pastorale familiare

Marina Berardi

La foto: Van Gogh, I primi passi.

"Padri e Madri,
più che maestri"

 

Un titolo e una riflessione che nascono da un’espressione cara a M. Speranza, con la quale ha voluto indicare ai superiori e alle superiore delle comunità da lei fondate lo spirito con il quale avrebbero dovuto svolgere il servizio loro affidato. Esortava allo stesso modo anche quelle religiose e religiosi chiamati ad un compito educativo verso i numerosi bambini e ragazzi accolti nelle varie case. È evidente l’intenzione di imprimere nel cuore di ciascuno quello stile di famiglia che avrebbe dovuto caratterizzare le relazioni tra i vari membri.

A partire dai suoi scritti e dallo spirito che l’ha animata nel guidare la sua Famiglia religiosa, desidero offrire una proposta educativa per coloro che volessero esercitarsi nell’incomparabile arte di genitore e di educatore: far di un figlio e di un bambino un uomo, di una figlia e di una bambina una donna, fino alla statura di Cristo, fino a diventare un gigante nell’Amore.

Qualcuno potrebbe obiettare: "Cosa può mai dirci sulla paternità e maternità chi non vive l’esperienza di essere genitore, tanto più una Religiosa?". Vi invito a fidarvi, per scoprire insieme su quali sentieri e a quali altezze ci condurrà il Signore per mezzo di questo umile strumento scelto da Lui. Sarà la Madre a indicarci la fonte dalla quale sgorga e si attinge la sapienza della vita, la saggezza educativa. Un anticipo? Dal "buon Gesù": nella relazione con Lui, M. Speranza è divenuta "esperta in Amore". Ne avessimo tanti di questi "esperti"! In un mondo superspecializzato come il nostro, mi sembra che questo sia un percorso formativo da incentivare soprattutto fra gli adulti, sdoganandolo da superficialità, fraintendimenti, allusioni, luoghi comuni per reimparare ad abitare l’interiorità, ad abitare il cuore, per aprirsi al totale dono di sé, a quella generatività capace di consegnare alle nuove generazioni una pienezza di umanità che ognuno, nel crescere, arricchirà con la propria.

Lo stesso essere qui a leggere queste righe penso sia espressione del bisogno che ogni genitore ed educatore porta in sé di formarsi e di migliorare per affrontare un compito tanto affascinante quanto arduo, soprattutto in un contesto culturale frammentario e complesso che ci vorrebbe istruttori, informatori, allenatori, magari "sindacalisti" dei nostri figli piuttosto che adulti autorevoli, chiamati ad aprire e a lanciare i giovani verso il futuro attraverso la credibilità della propria vita, anche e soprattutto in un momento di crisi e di incertezza come quello che stiamo attraversando.

Premesso questo e senza la pretesa di essere esaustiva, lascerò che sia M. Speranza a guidarci nei meandri di un tema così vitale. Lasciamo che sia lei a prenderci per mano.

Il "mandato"

Sgombriamo, innanzitutto, il campo da un timore da cui qualcuno potrebbe esser colto: "Non avere le qualità sufficienti" per disimpegnare un compito così importante. É la Madre stessa a chiederci: "Tu lo sai quali sono le qualità delle quali avresti bisogno per essere [padre, madre, edu catore]? E non sai che tu le puoi acquisire?" (cf. El Pan 12, 143).

Anche chi è più "avanti negli anni ha bisogno di una guida. La nostra natura - dice la Madre - è così fatta che da sé non riesce tanto spesso a camminare in modo retto ed ha sempre bisogno di sentire una parola che la corregga e che la guidi". Il Verbale della riunione comunitaria continua: "Un giorno il Signore mostrò [alla Madre] delle grandi piante sui tronchi delle quali spuntavano tanti succhioni che ne sciupavano le energie vitali; era necessario eliminarli perché le piante avessero a rinvigorirsi. L’applicazione è facile e chiara... Il compito dunque è quello di star sempre con la vanga in mano per dissodare, coltivare il terreno che ci è stato affidato" (Verbali 13.3.1955): dapprima il nostro, poi quello del coniuge, dei figli, della famiglia, della comunità, ecc.

