Studi

Christoph Cardinale Schönborn

 

Estratto dalla conferenza che l’arcivescovo di Vienna, il Cardinal Schönborn ha tenuto al Convegno Nazionale del 23-25 marzo 2012

 

Ho scelto due approcci del tema, due grandi interrogativi sull’estensione della Divina Misericordia: Vale per tutti? E vale fino alla fine?

 

Misericordia per tutti?

Questa riflessione riguarda "la partita finale": ci sarà alla fine misericordia per tutti? L’infinita misericordia di Dio si rivelerà relegata entro i limiti della cattiveria o chiusura umana? Non raggiungerà la misericordia di Dio tutti gli uomini, benché essa valga per tutti gli uomini? Il giudizio finale sarà la vittoria della giustizia di Dio. Sarà anche la vittoria della sua misericordia? Se la giustizia divina significa che noi uomini abbiamo anche la possibilità di chiuderci a Dio per sempre ed in eterno – proprio questo significa "inferno" -, che ne è della misericordia?

Che paradiso sarebbe quello che dovesse coniugare la propria felicità con l’inferno di altri?

Cosa resta allora della misericordia? Una mamma potrebbe "godere" il paradiso se suo figlio si trovasse nell’inferno?

Ma seppure una madre dimenticasse suo figlio, il profeta Isaia ci dice che Dio non potrebbe mai dimenticare suo figlio, la sua creatura. Potrebbe sopportare lui, che non ha esitato a dare il suo unico figlio per la nostra salvezza, che uno dei suoi figli vada perduto per sempre (cf. Is 49, 15: Tom 8, 332)?

Oppure sono le nostre idee a riguardo troppo "umane", troppo "terrene"? Che ne sappiamo, noi, della beatitudine eterna? Che ne sappiamo noi degli ultimi, più profondi segreti? Di fronte alle "ultime cose", all’incomprensibile mistero di Dio, non dovremmo anche noi, come fece infine Giobbe, metterci il dito sulla bocca e tacere (cf. Gb 40,5)?

 

Dio vuole salvezza

Un brano dal Vangelo di Matteo (Mt 9,9-13) ci indica il camino: Gesù chiama il pubblicano Matteo, detto anche Levi, e va a mangiare da lui. Il pranzo con i pubblicani e i peccatori provoca i farisei. La risposta di Gesù alle loro domande è: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori".

Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio

È questo il chiaro messaggio della fede e dell’insegnamento della Chiesa, che Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini. Paolo lo dice espressamente: "Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità". Ed ne adduce il motivo: "Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti" (1 Tm 2, 4 segg.). Pietro ripete ugualmente: "Dio non vuole che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi" (2 Pt 3,9). Non c’è dubbio: Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini.

C. S. Lewis (†1963) dice, a proposito del suo "padre spirituale", il poeta scozzese George Mac Donald (†1905): "Sperava davvero che tutti gli uomini si salvassero, ma solo perché sperava che tutti si pentissero. Sa (e nessuno meglio di lui lo sa) che neanche l’onnipotenza stessa può redimere chi non si converte"1. Si tratta dunque di una misericordia condizionata? È come quando i genitori dicono ai figli: "Se fai il bravo poi puoi andare (a seconda dell’età) al cinema o alle giostre"? È dunque limitata la misericordia di Dio, la cosa potrebbe sembrare un "circolo vizioso". Ma chi ottiene la grazia della conversione?

Se si dicesse chi l’ha meritata, ci si dovrebbe chiedere: me la posso meritare? Se Dio dona la grazia solo liberamente, bisogna chiedersi: perché dona la grazia della conversione ad alcuni ed ad altri no? La misericordia di Dio potrebbe allora venire intesa come un’assegnazione arbitraria: egli ha misericordia di coloro di cui vuole avere misericordia, e rifiuta la misericordia a chi non vuole concederla.

L’apostolo Paolo sembra che parli di una predisposizione, di una predestinazione: "Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati" (Rm 88, 28-30).

