La vita, le opere e la beatificazione di Madre Speranza

P. Gabriele Rossi fam

 

 

MADRE SPERANZA ALHAMA VALERA

 

 

La vita, le opere e la beatificazione

Prologo

Madre Speranza Alhama Valera è certamente una figura molto complessa: per la lunghezza della sua vita (quasi 90 anni); e per le numerose peripezie personali ed apostoliche che ha dovuto affrontare, sia in Spagna che in Italia.

La Beatificazione però ci obbliga moralmente, per la gloria di Dio e per il bene delle anime, a conoscere meglio la sua storia e la sua missione.

 

Prima parte:
UNA PICCOLA BIOGRAFIA

Madre Speranza (al secolo, Maria Josefa Alhama Valera) è nata a Santomera, provincia di Murcia, nel sud-est della Spagna, il 30 settembre 1893; ed è morta in concetto di santità a Collevalenza di Todi, provincia di Perugia, nel centro Italia, l’8 febbraio 1983; a Collevalenza riposano anche le sue spoglie mortali, nella Cripta del Santuario dell’Amore Misericordioso, da lei realizzato.

Con un criterio di tipo geografico, la sua vita si può facilmente dividere in tre tappe: a) il periodo spagnolo (dalla nascita fino al 1940); b) il periodo romano (dal 1940 fino al 1951); c) e il periodo tuderte1 (dal 1951 fino alla morte).

A ciò bisogna poi aggiungere qualche notizia sul cammino processuale, successivo alla sua morte: d) la Causa di beatificazione (dal 1988 al 2013).

 

a) Il periodo spagnolo

L’infanzia e la giovinezza (1893-1914)

Maria Josefa fu la primogenita di nove fratelli, di cui quattro morti prematuramente e cinque sopravvissuti. La famiglia era molto povera: il papà (Josè Antonio) e la mamma (Carmen) non avevano né un lavoro stabile, né una casa propria: andavano a giornata come braccianti nei campi e negli orti della zona; e vivevano in una umilissima "baracca", fatta con mattoni di fango e paglia.

Fin da piccola Maria Josefa si mostrò particolarmente ricca di ingegno e di vitalità; e forse anche per questo, intorno ai sette anni, venne introdotta presso la famiglia del Parroco del paese e affidata alle due sorelle nubili di lui.

Con questa nuova sistemazione Maria Josefa manteneva i contatti con la sua famiglia naturale, imparava a leggere e scrivere, si rendeva utile nel disbrigo delle faccende domestiche, riceveva una buona educazione umana e cristiana, si andava innamorando di Gesù Eucaristia, conosceva più direttamente gli ambienti ecclesiastici e andava maturando sempre meglio la sua scelta vocazionale...

Maria Josefa rimase nella famiglia del Parroco per ben 14 anni, cioè fino ai 21 anni compiuti, quando finalmente partì da Santomera per farsi Suora.

 

Tra le Figlie del Calvario (1914-1921)

Sospinta da un grande desiderio di santità, entrò tra le Figlie del Calvario, a Villena, provincia di Alicante, a un centinaio di chilometri da Santomera.

Questa comunità di semi-clausura era l’ultima di una Pia Unione in via di estinzione, era composta da una decina di consorelle piuttosto anziane, praticava un genere di vita molto austero, coltivava la spiritualità della passione del Signore e si dedicava all’educazione di una quarantina di bambine bisognose.

L’impatto con questa realtà non fu per nulla facile; ma superò le sue difficoltà, facendo tesoro di un consiglio del suo santo Vescovo: considerarsi sempre e soltanto come un umile strumento di lavoro nelle mani del Signore.

Arrivata dunque alla sua prima professione dei voti (anno 1916), le fu imposto il bel nome di Speranza; nome che, per la verità, a lei non piacque molto, perché le ricordava una donna molto trasandata del suo paese; ma quel nome già racchiudeva in se stesso la sua missione futura, al servizio della Chiesa.

Madre Speranza rimase tra le Figlie del Calvario per sette anni, cioè fino al 1921, anno in cui quell’unica comunità in via di estinzione venne inglobata, per motivi di opportunità e di affinità, in un Istituto Religioso vero e proprio, le Religiose di Maria Immacolata, dette anche Missionarie Clarettiane.

 

Tra le Missionarie Clarettiane (1921-1930)

Se i sette anni tra le Figlie del Calvario sono stati come una preparazione remota rispetto alla sua missione futura, i nove anni tra le Clarettiane sono stati la vera preparazione immediata, come una gestazione per la nuova fondazione.