Non è un lavoro a buon mercato: richiede la fiducia di credere nella bontà e fecondità della terra; il coraggio di lavorare prima se stessi e poi gli altri, anche quando non si vedessero i frutti; uno sguardo alle motivazioni, al "senso" (sentido) delle nostre scelte; la prudenza di ascoltare e dialogare; il buon senso di far riferimento a un "modello" unito all’umiltà di lasciarsi modellare.

"Io credo – scrive la Madre - e di questo devono esserne persuasi tutti i Superiori, [genitori, educatori], che il Nostro Dio, quando li sceglie dice a ciascuno queste parole: "Figlio, Figlia, questa Comunità, [questa Famiglia, questo Gruppo] è come un regno nel quale Io conservo sempre la prima e suprema autorità, però voglio condividerla con te.
Io qui sono il Padrone e il Signore di tutto e voglio che sia tu il mio primo rappresentante…; con questo ti rendo partecipe del mio potere e a te tutti dovranno rivolgersi per avere consigli e ricevere l’assistenza della quale hanno bisogno; sarà compito tuo: vigilare, comandare, istruire, correggere, orientare, amare e consolare in Mio nome; se sarai fedele e corrisponderai ai progetti che ho sopra di te, avrai da Me luce, aiuto e la grazia necessaria per disimpegnare con fedeltà i tuoi obblighi di Superiore" (El pan 12, 17), di genitore, di educatore.

È come se Gesù dicesse ai nostri ragazzi: "Figlia mia, figlio mio, Io non posso vivere più visibilmente con voi e mi sostituirà questa madre, questo padre", questo educatore (El Pan 10, 12). Anche Paolo afferma che siamo ambasciatori, per mezzo nostro è lo stesso Dio che esorta (cf. 2Cor 5,20), sempre che noi sappiamo obbedire alla sua Parola1.
La grande verità è questa: il nostro è un mandato, non siamo soli, il Signore è al nostro fianco e ci dà luce, aiuto, grazia. Gesù è il Modello e vuole renderci simili a Lui perché l’altro… in noi veda la Sua paternità e maternità.

Esecutori di un progetto, secondo il Modello

Ogni genitore ed educatore è un vaso, un vaso di terra, di metallo, di argento o di oro che, anche se grossolano – spiega la Madre – contiene ed è portatore della volontà di Dio (cf. El Pan 10, 71). A noi è richiesto solo di fare tutto secondo il modello (cf. Eb 8,5). Ci siamo mai fermati a vedere e a dirci qual è il nostro modello? Tentiamo di scoprirne uno comune oppure ognuno è caparbiamente legato al proprio? Tra l’altro, una educazione senza modelli è impossibile: tutti i genitori, lo sappiano o no, ne hanno uno, magari confuso, perché sempre sono necessari dei paradigmi di riferimento. Quando non ci fossero si genererebbero guasti, corti circuiti tali da compromettere la maturità, soprattutto affettiva, dei nostri figli.

Maria Beatrice Toro, psicoterapeuta, spiega che nel suo lavoro ciò che è chiamata "a combattere è la fine di un modello; il genitore si trova semplicemente sommerso da informazioni contrastanti che non riesce a gestire e quindi non riesce nemmeno a essere genitore secondo un modello (es: liberale, autoritario…). Quale che sia la cultura di provenienza, ciò che viene spezzato nella postmodernità è proprio la possibilità di riferirsi al modello dal quale si proviene; io vedo degli adulti che non hanno radici e che sono portati di qua e di là nel tentativo di far bene…"2, spinti molto spesso da un "sentire" immediato più che da un progetto educativo.

