Gli incontri
di Gesù (5)

 

 

 

 

 

 

 

Gesù incontra
una ragazza morta

 

Sac. Angelo Spilla

 

Ci soffermiamo su un brano dell’evangelista Marco che ci presenta l’incontro di Gesù con una ragazza morta. In verità qui l’evangelista ci riporta due caratteristici episodi, due miracoli, inseriti l’uno nell’altro (Mc 5, 21-43).

Nei primi versetti entra in scena Giairo, uno dei capi della sinagoga, che va da Gesù per chiedergli di andare ad imporre le mani alla figlia che sta per morire. Poi è narrata la guarigione di una donna che, da dodici anni, ha perdite di sangue. Infine riprende il racconto della malattia, della morte e della risurrezione della figlia di Giairo.

Esamino in particolare il racconto del miracolo operato da Gesù a questa fanciulla dodicenne, anche se in realtà i due miracoli intrecciati sono legati da alcuni elementi comuni; hanno in sé una somiglianza in crescendo. Da dodici anni la donna ha perdita di sangue, e quindi perdita di vita; la ragazza , di dodici anni, è morta. Dodici è il simbolo del popolo d’Israele. L’elemento che unisce i due miracoli è la fede che salva.

Ma vediamo il racconto evangelico. Gesù arriva in barca e la folla si fa vicino a lui. Arriva intanto Giairo, il capo della sinagoga, il quale chiede l’intervento di Gesù perché la figlia sta morendo. Segue la scena della donna affetta da emorragia la quale con fede tocca il mantello di Gesù e viene immediatamente guarita. Il sangue rendeva impura una persona e chi la toccava diventava anche impuro. Questa donna viene guarita da Gesù per la sua fede.

Ma eccoci nuovamente al caso di Giairo. Arriva la notizia della morte della bambina. In quel momento il personale della casa di Giairo con dispiacere informa che la figlia è morta e che quindi non c’è più bisogno di disturbare Gesù. Evidentemente si credeva che Gesù avesse potere soltanto sulla malattia e non sulla morte. Ma Gesù non ha paura della morte e non retrocede di fronte ad essa. Che cosa fa, dunque? Dice a Giairo:"Non temere, continua ad avere fede".

Gesù chiede a Giairo di rafforzare la propria fede e vuole realizzare questo incontro con la fanciulla. Giairo che prima aveva parlato avendo supplicato Gesù, adesso diventa un personaggio silenzioso chiamato solamente a rafforzare la fede. Anche se fa esperienza del vuoto e della finitezza. È l’itinerario che porta alla salvezza della sua figlioletta. Deve continuare a mantenere questa sua fede in Gesù, deve continuare in questa sua speranza. E lo fa.

Questo è assai importante e ci dà grande insegnamento perché credere è andare al di là del nostro orizzonte umano, oltre alle nostre naturali capacità di comprendere. Credere significa essere certi che ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio (Mc10,27).

Spesso, invece, noi questo non lo viviamo; anzi a volte non sappiamo testimoniare questa fede per un insieme di difficoltà. Forse perché presi dal rispetto umano e quindi abbiamo paura o proviamo vergogna di manifestare la propria fede; a volte perché pensiamo che la fede sia un comportamento di debolezza o una diminuzione della propria personalità. Intervengono pure le difficoltà esterne ed interne, dovute alle incomprensioni o anche alle opposizioni che si possono incontrare. Come pure i tanti "silenzi"di Dio.

L’esercizio pratico della fede, invece, è meritorio e rende gloria a Dio. Credere è un atto di onestà e di umiltà contemporaneamente. Questa fede, quindi, testimoniata, come nel caso di Giairo, dimostra che Gesù è Figlio di Dio, in quanto si rivela Signore, padrone assoluto della vita. Per chi ha fede in Gesù non esistono situazioni irrecuperabili. L’esempio di Giairo ribadisce che il dono della fede è un cammino da eseguire quotidianamente e in compagnia di Gesù.

Nel racconto evangelico immaginiamo adesso che Gesù passa avanti e si reca nella casa di Giairo ove opera il miracolo. A Gesù interessa quella fede che via via va purificandosi, va crescendo e diventa adesione fiduciosa a Cristo, incontro salvifico. Il potere di conferire vita da parte di Gesù non si arresta neppure di fronte al maggior nemico dell’uomo, la morte.

A questo punto Gesù giunge in casa. Non volendosi mettere in mostra e tenere lontana una fede che si basa solo sui miracoli come tali, Gesù prende con sé tre dei suoi discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni e assieme ai genitori della bambina si reca nel luogo ove la bambina giaceva morta, dicendo a tutti che la bambina non era morta ma che dorme. L’allontanamento delle lamentatrici e dei flautisti non ha solo il significato che vuole compiere il miracolo nel silenzio e nel nascondimento ma che i lamenti funebri sono fuori posto per quello che sta per accadere.

E proprio davanti alla bambina prendendole la mano, Gesù esclama:"Talità Kum, fanciulla, io ti dico:alzati! e subito la fanciulla si alzò e camminava". Lei si alza e segue grande trambusto. Gesù, conservando la calma, chiede che le diano da mangiare.

Come la donna emorroissa aveva toccato Gesù, adesso Gesù tocca la fanciulla. Anche qui la santità di Gesù vince l’impurità. L’invito ad alzarsi è la chiamata a riprodurre nella nostra vita la carità con cui Dio ci fa partecipi della Sua vita.

È da questo incontro, dove Gesù chiede la nostra fede, che si manifesta questa presenza di Dio che ci ama e che ha in mano le sorti dell’uomo. È il Dio dei viventi e non dei morti, il Dio che fa trionfare la vita.

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ultimo aggiornamento 10 febbraio, 2018