Perciò coloro che vengono liberati dalla condanna per grazia, non si chiamano vasi pieni di meriti propri...

Che ne è poi degli altri? Sono la "massa dannata", un numero molto più grande di anime che si perdono per sempre, come hanno ritenuto molti teologi e predicatori? Non sono pochi ad aver pensato che all’inferno ci siano molti uomini e che invece in paradiso arrivi solo una schiera di eletti: Ecco un chiaro ma difficile testo di Sant’Agostino (†430):

"Tutta la massa umana deve dunque scontare le sue pene e, se a tutti si rendesse il dovuto castigo della condanna, non si renderebbe certo ingiustamente. Perciò coloro che vengono liberati dalla condanna per grazia, non si chiamano vasi pieni di meriti propri, bensì vasi di misericordia (Rm 9,23). Misericordia di chi, se non di colui che mandò il Cristo Gesù in questo mondo a salvare i peccatori (1 Tm 1,15), che da sempre ha conosciuti, predestinati, chiamati, giustificati e glorificati (R, 8, 29)? Chi dunque vuol essere tanto pazzo da non rendere ineffabili grazie alla misericordia divina liberatrice di quelli che vuole, se in nessun modo avrebbe il diritto d’incolpare la giustizia divina anche se fosse condannatrice di tutti senza eccezione?"2

Alla base di questo testo c’è una concezione centrale che però oggi risulta di difficile comprensione: noi tutti abbiamo bisogno di redenzione oggi. "E non c’è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio" (Rm 3,22-23). Dio infatti, ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia!" (Rm 11, 32). Paolo ripete qui soltanto quello che Gesù dice ai suoi discepoli spaventati. Dopo le parole sul matrimonio, sulla sua indissolubilità, sulla verginità per il regno dei cieli e sulla difficoltà, per un ricco, di entrare in paradiso, gli apostoli erano sconcertati. "Chi può ancora salvarsi?" La risposta di Gesù: "Per gli uomini è impossibile. Ma per Dio tutto è possibile" (Mt 19,3-26).

Del tutto impossibile e del tutto possibile – è questo il punto della dottrina cristiana divenuto oggi maggiormente estraneo. Io ho assolutamente bisogno di redenzione. Come nessuno può darsi la vita da solo, così nessuno può darsi da solo la vita eterna. Né prestazione, né impegno possono guadagnare il paradiso. Ma ciò significa che senza la sua misericordia sono irrimediabilmente perduto.

“Chi mangia e beve senza riconoscere il corpo (del Signore), mangia e beve la propria condanna”

Ma non è questo il vecchio "trucco dei preti"? Di presentare prima alla gente l’inferno a tinte infuocate, di minacciarla con tutti i tormenti possibili, con la pena della dannazione eterna, per poi esortarla alla conversione e per predicare ai cuori impauriti l’indulgente misericordia di Dio? – Così la cosa non può certo andare.

A predicare l’inferno si è certamente commesso del male. Oggi si corre il rischio di non percepire più il pericolo, di non avvertire più quanto sia minacciata la nostra salvezza eterna. Prima lo richiamavano alla coscienza le minacce dell’inferno e della gravità, drasticamente dipinta, del peccato mortale. Nel convento di Vorau, in Stiria, c’è per esempio in sacrestia un dipinto terrificante del giudizio universale. Ogni sacerdote deve passare davanti a questo dipinto prima di andare a celebrare in Chiesa la santa messa, e deve ricordarsi dell’ammonimento di Paolo: "Chi mangia e beve senza riconoscere il corpo (del Signore), mangia e beve la propria condanna" (cf. 1Cor 11,29). Nella Cappella Sistina in Vaticano i cardinali votano il Papa davanti al Giudizio Universale di Michelangelo e confessano, nella formula del giuramento, di votare al cospetto di Dio, "qui me iudicaturus est" (che un giorno mi giudicherà).

