pastorale familiare

Marina Berardi

Facciamo
strada, insieme

 

Questa rubrica il mese scorso ha ospitato un edificante spaccato di famiglia: nonni, figli, nipoti, insieme a familiari ed amici, si sono ritrovati al Santuario di Collevalenza per celebrare il 60° di matrimonio di Giovanni e Franca. Non c’è nulla di più bello dell’appartenersi, aiutarsi reciprocamente e condividere quanto si ha e, soprattutto, quanto si è, in una diversità generazionale che fa la ricchezza. Non c’è nulla di più appassionante che… fare strada, insieme!

Come ebbe a dire Giovanni, "oggi, purtroppo, la realtà sociale è sempre più difficile e questo ci espone a molti rischi. Abbiamo davanti un quadro desolante di famiglie che non ce la fanno a continuare a camminare nell’unità. In questo senso, credo all’opera missionaria di famiglie che si fanno compagne di viaggio di altre famiglie, che vivono l’amore nella ferialità, che diven­tano segno credibile che l’amore per sempre è possibile, che continuano il cammino sebbene ferite, che lasciano intravedere un barlume di speranza. Franca ed io abbiamo sempre ritenuto fondamentale camminare in tre, camminare alla presenza del Signore. Sulla fede in Lui abbiamo cercato di edificare la nostra casa e nella fede abbiamo desiderato educare i nostri figli".

Bambini, giovani,  adulti, coppie, genitori, nonni, indistintamente tutti siamo chiamati ad essere protagonisti del nostro andare, ora spensierato ora incerto, ora felice ora sofferto

La prima cosa che mi sembra importante sottolineare è la chiarezza della meta: giungere, insieme all’altro, all’incontro personale con Gesù; senza di Lui, infatti, fare strada è impresa ardua e dura, soprattutto quando si è chiamati ad andare controcorrente pur di restare fedeli ai valori scelti.

È per questo che abbiamo bisogno di qualcuno che si faccia nostro compagno di viaggio, a partire da quella Parola che è luce al nostro cammino, sapientemente spezzata per noi dalla Chiesa, nella comunità parrocchiale e in famiglia. Mi piace immaginare la Parola come quelle rotaie che l’eloquente immagine ci propone. È nella Parola viva che troviamo lo stimolo e le energie per un costante impegno a crescere nell’amore, forti dell’esempio ricevuto che si fa, a sua volta, dono rinnovato per le nuove generazioni. C’è un tempo e un compito legato alle diverse fasi della vita: gli anziani si lasciano condurre su quella strada da loro saggiamente tracciata; gli adulti mettono a servizio le proprie energie per raggiungere nuovi traguardi; i piccoli dall’esempio imparano a camminare e ad esplorare ciò che li circonda.

Nell’aprire il libro dell’amico Robert Cheaib dal titolo Educare i figli alla fede, mi colpiva la sua dedica che contiene lo sguardo grato alle sue radici, la gioia del presente e la profezia di un futuro sempre possibile, perché fondato in Gesù che è fedele alle sue promesse:

"Ai miei genitori, che mi hanno parlato di Gesù nel modo più efficace: la vita.

A chi mi ha rigenerato nello Spirito.

È proprio vero: è per rinascere che siamo nati!

A mia moglie e a me, pregando il Signore dell’impossibile di farci vivere quello che scrivo in queste pagine. A tutte le mamme e a tutti i papà: Coraggio!

Chi ha iniziato quest’opera in noi la porterà a compimento".

Bambini, giovani, adulti, coppie, genitori, nonni, indistintamente tutti siamo chiamati ad essere protagonisti del nostro andare, ora spensierato ora incerto, ora felice ora sofferto. Tutti siamo chiamati a scrivere con la vita una pagina unica e irrepetibile che altri leggeranno, per arricchire in umanità e fede il nostro tempo. Possiamo far questo perché abbiamo incontrato sulla nostra strada qualcuno che ci ha insegnato a "leggere e scrivere" le parole amore e fede. A questo proposito, Robert Cheaib ci mette in guardia da un subdolo inganno: "‘Quando saranno grandi sceglieranno’, dicono gli ingenui. Quest’idea è sbagliata per svariati motivi. Il primo è che per poter fare una scelta quando sei più grande, devi avere gli elementi e l’educazione essenziale quando sei più piccolo. Il secondo motivo è che quando non diamo il nostro contributo educativo ai figli, non dobbiamo illuderci che essi restino come pagine bianche immacolate, dove nessuno scarabocchia nulla. Se non pianti un seme tu, qualcun altro lo pianterà, probabilmente diverso – se non contrario – al tuo".

Pur rispettando la libertà delle giovani generazioni, è un compito inderogabile, in particolare dei genitori, tracciare per loro orme chiare che conducano ai valori autentici, evangelici, ad un credibile ed attraente cammino di santità.

