ROBERTO LANZA

"Gesù, nella sua realtà umana e divina, scende nel limbo dove i santi, che non godevano ancora la visione beatifica, attendevano di essere liberati nell’ora della redenzione. Scendendo personalmente in quel carcere a liberarli, mentre avrebbe potuto farlo con un semplice atto della volontà o servendosi degli angeli, manifesta la sua carità e umiltà. Dopo aver infranto ogni impedimento in virtù del suo sangue, entra trionfalmente nel limbo con gli angeli." (Madre Speranza - La Passione - 1943)

La Pasqua è la principale solennità del cristianesimo, essa celebra la risurrezione di Gesù, avvenuta, nel terzo giorno dalla sua morte in croce, come narrato nei Vangeli. Fin dall’inizio dell’era cristiana la Chiesa ha celebrato la Pasqua annuale, solennità delle solennità, infatti, la Risurrezione di Cristo è fondamento della nostra fede e della nostra speranza. La parola "Pasqua", è una trascrizione dell’aramaico pasha che corrisponde all’ebraico pesah. L’etimologia di questa parola ebraica significa "passare oltre." Il Cristo ha sconfitto la morte e il terzo giorno è risuscitato, per questo aspettiamo la Risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà: è questo il cuore della nostra fede.

Dinanzi alla tomba non ci si può più fare illusioni: quel “masso” nessuno può rimuoverlo! Qui la nostra umanità si schianta.

La mattina di quel giorno sfolgorante, si era spento il vociare scomposto e sprezzante dei crocifissori, taceva la voce degli amici che hanno seguito il Maestro fino al Calvario, tacevano gli apostoli spaventati e chiusi nel cenacolo. In quelle ore confuse anche il Capo della Chiesa dirà che è tempo di ricominciare a pescare, di ritornare alla vita di tutti i giorni. Siamo davanti al sepolcro, tutto ci sembra finito: Gesù è morto e sepolto come tutti gli altri uomini. Sembra che l’evento "Gesù" sia stato un momento straordinario ormai finito nel fallimento. Gesù si è rilevata una bella favola, e il mondo, la vita, le speranze degli uomini si fermano ormai lì, davanti a quella tomba. Dinanzi alla tomba non ci si può più fare illusioni: quel "masso" nessuno può rimuoverlo! Qui la nostra umanità si schianta.

Mettiamoci una pietra sopra anche noi, e chissà quante volte abbiamo pronunciato questa frase, forse al termine di una discussione, oppure a conclusione di un periodo di forti incomprensioni con una persona a cui vogliamo bene. Mettiamoci una pietra sopra, lo diciamo proprio per guardare avanti, dopo un periodo difficile, dove magari la salute è venuta un po’ meno e in casa forse ci sono stati tanti problemi da affrontare. E chissà su quante altre situazioni della nostra vita abbiamo messo una pietra sopra, una pietra che ci ha convinto che è tutto finito che non vale la pena di andare avanti. Poi, però, capita spesso che quella "pietra messa sopra" non ci convince, e ci prende la curiosità di andare a vedere dentro quel luogo dove abbiamo sepolto il nostro passato, magari per vedere se quegli "scheletri nell’armadio" ci fanno ancora paura, o forse solo per renderci conto a che punto siamo arrivati nella vita e magari scoprire una verità che non ci piace. Resta il fatto che la pietra sopra non si può spostare, è pesante, e rotolarla via per andare a guardarci dentro non è poi così facile. Riguardare dentro la nostra vita e rivangare quell’uomo "vecchio", è una cosa faticosa e dolorosa, e forse a volte non ne vale nemmeno la pena: a che scopo? Per rimanerci ancora più male? Per imbalsamare il cadavere, e ungerlo con oli aromatici come fecero le donne di buon mattino al levare del sole?

Ma poi, anche nel momento in cui decidiamo di riguardare dentro il sepolcro della nostra vita passata, ci chiediamo: chi ci darà una mano? Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?

Per noi che abbiamo la “presunzione” di conoscere da sempre Dio e ci siamo “assuefatti” ad esso, il possesso della speranza, che proviene dall’incontro vero con questo Dio, quasi non è più percepibile

Se lo chiesero anche Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo, quel primo giorno dopo il sabato, di buon mattino al levare del sole. Certo, queste cose si fanno al mattino quando si è ancora freschi e volenterosi; la sera è troppo vicina alla notte, e il buio non è certo il momento migliore per rileggere la nostra esistenza, perché il buio fa ancora più paura. Questo nichilismo del nulla ci ha costretto a vagare senza più una meta, senza più ricercare Dio, perché "è morto", perché non c’è, non esiste, e a fine corsa c’è il nulla, non certo un aldilà. Ci attende la notte del nulla, non certo la luce di Dio. Siamo angosciati continuamente dal sentire che tutto passa, che noi passiamo, che passa ciò che è nostro, che passa quello che ci circonda. Anche il cristiano oggi rischia di lasciarsi travolgere da questo vortice di "disperazione collettiva" che affievolisce la fede e rende il cuore umano incapace e pauroso di amare, ripiegato sul suo egoismo.

