Verso una cultura della misericordia

 

A cura del CeSAM

DOTT. CLAUDIO MENNINI

Il Sinodo sui giovani

7

 

I giovani e il lavoro

Lo spazio in cui si gioca la partita tra giovani e lavoro è diventato problematico e talvolta conflittuale, come tutti gli spazi che si riducono e in cui le opportunità e le alternative scarseggiano.

I motivi per cui si determina questo disagio sono in parte dovuti al momento storico, in parte si tratta di conseguenze di scelte politiche poco lungimiranti, ancora in parte sono effetto di grandi fenomeni su scala globale per cui qualsiasi sintesi risulterebbe riduttiva.

Letteratura, media, esperti e diretti interessati identificano le cause del disagio tramite alcuni topic ormai ricorrenti: la scarsa conoscenza del mercato del lavoro da parte dei giovani – a quanto pare effetto di un gap tra università e mercato del lavoro; forme nuove e liquide di lavori che vanno a comporre quel variegato mondo che definiamo per semplicità "gig economy"; il conflitto intergenerazionale che sembra trovare il suo luogo specifico proprio nel mondo del lavoro; di conseguenza la difficoltà nel gestire la generazione dei Millennial, la più problematizzata, la più studiata, forse anche quella su cui sono poste maggiori attenzioni, eppure la più colpita dalla piaga dell’incertezza sul futuro, infine le differenze tra realtà geopoliticamente diverse del Pianeta che generano catene di cause ed effetti rispetto alle quali è sempre più difficile risalire al principio.

L’obiettivo di questo articolo – in cui mi è stato chiesto di condividere riflessioni ed esperienze sul tema giovani e lavoro – sarà quello di identificare elementi che prescindono dal momento contingente, dalle condizioni di mercato o dalla peculiarità geopolitica. A partire dalla mia esperienza e da quella che osservo tramite i miei colleghi più giovani, cercherò di enucleare un minimo comune denominatore che identifica questo spazio conflittuale e problematico, elementi che senza dubbio risentono anche del tempo presente ma che sono un patrimonio antropologico anche del passato e che senza dubbio caratterizzeranno anche l’esperienza futura del lavoro.

 

Il primo elemento è quello della Libertà

L’incontro con il lavoro consente al giovane di sperimentare concretamente la complessità e l’ambiguità di questa condizione primordiale dell’essere umano. Il lavoro è lo strumento tramite il quale è possibile autodeterminarsi, raggiungere una indipendenza materiale, anche se non completa, che nelle prime esperienze potrebbe essere legata semplicemente a non dover più dipendere dai genitori per una birra con gli amici, fino a poter progettare un futuro autonomo per sè e per la propria famiglia.

Dunque, Libertà come autodeterminazione.

Eppure l’esperienza lavorativa ci fa fare i conti con la limitatezza del tempo. Turni di lavoro, necessità di rimanere più del dovuto, il nostro tempo è determinato da qualcun altro: la prima sensazione è quella di un’asfissiante prigionia. Per alcuni giovani colleghi che arrivano dall’università, questa condizione è evidentemente ripugnante, fino a quel momento sono stato io che ho determinato i miei tempi, ora si sperimenta una nuova esperienza: il limite. Dentro quel limite si fa esperienza della preziosità del tempo e di quanto le nostre scelte e quel tempo siano profondamente correlati, per cui un equivale a molteplici no. Fino ad arrivare al momento in cui quelle scelte diventano il nostro modo con cui facciamo nostra la Libertà e con cui diciamo cosa significa per noi. Una libertà matura, adulta.

Dunque, Libertà come scelta libera in un tempo limitato.