 

Giustizia del mondo

Il giudizio dopo la morte oggi non fa più paura. Molto più angosciante è il problema della giustizia in questo mondo. I cuori sono più fortemente colpiti dal perché Dio possa permettere tanta ingiustizia, tanta iniquità e sofferenza in questo mondo che non dalla domanda di cosa accada, dopo la morte, ai grandi malfattori. Papa Benedetto XVI scrive nella sua seconda enciclica Spe salvi ("Nella speranza siamo stati salvati", 30 novembre 2007).

"La prospettiva del Giudizio, già dai primissimi tempi, ha influenzato i cristiani fin nella loro vita quotidiana come criterio secondo cui ordinare la vita presente, come richiamo alla loro coscienza e, al contempo, come speranza nella giustizia di Dio… Nella conformazione degli edifici cristiani… diventò abituale rappresentare sul lato orientale il Signore che ritorna come re – l’immagine della speranza -, sul lato occidentale, invece, il Giudizio finale come immagine della responsabilità per la nostra vita, una raffigurazione che guardava e accompagnava i fedeli proprio nel loro cammino verso la quotidianità" (Spe Salvi 41)

Il Santo Padre vede un profondo cambiamento nell’epoca moderna:

"Il pensiero del Giudizio finale sbiadisce: la fede cristiana viene individualizzata ed è orientata soprattutto verso la salvezza personale dell’anima; la riflessione sulla storia universale, invece, è in gran parte dominata dal pensiero del progresso. Il contenuto fondamentale dell’attesa del Giudizio, tuttavia, non è semplicemente scomparso… Un mondo, nel quale esiste una tale misura di ingiustizia, di sofferenza degli innocenti e di cinismo del potere, non può essere l’opera di un Dio buono. Il Dio che avesse la responsabilità di un simile mondo non sarebbe un Dio giusto e ancor meno un Dio buono… Che da tale premessa siano conseguite le più grandi crudeltà e violazioni della giustizia non è un caso, ma è fondato nella falsità intrinseca di questa pretesa. Un mondo che si deve creare da sé la sua giustizia è un mondo senza speranza. Nessuno e niente risponde per la sofferenza dei secoli. Nessuno e niente garantisce che il cinismo del potere – sotto qualunque accattivante rivestimento ideologico si presenti - non continui a spadroneggiare nel mondo" (Spe salvi, 42).

Dovremo un giorno rendere ragione anche dei torti del nostro tempo di cui siamo stati corresponsabili

Le menzogne di queste ideologie che pretendevano di portare con violenza una giustizia immanente al mondo, si fa evidente soprattutto quando esse ritengono che le sofferenze delle vittime siano da ritenersi una parte del meccanismo della storia. Tale ideologia, mostrando che nella sua visione non c’è posto per il dolore del singolo, si smaschera da sola come falsa. Nel comunismo si usava dire che "quando si pialla volano i trucioli"3. Non c’è speranza e giustizia per quelli che sono capitati nell’ingranaggio della storia. A che serve infatti alle vittime che per altri ci sarà, una volta, un futuro migliore, se loro non lo potranno condividere?

"Sono convinto", scrive Papa Benedetto, "che la questione della giustizia costituisce l’argomento essenziale, in ogni caso l’argomento più forte, in favore della fede nella vita eterna" (Spe salvi 43). L’ingiustizia non deve avere l’ultima parola nella storia. "Solo Dio può creare giustizia. E la fede ci dà la certezza: Egli lo fa" (Spe salvi 44). Questa è la cosa meravigliosa nella fede nel giudizio finale. Dio non lascerà che il grido dei sofferenti, dei prigionieri, dei tormentati si dissolva. L’immagine del giudizio finale non è in primo luogo un’immagine terrificante, bensì un’immagine di speranza.

Più che una "immagine di spavento" è una immagine di responsabilità". Una delle grandi sfide del nostro tempo è quella di tornare a ricordare, con il Giudizio finale, la responsabilità. Dovremo un giorno rendere ragione anche dei torti del nostro tempo di cui siamo stati corresponsabili. Che rapporto c’è fra grazia, misericordia e giustizia?