Ma rimane il problema della grossa pietra, chi la farà rotolare via dal sepolcro?

Dobbiamo fare come le donne nei pressi della tomba di Gesù: alzare lo sguardo per accorgersi che la pietra è già stata fatta rotolare, anche se molto grande. Qualcuno ci ha già pensato, qualcuno ci ha già dato una mano, qualcuno ha giocato d’anticipo, qualcuno ci ha preceduto. Forse c’è sempre qualcuno che fa le cose per te, che giunge prima di te, che ti toglie le "castagne dal fuoco" ancor prima che tu possa accorgerti che stanno bruciando. Lui ti precede, ti cerca con amore instancabile, ti precede in Galilea. Adesso, però, occorre smetterla di essere titubanti e indecisi, occorre smetterla di avere paura, bisogna camminare con lo sguardo alto, perché Dio ha vinto la morte, e noi con Lui, perché in quel sepolcro ci siamo scesi insieme, Dio e noi: e "se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, perché la morte non ha più potere su di lui."1 L’amore spera, spera sempre, senza mai stancarsi di sperare, e l’amore verso Dio, la nostra fede in Dio, è innanzi tutto speranza in Lui.

Questa è la Pasqua dell’Amore Misericordioso!

Che significato ha la vita quando si incontra il dolore? Dov’è l’amore di Dio, se egli permette la morte? Lui è così forestiero da non sapere ciò che accade di negativo in questo mondo?

Per noi che abbiamo la "presunzione" di conoscere da sempre Dio e ci siamo "assuefatti" ad esso, il possesso della speranza, che proviene dall’incontro vero con questo Dio, quasi non è più percepibile. La speranza, invece, si riferisce a qualcosa che è oltre di noi, è l’attesa di un evento, promette qualcosa che si dovrà realizzare. Nelle Sacre Scritture i termini, con i quali traduciamo "speranza", significano non soltanto attendere con ansiosa trepidazione, ma soprattutto aspettare qualcosa di "bello". La Madre Speranza, di tutto questo impianto "pasquale" ne era veramente convinta, diceva così: "Senza questa luce del cielo che ci svela l’orizzonte infinito dell’eternità, che cosa sarebbe la presente misera esistenza che trasciniamo per alcuni giorni sulla faccia della terra? Ah, figlie mie! come è sventurata quella creatura per la quale non brilla la luce della speranza cristiana! Se non ci fosse il cielo, se il suo ricordo pieno di ineffabile dolcezza non infondesse coraggio nei nostri cuori, se la nostra vita dovesse terminare con la morte, quanto meglio sarebbe stato per l’uomo non essere nato!"2

È il rivivere completamente il cammino dei discepoli di Emmaus. "Noi speravamo", le scritture ci dicono che i due discepoli di Emmaus hanno coniugato il verbo sperare al passato: "Noi speravamo che…", chi "sperava", ora non spera più. Avevano seguito Gesù, avevano ascoltato la sua parola, avevano sentito dalle donne il racconto del sepolcro trovato vuoto e dell’apparizione dell’angelo che annunciava la risurrezione del Signore, però non sono stati capaci di accettare che Gesù sia morto e risorto. L’incontro con Gesù aveva suscitato in loro speranze e grandi progetti, ma poi erano rimasti improvvisamente inappagati: la croce e la morte di Gesù li aveva delusi e sconvolti. Per tre volte il vangelo dice che lungo il cammino "conversavano", "discorrevano", "discutevano", parlavano della loro esperienza e delusione. Che senso ha la storia? Che significato ha la vita quando si incontra il dolore? Dov’è l’amore di Dio, se egli permette la morte? Lui è così forestiero da non sapere ciò che accade di negativo in questo mondo? Per questo Gesù si accosta ai due discepoli e cammina con loro: "Ma non avete ancora capito che cosa si nasconde in mezzo agli avvenimenti che raccontate e neppure chi si nasconda in mezzo a voi due.