Durante questi anni, trascorsi soprattutto a Madrid, Madre Speranza si è dovuta misurare innanzitutto con sofferenze di natura fisica: per due volte infatti è arrivata in fin di vita, a causa di differenti complicazioni post-operatorie; ma in entrambi i casi ha sperimentato una guarigione umanamente inspiegabile.

E si è dovuta misurare inoltre con sofferenze di carattere morale, per via delle opposizioni sempre più forti che si andavano producendo intorno a lei.

In questo periodo, infatti, sono diventati sempre più chiari alcuni fenomeni di carattere soprannaturale (che si ripeteranno poi anche in seguito, con frequenza variabile): estasi, rivelazioni, sudori di sangue, stimmate, levitazioni, profumi, bilocazioni, incontri con persone defunte, Comunioni da mano invisibile, profezie, introspezioni, moltiplicazioni di alimenti… e vessazioni diaboliche.

Ed è diventata sempre più chiara anche la missione che la Divina Provvidenza le voleva assegnare nella Chiesa, a partire da una dedizione speciale nei confronti dell’infanzia più abbandonata; opera questa che prima è stata messa in marcia dentro la Congregazione Clarettiana, ma che poi ha richiesto una netta separazione dalla stessa, con grandi sconvolgimenti da una parte e dall’altra.

In tal modo, dopo varie ipotesi andate a vuoto (tra cui anche quella di una modifica alle Costituzioni dell’Istituto; e quella di una separazione ufficiale della Casa e della Comunità del Pinar, dove lei già stava operando a livello caritativo), Madre Speranza ottenne la dispensa dai voti religiosi e uscì dalle Clarettiane.

Insieme con lei uscirono anche una decina di altre consorelle, alcune delle quali però agirono più per il clamore della sua fama nella città di Madrid, che per una autentica vocazione; e le conseguenze non tardarono poi a manifestarsi...

Ma il frutto più amaro di questo distacco fu sicuramente quello relativo al sentimento del Vescovo di Madrid, il quale non gradì per nulla l’intera vicenda e prese ad ostacolare in modo viscerale la Madre Fondatrice e la sua Opera.

In particolare, egli continuò a voler applicare il divieto pontificio del 1930, relativo alla domanda di un distacco autorizzato della Casa del Pinar (destinata dai benefattori a Madre Speranza, ma pur sempre dipendente dalle Clarettiane), alla nuova realtà apostolica che lei aveva ormai avviato, ripartendo da zero.

 

La fondazione e lo sviluppo della Congregazione femminile (1930-1940)

Libera ormai da altri condizionamenti, ma priva anche di ogni protezione ecclesiastica, Madre Speranza si lanciò nella nuova avventura. E così, sempre a Madrid, la Notte di Natale del 1930 (in un piccolo appartamento preso in affitto, in un contesto di estrema povertà e in una forma del tutto privata), poté avviare la tanto desiderata fondazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso.

Ispirata dall’alto, Madre Speranza percorse, fin dal gennaio del 1931, una strada alternativa: quella di un riconoscimento di tipo soltanto civile, che avrebbe comunque consentito alla sua "Associazione" di esistere e di operare, rimanendo all’ombra di uno Statuto e di un Regolamento, approvati dallo Stato.

Questa decisione, dettata dalla difficoltà del momento, si rivelò poi quanto mai provvidenziale, perché (a differenza di ciò che accadde in Spagna alle altre Congregazioni Religiose) garantì alle Ancelle dell’AM una grande stabilità e una grande libertà di azione, anche in un contesto ostile come quello della Seconda repubblica (1931-1936) e della stessa Guerra civile (1936-1939).

La missione dunque, descritta già da tempo nel suo Diario e cullata per anni nel suo cuore, poteva iniziare: si trattava soprattutto di accogliere in apposite strutture e di assistere a tutti i livelli, bambini e bambine di famiglie bisognose, o privi addirittura di affetti familiari, senza esigere nulla dai loro genitori o parenti, ma poggiando per completo su eventuali sovvenzioni delle Istituzioni pubbliche, sul lavoro delle stesse Ancelle e sugli altri aiuti della Divina Provvidenza. Era quanto serviva alla Spagna in quel particolare momento di aspre polemiche sulle questioni sociali e di lotta aperta alla Chiesa, vista come ricca ed elitaria.

Pur essendo partita praticamente da zero, l’Associazione messa in marcia da Madre Speranza conobbe uno sviluppo davvero sorprendente: in quella prima decade infatti, soprattutto nel nord della Spagna (ma dal 1936 anche nella stessa città di Roma), furono aperte una decina di queste Case di accoglienza nelle quali venivano generosamente accuditi all’incirca un migliaio di ospiti interni.