Questo non deve servire a scoraggiarci o a intimorirci, quanto piuttosto a guardarci dentro, a scoprire i "nodi" che impediscono di lavorare il tronco – il nostro! - per ricavarne l’opera d’arte che Dio si aspetta. "Esaminiamoci, - suggerisce la Madre - vediamo quanti nodi abbiamo e la misura che hanno, perché a seconda del tempo che li abbiamo, ci costerà di più toglierli. Siamo superbi? Non importa, diamo un bel colpo a questo nodo; è il rispetto umano, [il timore di perdere l’affetto]? Un colpo… E qualcuno dirà: Ed io che debbo fare? Quello che Gesù ti chiede; diamo bei colpi ad ogni nodo, perché il Signore possa ricavare da noi un santo: colpiamo forte, colpiamo forte!" (cf. El Pan 21, 255).

"Noi siamo piante che dobbiamo lasciarci modellare perché il Signore, servendosi di chi vuole e come vuole, possa ricavare dal nostro tronco il santo che desidera". L’altro, i figli, gli eventi della vita, le difficoltà, la salute e la malattia, le gioie e i dolori… sono – afferma la Madre – lo "scalpello", la "lima" per ricavare dal nostro tronco un santo, per farci giungere alla pienezza dell’amore (cf. El Pan 21, 253) e per imparare il cammino da indicare a chi ci è affidato.

I difetti dell’altro? Un dono per correggere i nostri

"Non dimentichiamo che i difetti dei figli ci servono per formarci nel saper governare; correggendo, formando e sopportando i figli ci servirà per acquisire la prudenza, la discrezione, la tenera fermezza e la esperienza delle vie del Nostro Dio" (El Pan 12, 109).

"Ci è molto facile – assicura la Madre - essere sdegnati, comandare con arroganza e castigare; per questo non abbiamo bisogno di andare a scuola perché la nostra natura già lo porta con sé; mentre ci è piuttosto difficile controllare le passioni, moderare il carattere, sopportare con pazienza e carità i difetti del nostro prossimo, aspettare che sia passato il momento della impetuosità e della collera, il prendere le cose con pazienza, il pregare prima di dare una correzione e darla dopo aver esaminato i diversi modi di correggere con carità; tutto questo esige una virtù vigorosa (varonil) e un grande amore al Nostro Dio" (El Pan 12, 68).

Che meraviglia! Non si sciupa nulla, finanche i difetti del coniuge e dei figli, dell’altro "sono una occasione per aiutarci a correggere i nostri". "Gesù permette che gli altri ci servano da lima. Essi infatti ci danno l’occasione di accrescere i nostri meriti, mettendoci sovente nella necessità di praticare atti di virtù e di carità" (El Pan 4, 38), di superare noi stessi, di diventare migliori, di cambiare noi, senza pretendere che sia sempre o solo l’altro a farlo.

Il nostro mondo non sembra pensarla così, al contrario, eliminerebbe volentieri e alla radice il disagio, i problemi, le difficoltà, la fragilità, vissuti come spiacevoli e inopportuni incidenti di percorso. Emblematica una pubblicità in onda su alcune emittenti del nord Europa dove si vede come il diniego di un papà al figlio - che avrebbe voluto mettere nel carrello della spesa il dolce che diceva lui - scatena nel bambino una violenta reazione aggressiva e distruttiva tra i banchi del supermercato, fra lo sgomento e la commiserazione della gente e l’imbarazzo del papà. Ma ecco pronta la soluzione per non trovarsi in tali incresciose situazioni: usare il profilattico!

Questo spot non promuove solamente una mentalità contraccettiva, incapace di prendere, accogliere in sé, contenere la vita, ma esalta anche la "contragestazione", intesa come l’incapacità di "portare continuamente e assiduamente" l’altro, le sue fatiche, i suoi limiti, tanto da impedirne il pieno sviluppo e il raggiungimento della maturità.

La "gestazione" di chi ci è affidato non si conclude con l’evento del "parto" ma ci è chiesto un continuo e quotidiano travaglio, il saper portare in sé la fatica e la gioia del proprio crescere e del crescere dell’altro, "costi quello che costi".

(continua)


1 Che famiglia… se i genitori obbedissero! www.collevalenza.it/Riviste/2011/Riv1111/Riv1111_04.htm

2 Dalla presentazione del libro Adolescenza e Adultescenza: www.youtube.com/watch?v=tgV3EO421uE

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ultimo aggiornamento 11 giugno, 2013