Non avete capito che tra le vicende tristi della storia che si conclude con la morte c’è un piano di Dio che fa sorgere dalla morte la vita e dalla tristezza la speranza. Non avete capito che tale piano è quello rivelato da tutte le scritture, e non sospettate nemmeno che su questa strada polverosa che viene dalla città c’è tra voi e con voi colui che ha vinto quella morte che state deplorando." La speranza non è credere che Dio possa fare qualcosa, ma sapere che lo farà. In questo senso è come se la Speranza racchiudesse in sé una specie di "funzione sacramentale", perché chi spera sa con certezza che quello che gli viene annunciato si compirà: "Dio disse… e così avvenne". Queste sono le fondamenta della Pasqua: entrare con fiducia totale nella promessa di Dio!

La domenica santa della Resurrezione è il giorno per contemplare la nostra povertà, è il giorno nel quale dobbiamo azzerarci e metterci nelle mani di Dio. Entrare nel nostro nulla per comprendere la grandezza di Dio.
Noi abbiamo bisogno della potenza della resurrezione di Dio per sperimentare nuovamente l’abisso della sua grandezza e l’abisso del nostro nulla che verrebbe a spalancarsi se non ci fosse Lui.

Allora tutto diventa possibile, allora si genera una fiducia assoluta che non disarma mai davanti a nessuna difficoltà. Dio non delude mai. Non solo nulla è impossibile a Dio, ma Dio mantiene ciò che ha promesso. Da qui nasce una speranza assoluta, una speranza che rimane anche quando tutte le ragioni umane per sperare vengono meno. Anzi, proprio allora comincia la vera speranza. Quando dagli uomini non c’è più nulla da attendersi, quando, ad un certo momento, sembrano cadere tutti i sostegni umani, Dio diventa l’unico sostegno su cui appoggiamo la nostra vita. "Nella speranza siamo stati salvati", dicono le scritture, la speranza cristiana si è materializzata quando il Figlio di Dio ha fatto irruzione negli inferi e ha distrutto la morte. La domenica santa della Resurrezione è il giorno per contemplare la nostra povertà, è il giorno nel quale dobbiamo azzerarci e metterci nelle mani di Dio. Entrare nel nostro nulla per comprendere la grandezza di Dio. Noi abbiamo bisogno della potenza della resurrezione di Dio per sperimentare nuovamente l’abisso della sua grandezza e l’abisso del nostro nulla che verrebbe a spalancarsi se non ci fosse Lui. In questo giorno Gesù non ha soltanto vinto la morte, non è soltanto risorto, ha fatto qualcosa di più grande, è andato oltre, si è messo nelle mani del Padre, si è abbandonato al Padre. Alla Maddalena che lo vuole toccare dopo la resurrezione Gesù risponde: "Non mi toccare, non mi trattenere perché devo ritornare al Padre, anzi torna e di ai miei fratelli che mi seguano" Dove? Dal Padre. Gesù Cristo non è morto come un eroe è morto come un figlio. Il problema che abbiamo noi è che non viviamo da figli, ma da estranei, da garzoni. Noi viviamo continuamente con il sospetto che Dio è una "fregatura" e quindi viviamo difendendoci da questo Padre. Fra noi e la vita piena e Dio esiste un abisso; forse questo abisso si colmerebbe con l’amore di Dio, ma noi non ci crediamo e quindi riempiamo il nostro vuoto esistenziale con gli affetti disordinati, comprando cose, cercando ruoli, avere successo, etc.

L’uomo è così: affronta il suo "baratro" snaturando se stesso, sottolineando sempre più la sua lontananza da Dio. Ecco perché o viene qualcuno che ci fa uscire e ci libera oppure restiamo nella gabbia. Io per quanto mi sforzi non posso colmare l’abisso con Dio, io non posso riprodurre la resurrezione. Il Cristo, allora, discese agli inferi proprio perché ci voleva un Dio che doveva riscattare i suoi figli e venire a cercare ciò che era perduto; è dall’eternità che esiste un Dio che cerca i propri figli.

Come celebrare, dunque, la Resurrezione?

L’uomo ha bisogno di un’unica, vera, grande speranza che lo mantenga in cammino, fatica dopo fatica, e questa può essere data solo da Dio, solo la sua Resurrezione ci dona la possibilità di perseverare, giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, e camminare verso la vita, che è veramente vita eterna.
 