 

Il Santo Padre dice:

"La grazia non esclude la giustizia. Non cambia il torto in diritto. Non è una spugna che cancella tutto così che quanto s’è fatto sulla terra finisca per avere sempre lo stesso valore. Contro un tale tipo di cielo e di grazia ha protestato a ragione, per esempio, Dostoëvskij nel suo romanzo «I fratelli Karamazov». I malvagi alla fine, nel banchetto eterno, non siederanno indistintamente a tavola accanto alle vittime, come se nulla fosse stato". (Spe salvi 44)

Che misericordia sarebbe quella che cancella tutto il dolore e le ingiustizie? "Il Giudizio di Dio è speranza sia perché è giustizia, sia perché è grazia. Se fosse soltanto grazia che rende irrilevante tutto ciò che è terreno, Dio resterebbe a noi debitore della risposta alla domanda circa la giustizia – domanda per noi decisiva davanti alla storia e a Dio stesso. Se fosse pura giustizia, potrebbe essere alla fine per tutti noi solo motivo di paura" (Spe salvi 47). L’epoca moderna ha spostato il pensiero del Giudizio nell’immanenza. Le esperienze terribili del ventesimo secolo hanno però mostrato che non possiamo sottrarci alla domanda circa il Giudizio divino.

Ma in che relazione sono tra loro giustizia e misericordia davanti al Giudizio divino?

“Possono esserci persone che hanno distrutto totalmente in se stesse il desiderio della verità e la disponibilità all’amore...

La dottrina cristiana da sempre ritiene che con la morte la scelta di vita fatta dall’uomo diventa definitiva. La scelta che ha preso forma, non in un attimo, ma nel corso dell’intera vita, presenta caratteri diversi nelle diverse persone: "Possono esserci persone che hanno distrutto totalmente in se stesse il desiderio della verità e la disponibilità all’amore. Persone in cui tutto è diventato menzogna; persone che hanno vissuto per l’odio e hanno calpestato in se stesse l’amore. È questa una prospettiva terribile, ma alcune figure della stessa nostra storia lasciano discernere in modo spaventoso profili di tal genere. In simili individui non ci sarebbe più niente di rimediabile e la distruzione del bene sarebbe irrevocabile: è questo che si indica con la parola "inferno". La Chiesa ha sempre insegnato che esiste indubbiamente questa possibilità, anche se non ha mai detto, di una persona in particolare, che essa si trovi all’inferno. "Dall’altra parte possono esserci persone purissime, che si sono lasciate interamente penetrare da Dio e di conseguenza sono totalmente aperte al prossimo – persone, delle quali la comunione con Dio orienta già fin d’ora l’intero essere e il cui andare verso Dio conduce solo a compimento ciò che ormai sono" (Spe salvi 45).

Da che parte sto io? Probabilmente la maggior parte delle persone pensa di essere situato a metà, in una qualche parte. Voglio davvero sperare che l’amore in me non sia del tutto estinto, che il male non mi abbia del tutto afferrato. Non oso ritenere che l’amore in me sia totalmente puro, che "mi plasmi completamente". Come collocare questa situazione nel Giudizio? Qui subentra la dottrina della Chiesa circa il purgatorio, circa la purificazione. L’apostolo Paolo parla di un "fuoco" attraverso il quale deve passare l’opera della nostra vita, quando moriamo: tale fuoco è Cristo stesso (1Cor e, 12-15). Il Santo Padre riassume così tale insegnamento:

L’incontro con Lui è l’atto decisivo del Giudizio. Davanti al suo sguardo si fonda ogni falsità. È l’incontro con Lui che, bruciandoci, ci trasforma e ci libera per farci diventare veramente noi stessi. Le cose edificate durante la vita possono allora rivelarsi paglia secca, vuota millanteria e crollare. Ma nel dolore di questo incontro, in cui l’impuro ed il malsano del nostro essere si rendono a noi evidenti, sta la salvezza. Il suo sguardo, il tocco del suo cuore ci risana mendiante una trasformazione certamente dolorosa «come attraverso il fuoco». È, tuttavia, un dolore beato, in cui il potere santo del suo amore ci penetra come fiamma, consentendoci alla fine di essere totalmente noi stessi e con ciò totalmente di Dio. Così si rende evidente anche la compenetrazione di giustizia e grazia: il nostro modo di vivere non è irrilevante, ma la nostra sporcizia non ci macchia eternamente, se almeno siamo rimasti protesi verso Cristo, verso la verità e verso l’amore. In fin dei conti, questa sporcizia è già stata bruciata nella Passione di Cristo. Nel momento del giudizio sperimentiamo ed accogliamo questo prevalere del suo amore su tuo il male nel mondo ed in noi. Il dolore dell’amore diventa la nostra salvezza e la nostra gioia". (Spe salvi 47)

È una certezza della nostra fede che Dio abbia mandato suo Figlio nel mondo non per giudicarlo ma per salvarlo

In questo senso il purgatorio è un’immagine di speranza, totalmente diversa e tanto più ricca di speranza dell’idea della reincarnazione, delle molte rinascite, una teoria oggi estremamente popolare. Secondo tale teoria l’uomo dovrebbe scontare da solo, attraverso tante rinascite, il peso del suo karma, della montagna di colpe che ha accumulato.

Accanto all’immagine di speranza, la domanda sull’inferno resta un mistero oscuro. Sì, esiste la mostruosa realtà che l’amore sia in sé ritorto e che l’odio penetri ogni cosa. Esistono anche distruzioni irrevocabili del bene. E a proposito ci vengono alla mente i nomi di Stalin e Pol Pot, di Hitler o di Himmler. Ma anche loro avevano madri, forse madri religiose (Stalin di certo). Anche per loro Cristo è morto, ha dato la sua vita. Sarebbero molte le persone che hanno scelto questo "inferno"? Se la tradizione agostiniana pensava a grandi moltitudini, alla maggioranza degli uomini, oggi spontaneamente pensiamo che si tratti certamente di un piccolo numero. Ma non è il numero la cosa decisiva, bensì il fatto che tale possibilità esista. Il grande problema è capire come questo si concili con la misericordia di Dio.

La Chiesa non ha mai dichiarato, con "certezza dogmatica", per così dire, che qualcuno si trovi all’inferno. Neanche di Giuda lo si insegna espressamente. D’altra parte la Chiesa ha dichiarato con certezza che molte persone sono in paradiso, e la canonizzazione ha carattere fortemente vincolante.

 

Non giudicare ma salvare

È una certezza della nostra fede che Dio abbia mandato suo Figlio nel mondo non per giudicarlo ma per salvarlo (Gv 3,17). Se questo è il centro del mandato di Gesù, allora non fa meraviglia che i santi desideravano, nell’amore di Cristo, la stessa cosa: salvare e non giudicare. Nel suo Breve discorso sull’inferno Hans Urs von Balthasar cita un testo di Santa Caterina da Siena (±1380). Quando gli spedii questo testo, mi scrisse: "Queste sante donne che diversamente da Agostino, hanno pregato in modo evangelico…" Caterina disse al suo confessore, il beato Raimondo da Capua (†1380): "Se fossi arsa dal fuoco dell’amore divino, non pregherei con cuore ardente il mio creatore, il veramente misericordioso, di mostrare misericordia a tutti i miei fratelli?" Costui racconta che lei poi, con voce sommessa, disse a Cristo: "Come potrei, o Signore, accettare che uno solo di quelli che Tu mi hai creato a tua immagine e somiglianza si perda e sfugga alle Tue mani? No, in nessun caso voglio vedere andar perduto uno solo dei miei fratelli, uno solo di coloro che mi sono uniti attraverso la stessa nascita per natura e per grazia. Voglio" – è tipico che Caterina si rivolga così a Dio – "che essi siano tutti strappati al vecchio nemico, che Tu li guadagni a maggior gloria del Tuo nome". E lei ricevette dal Signore questa risposta: "L’amore non può stare nell’inferno, lo distruggerebbe completamente; sarebbe più facile eliminarlo piuttosto che lasciar dimorare l’amore in esso". Lei riprese: "Se solo la Tua verità e la Tua giustizia si manifestassero, desidererei che non ci fosse più alcun inferno o che almeno nessun anima vi capitasse: Se potessi restare unita a Te nell’amore e pormi davanti all’ingresso dell’inferno e chiuderlo in modo che nessuno vi possa entrare, questa sarebbe la mia più grande gioia, perché così si salverebbero tutti coloro che amo"4.