 

Il secondo elemento è quello della Rilevanza

L’accesso al mondo del lavoro, nella maggior parte dei casi, corrisponde con il passaggio dall’età giovanile all’età adulta. Cosa cerca un giovane che vive questa fase della propria vita? Quali aspirazioni lo muovono aldilà di quelle materiali e di sussistenza? I giovani vogliono essere ascoltati, entrano nell’agorà con la propria voce, le proprie idee e pretendono che quelle abbiano un impatto. I giovani cercano spazi in cui poter essere rilevanti. Ci sono due elementi – particolarmente attuali – che possono influire positivamente o negativamente su questo desiderio di rilevanza: le tecnologie e la leadership.

Le tecnologie sono spesso lo strumento tramite il quale si realizza e si facilitano i processi di innovazione. I giovani sono portatori di spinta innovativa perché naturalmente possiedono uno sguardo orientato al futuro. Le tecnologie sono dunque lo strumento con cui i giovani possono mediare in maniera più facile con il mondo del lavoro, tramite il quale possono sentire che il proprio contributo è immediatamente rilevante, con cui spesso possono liberare il proprio potenziale creativo senza dover sottostare a sforzi disumanizzanti o abbrutirsi con pratiche ripetitive e noiose.

Nonostante questo, le tecnologie possono giocare un ruolo minaccioso. Disintermediano i corpi, con effetti sociali da non sottovalutare. Uno sciopero dei trasporti fino a solo 10 anni fa paralizzava intere città, oggi facilmente gli utenti possono trovare alternative di mobilità gestite tramite app che bypassano il disagio arrecato dallo sciopero: il lavoratore perde rilevanza nella sua protesta, il suo corpo in piazza non si interpone più, non viene più visto, non genera un blocco, diventa trasparente. Lo sguardo dei suoi concittadini è distratto dallo smartphone, il suo gesto di protesta non ferma più la vita di nessuno, lui è frustrato e non si sente più parte di una comunità di pari. Allo stesso modo la brama di visibilità e di occasioni per mettersi in mostra dei giovani che entrano in azienda, viene bypassata da forme di smart working che mantengono tutti in contatto ma pochi in relazione. L’effetto è uno sforzo di sentirsi visti e ascoltati, di essere rilevanti che rischia di essere frustrato.

Il ruolo del leader in quest’ottica è fondamentale. I giovani si aspettano che i leader, prima di tutto, li ascoltino. Leggano le aspirazioni che li attraversano, si accorgano delle competenze che acquisiscono. Il leader attento può essere colui o colei che trasforma un giovane lavoratore in un uomo o una donna di successo, non solo in ambito lavorativo. Dunque, al contrario, un leader che non è attento e non ascolta, può essere la causa principale di frustrazione per un giovane lavoratore intaccando negativamente anche la ricerca del terzo elemento di cui vogliamo parlare in questo articolo.

 

Il terzo elemento è il Senso

Gli esseri umani cercano continuamante un senso in se stessi e in ciò che fanno. Le cose hanno senso quando hanno un significato dato dal contesto (definizione "linguistica") e quando hanno un fine, una direzione, un "verso" (definizione "matematica").

Seguendo le due definizioni di cui sopra, i giovani cercano una coerenza della propria vocazione e delle proprie aspirazioni con la propria storia, le proprie origini, le tradizioni, l’etica, l’immagine di se, le credenze. Allo stesso tempo, vogliono che quello lavorativo sia un percorso, che abbia uno sviluppo continuo, uno scopo, che porti a un processo trasformativo.

Dunque, il lavoro ha senso se è un processo che porta fuori di sè mantenendo una coerenza originaria, se è un processo generativo, internamente ed esternamente, se è un’azione che trasforma se stessi e la realtà circostante.

In definitiva, la mia esperienza e quella dei giovani che osservo mi dice fondamentalmente che nel lavoro si cerca di vivere un’esperienza piena di senso, di lasciare un segno concreto nella storia, con l’assunzione di consapevolezza che questo senso è strettamente interconnesso con il bisogno di occupare un posto rilevante nella comunità umana e con la condizione di esseri liberi.

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ultimo aggiornamento 05 settembre, 2019