione di un unico gesto di misericordia che Dio compie nei confronti dell’uomo. Ecco che cosa nasce da questo incontro.

Alle parole di Gesù il paralitico si alza, prende il suo lettuccio e se ne va in presenza di tutti e tutti si meravigliano e lodano Dio dicendo:"Non abbiamo mai visto nulla di simile!".

Lo stupore della gente mette in luce l’eccezionalità di un personaggio che libera e guarisce attraverso il perdono.

Da questo incontro con Gesù possiamo anche comprendere il valore del perdono che offre anche a noi nel sacramento della riconciliazione. Il Signore ci ha donato un sacramento per la nostra guarigione. In esso si rivela il volto di Dio che ci conosce intimamente, che si fa vicino con tenerissimo amore e ci perdona.

C’è poi un’ultima raccomandazione di Gesù:"Và a casa tua". L’uomo rimesso in piedi è rimandato al suo quotidiano, al suo nuovo camminare che egli deve inventare, su di un cammino di dignità e di libertà.

 

 

 

 

 ha indotto a scrivere queste riflessioni spirituali è stata la lettura di alcune meditazioni mattutine di Papa Francesco tenute nella cappella di Santa Marta. Si tratta del tema dell’incontro con Gesù. È questo che mi ha colpito particolarmente. Meditando il Vangelo infatti troviamo tanti episodi in cui Gesù incontra dei personaggi e per ognuno c’è un messaggio, un evento di grazia, un momento decisivo per la conversione.

Il tema dell’incontro è importante. E’ il modo scelto da Gesù per cambiare la vita degli altri. Più precisamente, Papa Francesco considera il "primo incontro" con Gesù, quello che "cambia la vita" di chi gli sta di fronte: "Giovanni e Andrea, che trascorrono con il Maestro "tutta la serata", Simone che diventa la "pietra" della nuova comunità, e poi la Samaritana, il lebbroso che torna a ringraziare per essere stato risanato, la donna ammalata che guarisce sfiorando la tunica di Cristo. Incontri decisivi che devono indurre un cristiano a non smarrire mai la memoria del suo primo incontro con Gesù" (24-04-2015).

Attraverso la riscoperta della ricchezza di questi incontri con Gesù descrittici nel Vangelo, non dimentichiamo il nostro incontro con il Maestro. Gesù non dimentica mai il giorno in cui ha incontrato pure noi. Da parte nostra, attraverso queste riflessioni che hanno come obbiettivo "l’incontro con Gesù", chiediamo a Dio la " grazia della memoria" per ricordarlo sempre.

Sempre, con Papa Francesco chie­dia­mo­ci: "Quando tu mi hai detto qualcosa che ha cambiato la mia vita o mi hai invitato a fare qualche passo avanti nella vita?" Ogni uomo ha un incontro personale con il Signore, un incontro vero, concreto, che può cambiare radicalmente la vita. Guardiamo allora il Vangelo e vediamo come Gesù incontra la gente, sceglie gli apostoli, incontra tanti volti con una loro propria storia. Tanti incontri che sono lì con Gesù. Forse qualcuno assomiglia al nostro.

Per primo inizio adesso a considerare la chiamata dei primi quattro discepoli. Ce ne parlano i Vangeli sinottici (Mc 1,16 – 20; Mt 4,18 – 29 e Lc 5,1 – 11). "Gesù passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: " Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini". E subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando un poco oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, mentre riassettavano le reti. Li chiamò, ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo sulla barca con i garzoni e lo seguirono" (Mc 1,16 – 20).

Questi versetti mostrano l’atteggiamento nuovo e solidale del cristiano. Ci presentano la chiamata "tipo" che sgorga dall’incontro con Gesù; c’è un susseguirsi di movimento tra il Gesù che va "un poco oltre" e il "seguitemi" chiesto a questi primi apostoli, lasciando tutto.

Ci troviamo lungo il lago di Galilea, quando Gesù dopo aver ricevuto il battesimo da Giovanni, comincia a chiamare alcuni uomini e chiede loro di seguirlo. È un momento importante.