Ricordo che anche M. Speranza invitava le sue Suore a vivere l’intimità con Gesù per essere luce e parlare con la vita, in special modo ai piccoli: "Credo che un’anima, che non si unisce a Gesù in tutto, non possa amarlo; e senza amore il suo cuore si raffredda. Turbata sarà la sua immaginazione, instabili i suoi sentimenti verso il prossimo, non potrà aiutare i fratelli e provvedere nutrimento solido alle anime dei bambini, né imprimere nei loro cuori l’immagine di Gesù; questi non potranno mai conoscerlo come Padre, non impareranno a stargli vicino e comunicargli le proprie pene e le proprie gioie. Io credo che prima di tutto dobbiamo unirci all’Amore Misericordioso, considerarlo nostro buon Padre e chiedergli che ci tenga sempre uniti a Lui. Allora potremo fare del bene ai nostri fratelli, particolarmente in questi tempi nei quali l’inferno è impegnato a strappare Gesù dal cuore dei piccoli privandoli di ogni istruzione religiosa" (CP 65, 2). Il testo, del 1933, è incredibilmente attuale.

Come ricorda anche Papa Francesco nel recente documento sul sinodo dei giovani, Christus vivit, questi "hanno bisogno di essere rispettati nella loro libertà, ma hanno bisogno anche di essere accompagnati. La famiglia dovrebbe essere il primo spazio di accompagnamento" (242).

La ricerca del proprio posto nel mondo non è un’avventura solitaria, ha bisogno di un "tu" disposto a prestare il proprio "io" perché l’altro possa scoprire o ritrovare il suo, magari sotto le macerie di una vita sofferta.

Le dilaganti difficoltà relazionali che si registrano nella società e si riscontrano in seno alla famiglia ci impongono un serio esame di coscienza su ciò che stiamo preparando e lasciando alle nuove generazioni che, da parte loro, hanno precise attese dal mondo adulto. I bambini e i giovani cercano chi li accompagni, dapprima i genitori e poi figure significative generalmente al di fuori del contesto familiare. Il segreto sta nel fare rete, dove catechisti ed educatori, a loro volta genitori, hanno un ruolo fondamentale per i figli di altri.

Gli accompagnatori non dovrebbero guidare i giovani come se questi fossero seguaci passivi, ma camminare al loro fianco, consentendo loro di essere partecipanti attivi del cammino.

"I giovani stessi - afferma il Papa - ci hanno descritto quali sono le caratteristiche che sperano di trovare in chi li accompagna, e lo hanno espresso molto chiaramente: «Un simile accompagnatore dovrebbe possedere alcune qualità: essere un cristiano fedele impegnato nella Chiesa e nel mondo; essere in continua ricerca della santità; essere un confidente che non giudica; ascoltare attivamente i bisogni dei giovani e dare risposte adeguate; essere pieno d’amore e di consapevolezza di sé; riconoscere i propri limiti ed essere esperto delle gioie e dei dolori della vita spirituale. Una qualità di primaria importanza negli accompagnatori è il riconoscimento della propria umanità, ovvero che sono esseri umani e che quindi sbagliano: non persone perfette, ma peccatori perdonati. A volte gli accompagnatori vengono messi su un piedistallo, e la loro caduta può avere effetti devastanti sulla capacità dei giovani di continuare ad impegnarsi nella Chiesa. Gli accompagnatori non dovrebbero guidare i giovani come se questi fossero seguaci passivi, ma camminare al loro fianco, consentendo loro di essere partecipanti attivi del cammino. Dovrebbero rispettare la libertà che fa parte del processo di discernimento di un giovane, fornendo gli strumenti per compierlo al meglio. Un accompagnatore dovrebbe essere profondamente convinto della capacità di un giovane di prendere parte alla vita della Chiesa. Un accompagnatore dovrebbe coltivare i semi della fede nei giovani, senza aspettarsi di vedere immediatamente i frutti dell’opera dello Spirito Santo. Il ruolo di accompagnatore non è e non può essere riservato solo a sacerdoti e a persone consacrate, ma anche i laici dovrebbero essere messi in condizione di ricoprirlo. Tutti gli accompagnatori dovrebbero ricevere una solida formazione di base e impegnarsi nella formazione permanente»" (CV 246).

Questo testo, frutto dei contributi dei giovani al sinodo, dice il loro desiderio di avere accanto degli adulti significativi, credibili, autorevoli, esperti nel viaggio della vita ma non perfetti, imitabili e non degli idoli, pronti a crescere ogni giorno e non arrivati. È una bellissima ed impegnativa sfida che va presa davvero sul serio.