A ciò si deve poi aggiungere la grande impresa caritativa, patrocinata dalla stessa Santa Sede, del rimpatrio di quei cosiddetti "bambini baschi" che all’inizio della Guerra civile erano stati mandati all’estero dal Governo rosso-repubblicano: dal 1937 al 1939, circa 10.000 di questi fanciulli transitarono per le Case delle Ancelle (specie a Bilbao), in attesa di essere riconsegnati a qualche parente!

Ma come fu possibile un simile miracolo di carità, in circostanze personali e sociali così avverse? Diciamo che una buona parte del merito va attribuita a una nobildonna di Bilbao, la Sig.na Maria Pilar Arratia la quale, ricca di sensibilità e di affetto materno verso l’infanzia bisognosa, condivise più con la vita che con i beni la stessa causa delle Ancelle dell’AM, così da diventare per la Madre Fondatrice come una figlia e una sorella, davvero "un aiuto in tutto e per tutto".

 

La campagna denigratoria e le indagini canoniche (1938-1940)

Ma le opere di Dio non sono tali, se non portano il sigillo della croce.

Ecco allora scatenarsi contro di lei un’aspra campagna denigratoria, che è arrivata a infangare il suo nome e a minacciare la sua Opera, non solo a livello diocesano o nazionale, ma fin dentro i sacri palazzi della Santa Sede.

Le cause di un simile fenomeno furono molteplici e complementari.

In primo luogo, la difficoltà oggettiva a inquadrare una figura così atipica come la sua, per la quale spesso ciò che era straordinario diventava normale, e nei confronti della quale il più delle volte le dicerie stravolgevano la realtà.

In secondo luogo, il disagio crescente di alcune di quelle Suore che erano uscite con lei dalle Clarettiane, le quali, più passava il tempo, più venivano a trovarsi in difficoltà in un Istituto che possedeva un altro spirito e un’altra missione; da qui la pretesa di cambiare le cose e di sostituirsi alla Madre Fondatrice.

E in terzo luogo, l’invidia di carattere economico da parte di un Sacerdote di Bilbao (dove si trovava la Casa generalizia delle Ancelle), il quale, essendo stato in precedenza il confessore e il consigliere della Sig.na Maria Pilar Arratia, si vedeva ora privato della sua fiducia, del suo edificio e del suo denaro.

La fusione di questi tre fattori e il coinvolgimento di altre persone dentro e fuori la Congregazione, produssero un clima sempre più pesante intorno a Madre Speranza, con veri e propri atti di istigazione e di ribellione contro la sua autorità; e con accuse infamanti, inviate a più riprese alla Sacra Congregazione dei Religiosi e soprattutto al Santo Officio;2 vi fu anche un momento, nel 1939, in cui la sua Opera sembrava fosse stata disciolta e lei rimandata alla vita secolare.

A causa di ciò e a partire dal 1938, furono disposte diverse indagini canoniche, con il coinvolgimento (in alcuni casi favorevole e in altri ostile) dei cinque Vescovi diocesani interessati3 e del Nunzio di Spagna; fino ad arrivare, nel 1940, all’invio di un vero e proprio Visitatore Apostolico da parte del Santo Officio.

La relazione finale del Padre Visitatore (un Clarettiano residente a Bilbao) fu semplicemente devastante: la si accusava di aver simulato i fenomeni mistici, di aver trasgredito tutti e dieci i Comandamenti e di governare l’Istituto in modo dispotico; se ne chiedeva la destituzione come Superiora generale e per maggiore sicurezza l’espulsione dalla Congregazione; si ponevano invece in ottima luce le diverse Suore antagoniste, a partire dalla Vicaria generale da poco esclaustrata.

Fu proprio sulla scia di queste accuse provenienti dalla Spagna, che Madre Speranza si trasferì a Roma, nel giugno del 1940, senza sapere ciò che il Santo Officio avrebbe sentenziato sopra la sua persona e sopra la sua Opera.

 

b) Il periodo romano

Madre Speranza è vissuta a Roma, sulla via Casilina, per undici anni (dal 1940 al 1951): i primi otto nella Casa presa in affitto dalle Suore di Namur (Villa Certosa); e gli altri tre nella nuova Sede generalizia della sua Congregazione.

Furono questi gli anni della lenta decantazione di tutte le polemiche precedenti; e della più completa approvazione delle Ancelle dell’AM.