Negli anni trenta un’altra santa, Teresa Benedetta a Cruce, Santa Edith Stein (+1492) penetra profondamente nel mistero di come Dio si comporti con la volontà contraria, quando cioè la libertà umana si oppone alla grazia e alla misericordia divina. Dio non può costringerla e non può spezzarla. Edith Stein dice che Dio può ingannare la libertà umana. Esiste un’ultima possibilità, senza usare violenza alla libertà umana, di aprirle dall’interno la porta alla grazia e alla misericordia.

“L’amore non può stare nell’inferno, lo distruggerebbe completamente; sarebbe più facile eliminarlo piuttosto che lasciar dimorare l’amore in esso”

"Abbiamo cercato di comprendere quale parte la libertà ha nell’opera della redenzione. A questo scopo non basta tener conto solo della libertà. Dobbiamo similmente esaminare quel che la grazia può e se anche per essa esista un limite assoluto. Questo lo abbiamo già visto: la grazia deve pervenire all’uomo. Di per sé essa può nel miglior dei casi pervenire fino alla porta, ma non può mai introdursi con la violenza. Inoltre: essa può venire a lui senza che egli la cerchi, senza che egli la voglia. Il problema è sapere se essa può compiere la sua opera senza la sua collaborazione. Ci è sembrato che occorra rispondere con un no a tale domanda. Si tratta di una risposta grave. Qui infatti la libertà di Dio, che diciamo onnipotenza, trova evidentemente un limite nella libertà umana. La grazia è lo Spirito di Dio, che si abbassa fino all’anima dell’uomo. Essa non può trovarvi posto, se non viene liberamente accolta. Questa è una verità dura. Essa significa – oltre alla menzionata limitazione dell’onnipotenza divina – la possibilità in linea di principio di una autoesclusione dalla redenzione e dal regno della grazia. Non equivale a una limitazione della misericordia divina. Infatti, anche se non possiamo chiudere gli occhi né di fronte alla realtà che molti sono sorpresi dalla morte temporale senza aver mai pensato all’eternità e essersi fatto un problema della salvezza, né di fronte alla realtà che molti si sono premurati per tutta la vita della salvezza, senza divenire partecipi della grazia, tuttavia non sappiamo se per tutti costoro l’ora decisiva arrivi in un luogo ultraterreno, e la fede ci può dire che le cose stanno così. […]