Fare strada, insieme! L’iniziativa del Capodanno e della Festa della Famiglia favorisce ormai da anni questa esperienza: l’incontro tra generazioni, con un programma rigorosamente… "formato famiglia"!

Vi aspettiamo anche quest’anno, a Collevalenza, dal 27 al 29 dicembre 2019.

 

Campo carità 10-18 agosto

"Quel sorriso che cambia la giornata a qualcuno"

Testimonianza di Agnese e Juri

 

Riportiamo la testimonianza di Agnese e Juri, che hanno partecipato alla prima edizione del Campo Carità a Roma, dal 10 al 18 agosto. Un’esperienza proposta dall’equipe di pastorale Giovanile e Vocazionale della Famiglia dell’Amore Misericordioso per avvicinare i giovani ai poveri, maestri di vita e beni più cari a Gesù, come soleva ricordare e insegnare la Beata Madre Speranza.

 

Confesso che finora, preparando questa testimonianza, il timore che ho avuto è che non rendesse abbastanza quello che abbiamo vissuto. Chi sta scrivendo ora è Agnese, ragazza di 24 anni con tante aspirazioni e tanti dubbi nella vita. Scrivo anche da parte di Juri, ragazzo di 25 anni – nonché mio fidanzato -, matematico di natura e di studi e che con le parole fa una certa fatica (ecco perché ha delegato a me la testimonianza scritta). Qualche tempo fa, ci siamo proposti di raccontare al nostro gruppo GAM (Giovani dell’Amore Misericordioso) di Jesi (nelle Marche) l’esperienza del campo-carità, iniziato il 10 agosto e terminato il 18 agosto. Abbiamo pregato, riflettuto e rivissuto nella memoria i momenti più significativi del campo, prima di fare la nostra testimonianza. Ora cercherò di fare lo stesso. Se io e Juri ci siamo svegliati alle 3 di notte del sabato mattina per prendere il treno per Roma e partecipare a un campo di servizio alla mensa della Caritas vicino a Roma Termini, saltando la grigliata di "Ferragosto" con gli amici, è perché abbiamo ricevuto la proposta giusta al momento giusto. Il tempismo perfetto dell’invito, infatti, ci aveva fatto pensare che il Signore avesse bisogno di noi proprio lì. E i frutti sono stati tanti. Juri, che di solito è piuttosto taciturno e poco espansivo, è diventato amico di tutti gli ospiti della mensa della Caritas e alla fine del campo era talmente felice dell’esperienza vissuta che si interrogava sulla possibilità di farlo di mestiere (la mensa, infatti, si serve dell’aiuto di volontari ma è gestita normalmente da operatori che lavorano lì). Io, che tendo a pensare che per fare del bene serva essere degli eroi e salvare il mondo, mi sono accorta in quei giorni che anche un semplice servizio, come registrare gli ospiti al loro ingresso o servire loro un piatto di pasta e farlo con il sorriso, cambia la giornata di qualcuno. Perché la verità è che molti di loro non hanno solo bisogno di un pasto: hanno bisogno di mangiare, certo, ma soprattutto hanno bisogno di sentirsi qualcuno, di sentire che non sono un pesante fardello che preferiamo scrollarci di dosso, ma persone. Ho visto che la loro prima povertà, oltre a quella materiale, era la solitudine. Contro ogni mia aspettativa, però, ho anche visto persone entrare in quella mensa, ricevere il loro pasto, consumarlo e uscire da lì senza mai smettere di sorridere, e questo mi ha insegnato molto. Le povertà di questo mondo sono migliaia e di mille tipi e non serve essere degli eroi per fare qualcosa di buono. Quello che penso ci serva sia riscoprire quello che diceva San Lorenzo martire poco prima di morire: «Sono i poveri il tesoro della Chiesa». Perché? Servirebbe un trattato per spiegarlo; quello che noi abbiamo vissuto è che mettendosi a servizio si riceve più di quanto si dà: in quei giorni, noi regalavamo tempo, impegno fisico, un sorriso e un ascolto disponibile, ma in cambio ricevevamo lezioni di vita, calore e gentilezza dove meno ce l’aspettavamo e la gioia di aver donato qualcosa di noi. La gioia, in particolare, di averlo donato a Gesù. Perché sappiamo che ogni cosa che abbiamo fatto a ciascuno di quei fratelli più piccoli, lo abbiamo fatto a Lui (Mt 20, 40). E questo le Ancelle dell’Amore Misericordioso, che ci accompagnavano nel servizio e che nel corso delle mattinate curavano i momenti di preghiera e di catechesi – fondamentali per vivere i momenti di servizio con vera carità -, ce lo hanno spiegato e dimostrato molto bene.

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ultimo aggiornamento 15 ottobre, 2019