 

I pronunciamenti della Santa Sede (1940-1946)

Durante questo tempo, gli interessamenti della Santa Sede sulla Fondatrice spagnola di via Casilina furono molteplici: alcuni di segno positivo, altri di segno negativo, ma tutti sicuramente provvidenziali nei misteriosi disegni del Signore.

E così, dopo averla interrogata direttamente e ripetutamente per mezzo di un proprio inquisitore, il Santo Officio prese finalmente le sue decisioni.

Prima, nel marzo del 1941, esso stabilì che: 1) Madre Speranza non poteva muoversi da Roma e restava Superiora generale; 2) volendo, i Vescovi interessati potevano eleggere una nuova Vicaria generale, chiudere le Case non desiderate e accordarsi per designare un Direttore dell’Istituto per eventuali riforme.

Ma appena un mese dopo, queste disposizioni (potenzialmente pericolose perché si prestavano a un possibile ripescaggio di qualche Suora ribelle) furono precisate un po’ meglio: 3) l’attuale Vicaria generale, Madre Perez del Molino,4 restava al suo posto; 4) per cambiare detta Vicaria, o per designare un Direttore della Congregazione, si doveva prima informare la Santa Sede; 5) e in ogni caso, bisognava evitare di porre persone antagoniste alla Superiora generale e bisognava salvare l’Istituto e il suo carattere benefico verso l’infanzia abbandonata.

Diciamo che la doppia sentenza del 1941 aveva un sapore agrodolce, nel senso che salvava la Congregazione, ma sacrificava la Fondatrice. E questo carattere ambivalente delle decisioni (vero atto di equilibrismo tra esigenze contrapposte: non danneggiare l’opera assistenziale già in atto e non scontentare i Prelati già schierati nella polemica) continuò e si accentuò negli anni successivi.

Infatti, nel marzo del 1942, previo consenso del Santo Officio, la Sacra Congregazione dei Religiosi emanò il decreto ufficiale con cui si sanava la prima approvazione delle Ancelle, quella che era stata concessa dal precedente Vescovo di Vittoria nel 1935 e che risultava dubbia per un difetto di forma.5 In tal modo, in un contesto di indicibile commozione, esse furono a tutti gli effetti un Istituto Religioso di diritto diocesano; e Madre Speranza poté emettere la sua professione perpetua, proprio nella solennità del Sacro Cuore di quello stesso anno.

Ma, nello stesso tempo, si continuò a vigilare e limitare tutti i suoi movimenti; e infine la si rimosse per completo dall’incarico di Superiora generale. E ciò avvenne precisamente in occasione del primo Capitolo generale delle Ancelle, celebrato ovviamente a Roma (Villa Certosa), nel novembre del 1946.

Questa assise era stata convocata con tutti i dovuti permessi e con l’intento di normalizzare definitivamente la vita dell’Istituto. Ma, nonostante che tutte le delegate avessero votato per Madre Speranza quale Superiora generale, gli emissari della Sacra Congregazione dei Religiosi, che presiedevano tale assemblea, requisirono le schede elettorali prima dello spoglio… e se ne andarono.

Dopo qualche settimana, lo stesso Sacro Dicastero inviava in via Casilina un altro incaricato, per comunicare i risultati elettorali: 1) Madre Speranza risultava esonerata da ogni incarico di governo; 2) mentre diventava Superiora generale un’altra delle sue Religiose.6 Il putiferio che seguì (tra le Suore e il suddetto incaricato) alla lettura di questi risultati ufficiali, è difficile da descrivere!

Madre Speranza invece, da parte sua, accettò questa ennesima permissione divina, quale occasione propizia per la sua santificazione; e attese che il Signore, ancora una volta, ricavasse il bene anche dal male e appianasse ogni difficoltà.

Intanto, accoglieva come un dono provvidenziale il fatto che, in vista della nazionalità italiana della nuova Superiora generale, la sede ufficiale del Governo della sua Congregazione si trasferiva definitivamente da Bilbao a Roma.7


1 Cioè, gli otre 30 anni trascorsi a Collevalenza di Todi (PG).

2 Si tratta dell’attuale "Congregazione per la dottrina della fede".

3 Specie quello di Vittoria, responsabile all’epoca della città di Bilbao.

4 La quale era fedelissima e legatissima alla Madre Fondatrice.

5 Il Vescovo infatti non aveva chiesto l’autorizzazione previa a Roma.

6 Si trattava di Madre Antonia Andreazza, devotissima per altro alla Fondatrice.

7 Considerato il clima a dir poco avvelenato che si era creato a Bilbao contro la sua persona, questo spostamento rivestiva un’importanza veramente fondamentale.

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ultimo aggiornamento 11 settembre, 2013