Quanto più terreno la grazia sottrae a ciò che, prima di lei riempiva l’anima tanto più ne sottrae agli atti diretti contro di lei. E a tale lavoro di rimozione non esistono in linea di principio limiti. Quanto tutti gli impulsi che si oppongono allo Spirito della luce sono stati rimossi dall’anima, una libera decisione contro di lei è divenuta infinitamente inverosimile. Allora la fede nell’illimitatezza dell’amore e della grazia divina giustifica anche la speranza in una universalità della redenzione, anche se, per la possibilità in linea di principio permanente della opposizione alla grazia, pure la possibilità di una dannazione eterna permane. In questa luce scompaiono di nuovo anche i limiti precedentemente indicati dell’onnipotenza divina. Essi sussistono solo finché ci si limita a contrapporre tra loro libertà divina e libertà umana e non si tiene conto della sfera, che costituisce il fondamento della libertà umana. La libertà umana non può esser spezzata e messa fuori causa da quella divina, però può esser per così dire aggirata. La discesa della grazia nell’anima umana è un’azione libera dell’amore divino. E alla sua diffusione non esistono limiti. Quali vie essa scelga per operare, perché cerchi di conquistare un’anima e induca un’altra a ricercarla, se, come e quando sia all’opera anche lì ove i nostri occhi non notano alcun suo effetto, tutte queste sono domande che si sottraggono all’indagine razionale. Per noi esiste solo una conoscenza delle possibilità di principio e, sulla base delle possibilità di principio, una comprensione dei fatti che ci sono accessibili"5.

Il primato assoluto della misericordia non significa voler sminuire il male o la giustizia. Come abbiamo già visto in precedenza, la giustiia, e ancor più la misericordia, hanno un loro prezzo. La misericordia è costata la vita Gesù. Gli costò il sangue del suo cuore implorarla. Un’altra donna, suor Faustina, vede consistere la propria vocazione nell’aprire, in un certo senso alla misericordia le persone che si chiudono alla misericordia divina, nel portarle a Gesù. Le anime che si aprono completamente alla misericordia di Dio sono i veri collaboratori di Gesù. Gesù le dice: "Non trovo il completo abbandono al mio amore. Tante riserve, tanta diffidenza! Tanta cautela! Per tua consolazione ti dirò che ci sono anime che vivono nel mondo, che mi amano sinceramente… L’amore di queste anime ed il loro sacrificio mantengono l’esistenza del mondo" (Diario 367).

Come tutti i santi, anche suor Faustina è convinta che la preghiera e l’abnegazione, le suppliche e il sacrificio sono forze che superano tutto quello che altrimenti potrebbe fare l’uomo. Il segreto della misericordia è sempre stato un segreto di abnegazione, di penitenza, di sacrificio e d’amore. Senza pentimento non c’è salvezza. Senza conversione non c’è redenzione. Ma la grazia del pentimento non viene assegnata arbitrariamente da Dio. Essa va implorata nella preghiera, va sofferta e viene donata da Dio in seguito alle preghiere di intercessione e all’amorosa dedizione di coloro che pregano. Dio aspetta in un certo senso solamente che si vada a "ritirare" la sua misericordia.

Mostra, Gesù, la tua misericordia

Concludo questa meditazione sulla speranza nella Divina Misericordia con una preghiera di Santa Teresa di Lisieux (†1897):

O Gesù! Perché non posso dire a tutte le anime "piccole" quanto la tua condiscendenza è ineffabile! Sento che se, cosa impossibile, Tu trovassi un’anima più debole, più piccola della mia, ti compiaceresti di colmarla di favori anche più grandi, se si abbandonasse con perfetta fiducia alla tua misericordia divina… Ma perché desiderare di comunicare i tuoi segreti d’amore, o Gesù, non sei stato Tu solo ad insegnarmeli e non puoi forse rivelarli ad altri?... Sì, lo so, lo puoi, e ti scongiuro di farlo6.


1 C.S. LEWIS, Die Weisheit meines Meisters. Anthologie aus George MacDonald, Einsiedeln 1986, S. 17.

2 S. AGOSTINO, De natura et gratia, 5.

3 Che corrisponde a: "non si fa la frittata senza rompere le uova" (n.d.t.).

4 Brano citato da HU von BALTHASAR, Breve discorso sull’inferno, Milano, p.60.

5 Il brano di Edith STEIN è citato da Hans Urs von BALTHASAR, Breve discorso sull’inferno, Milano 997, pp. 64-68.

6 Santa Teresa di Gesù, Manoscritti autobiografici, STORIA DI UN’ANIMA, Milano, ed Ancora 1976

 

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ultimo aggiornamento 05 aprile, 2023