E l’iniziativa non parte da noi ma da Gesù. Se guardiamo alla struttura del Vangelo di Marco ci accorgiamo che non si tratta di un cammino dell’uomo, ma del cammino di Dio tra gli uomini. All’uomo viene chiesto di seguirlo, lasciando tutto. La chiamata alla sequela costituisce tutta la intelaiatura del Vangelo di Marco. E questo vangelo poi si conclude con le parole: "Egli vi precede in Galilea. Lo vedrete come vi ha detto" (16,7).

La vita cristiana si attua seguendo passo passo il cammino che Gesù ha compiuto testimoniando la presenza del regno di amore e di vita, la conversione, e quindi la presenza di Dio in mezzo agli uomini. Gesù nella nostra Galilea, nella nostra vita quotidiana cioè, esce sempre per incontrarci e chiamarci alla sua sequela. Apre un cammino nuovo per noi, è il cammino di libertà, di amare, di giustizia … il cammino di Dio.

Che bello sapere che abbiamo un Dio che si muove alla ricerca dell’uomo. Prima Gesù proclama l’annuncio: "il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo", e poi segue la chiamata: "seguitemi". La risposta è libera. Qui giochiamo il nostro destino.

Si sbagliano quelle persone che pensano che la sequela sia la semplice accettazione intellettuale di una dottrina o di un insegnamento staccato dalla persona e dalla storia concreta di Gesù, non è neppure soltanto un accogliere l’evento della parola che irrompe nella nostra vita, come neppure solo l’imitazione di modello.

La sequela implica il vivere per Gesù e come Gesù ha vissuto, compiendo cioè le sue stesse scelte. È una vita e una prassi. Ecco perché richiede anche l’abbandono di tutto ciò che è passato.

Per i primi quattro discepoli c’è stata questa esplicita chiamata e anche un seguire fisicamente Gesù per una missione particolare: saranno apostoli.

Come è stata vissuta questa chiamata da parte di questi primi quattro apostoli? Ce lo dice il Cardinale Carlo Maria Martini: "La risposta che cercavano a tanti interrogativi, a tanti vicoli ciechi, a mille domande senza speranza è finalmente giunta, si è presentata li dinanzi a loro nella forma concreta di un uomo che li chiama a venir fuori dalla loro esistenza per cominciare una vita completamente nuova".

Una chiamata che comincia da uno sguardo di amore. Un messaggio per noi abituati forse a coltivare sguardi di ipocrisia di indifferenza. Lo sguardo di Gesù è tutt’altro e i vangeli ce ne parlano spesso di questi sguardi di Gesù; è sempre uno sguardo di amore.

Per noi è difficile accoglierlo? Gesù a che cosa chiama? In maniera generica: a seguirlo. "Venite dietro a me". Ci chiama ad andare dietro a lui: Vi farò pescatori di uomini (1,17). Bisogna fidarsi totalmente di Lui.

È sbalorditivo constatare come questi primi discepoli senza alcun tentennamento lasciano tutto e lo seguono. Dio raggiunge ogni uomo nella sua libertà, affinché lo possa conoscere e nel Figlio avere la conoscenza della salvezza.

Riconosciamo come la fede passa sempre attraverso degli incontri, che ha che fare sempre in una dimensione di comunità, lasciando che sia il Signore a determinare i tempi, i momenti, i passaggi, e noi essere disponibili a farci sorprendere continuamente dal Signore.

Mi piace pensare alla fede, esattamente questo credere come movimento, come adesione, come impegno della persona, anche se non si capisce tutto subito.

L’incontro con il Signore ha queste caratteristiche, è un incontro concretissimo che cambia radicalmente la vita, nella misura in cui uno è disposto a mettersi in gioco.

Questa chiamata invita ognuno di noi a prendere coscienza di quanto la nostra vita sia stata trasformata dalla chiamata di Gesù.

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ultimo aggiornamento 13 novembre, 2017