Gesù non ci ha manifestato la verità solo con le parole, ma anche con la sua stessa vita. Anche il suo atteggiamento verso la sofferenza è per noi del tutto chiarificatore. Egli «ha apprezzato ed esaltato tutta una gamma di gioie umane, di quelle gioie semplici e quotidiane alla portata di tutti» (Paolo VI). È passato tra gli uomini compiangendo e sanando la sofferenza, sia materiale che spiri­tuale. Ha affermato chiaramente: «Non voglio il sacrificio ma la misericordia».

Quando infine è giunta per lui l’ora della sofferenza suprema, nell’orto degli ulivi chiese al Padre che se era possibile fosse allontanato da lui quel calice. Nessuna esaltazione della sofferenza in quanto sofferenza è dunque presente nel vangelo, ma solo uno spirito di amorevole accettazione di essa dalle mani di Dio quando sia inevitabile e quando sia da lui permessa in vista di un bene maggiore.

La posizione cristiana verso il dolore è dunque solo un fatto realistico. Il piano iniziale di Dio sull’uomo (quel piano che ogni dono di grazia tende a rico­struire) prevedeva una realizzazione facile e gioiosa in tutti i valori, da quelli più umili a quello massimo, la gioia dell’incontro con lui. Ma il peccato ha sciupato e sciupa continuamente il progetto di Dio, introducendo nel mondo il male e la sofferenza.

Adesso dunque il dolore c’è, è un dato di fatto. Il nostro processo di crescita inevitabilmente lo incontra. Per una gioiosa realizzazione fisica dobbiamo vin­cere le malattie; per godere la bellezza dell’amicizia e dell’amore dobbiamo fare i conti con le piccole e grandi nevrosi nostre e altrui; per crescere in ogni aspetto del bene dobbiamo scontrarci con le nostre tendenze aggressive; per progettare realisticamente il nostro futuro dobbiamo essere preparati all’ostacolo che blocca le nostre aspettative.

Ma questo dolore non ci deve arrestare nel nostro slancio di crescita. «Abbracciare la croce» non significa tanto che le tribolazioni siano necessarie per la salvezza, quanto che è necessario affrontare cristianamente le tribola­zioni che purtroppo incontriamo. Significa continuare a costruirci e a costruire con coraggio; significa continuare a dare il nostro contributo perché le soffe­renze materiali e spirituali diminuiscano sempre più nel mondo e si manifesti sempre di più in esso la «bontà», la «grazia», la «gloria» di Dio.

Si tratta in primo luogo di credere alle infinite risorse del piano divino su cia­scuno di noi: anche se novantanove vie di sviluppo mi sono precluse dai miei limiti o dalle mie menomazioni, di certo ce n’è ancora una aperta, prevista per me dall’eternità. Si tratta di essere convinti che se anche le sofferenze riman­gono, ciascuna di esse - mediante l’amore, la luce e la forza che viene dal Ri­sorto - può farci maturare ai valori più elevati e più profondamente appaganti.

Si può infine sperimentare che, se tante occasioni di sana e santa felicità terrena ci vengono tolte, ciò può divenire mezzo per imparare a godere del crescente contatto con colui che è per essenza la felicità e che ci vuol dare se stesso, sa­pendo che solo in lui il nostro cuore può essere totalmente ed immensamente appagato.

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ultimo aggiornamento 03 agosto, 2022