Pasqua, significa risorgere dal mio uomo vecchio, dalla mia morte di tutti i giorni, è il Cristo che risorge, ma in Lui è la nostra vita che diventa nuova, è realmente la possibilità di vivere la vita come vita nuova perché è di Cristo la vittoria definitiva e da Lui dobbiamo ripartire, se vogliamo costruire per tutti un futuro di autentica pace. Certo anche noi, come un pò tutti, sentiamo forte la tentazione di fondare la nostra speranza sulla capacità di controllare i vari aspetti della nostra esistenza, come se ne fossimo noi i veri padroni. Ma occorre riconoscere che, in fondo, è una speranza vana: né individualmente e né collettivamente avremo mai la capacità di sostituirci pienamente a Dio. L’uomo ha bisogno di un’unica, vera, grande speranza che lo mantenga in cammino, fatica dopo fatica, e questa può essere data solo da Dio, solo la sua Resurrezione ci dona la possibilità di perseverare, giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, e camminare verso la vita, che è veramente vita eterna. La storia di ogni uomo può essere capita soltanto sotto l’immagine della misericordia, perché su questo cammino c’è il Risorto che desidera mettersi a fianco, per condividere la sua vita, per farne dono. Dio viene sul cammino dell’uomo, e possiamo vedere i semi di questo mondo nuovo già presente oggi, grazie all’identità del nostro Dio che si manifesta nella vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Le cose "vere" della vita nascono sempre dal di dentro, perché solo nel nostro cuore e nel silenzio esse possono crescere e maturare! Bisogna avere il coraggio di scavare in profondità del nostro essere, solo chi ha fame apprezza il pane, solo chi è sceso nelle profondità del proprio mondo interiore e ha scoperto di anelare ad un vero bisogno di salvezza, può sperare. È diminuita forse la potenza del sangue di Gesù? O non sarà che è diminuita la nostra fede?

Non è questo forse l’annuncio dell’Amore Misericordioso: il messaggio di un Dio appassionato, che considera i suoi figli più importanti della sua stessa vita e che li cerca continuamente. Siamo in buona compagnia: Dio cammina, soffre, fatica con noi, non siamo soli in questo tempo, Gesù lo ha promesso: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo"3. Dio ha già pronunciato la sua "sentenza" su questa nostra storia, un giudizio di amore, di misericordia. Vale la pena di provare lo sguardo di amore di questo Dio, di buttarsi oltre il recinto stretto delle nostre piccole e limitate speranze. Vale la pena di osare, in un tempo di povere e false promesse. Vale la pena di avere l’audacia di una speranza infinita. Se la pianta non si orienta verso la luce, appassisce, e se il cristiano rifiuta di guardare la luce, se si ostina a guardare solo le tenebre, cammina verso una morte lenta, non può crescere né costruirsi nel Signore.  

Vale la pena di osare, in un tempo di povere e false promesse. Vale la pena di avere l’audacia di una speranza infinita.

In un tempo, come il nostro, che come abbiamo visto può essere avvertito come un inquietante buco nero, la risurrezione del Cristo è l’unica verità capace di vedere oltre e al di là della decadenza; di squarciare la superficie e intravedere in profondità il germe di bene sepolto nelle macerie; di guardare l’orizzonte più lontano e di avvertire un palpito di vita anche in luoghi deserti dove sembra che regni la morte; di intravedere luminose verità anche se, all’apparenza, tutto sembra contraddirle. Siamo tutti pieni di ferite, ma se lo vogliamo, Dio sa fare meraviglie con le nostre sofferenze e debolezze!

Nella mia vita ho fatto tanti "sogni" che non si sono mai avverati, li ho visti svanire, ma quel poco che grazie a Dio si è attuato nella mia storia, mi fa sempre venire voglia ancora di sognare. Ho recitato tante preghiere senza ricevere risposta, ma aver incontrato l’Amore Misericordioso, mi fa sempre venire voglia di camminare ancora e di sperare. Durante il mio cammino ho continuamente sparso tanti semi che sono caduti per la strada e sono stati mangiati dagli uccelli, ma l’amore che ho sentito quando Dio mi ha portato fra le braccia e il calore che ho provato quando ho appoggiato la mia testa sul suo petto di Padre, mi fanno sempre venire ancora voglia di camminare e di seminare.

Fratello mio prendi ora questa stella, la luce del Cristo risorto, non lasciare che si spenga, perché certi "tesori" esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova, che non si spenga mai la speranza dentro il tuo cuore... perché se c’è e ci sarà ancora vita nuova in questo mondo è solo perché risuonerà per l’eternità il nome meraviglioso dell’AMORE MISERICORDIOSO di Dio.

Buona Pasqua
di Risurrezione!


1 1 Rm. 6

2 Ancelle dell’Amore Misericordioso (1943) (El Pan 8)

3 Mt. 18,20

Articolo precedente

Articolo successivo

[Home page | Sommario Rivista]


realizzazione webmaster@collevalenza.it
ultimo aggiornamento 04 aprile, 2019