studi  
 

Don Ruggero Ramella, sdfam

 

Madre Speranza ... e i Sacerdoti

 

Si scrive misericordia, ma si dice preti;

si parla dei poveri, ma si pensa ai preti;

 si aiutano i poveri, ma si guarda ai preti

 (seguito)

Gli inizi molto incerti dei Figli

Soffre talmente per essi, vedendo, nelle loro incerte sorti, le incerte sorti della sua stessa opera sacerdotale, fino al punto di paventarne la disgregazione e la soppressione sul nascere. Il 29 febbraio 1952 la Madre scrive: la mia mente è un autentico vulcano: mi sembra sia giunto il momento di separarmi dai figli e che questi non seguiteranno a far parte della nascente Congregazione, che i sacerdoti di questa diocesi (Fermo) non entreranno più e tutto crollerà. Nella mia angoscia e nel mio dolore, so dire solamente "povero Gesù! Poveri figli! Che vergogna patiranno se il santo Ufficio scioglierà la Congregazione, anche fosse solo temporaneamente!" (Diario 18, 1129-1130). L’angoscia per la sorte della nascente Congregazione e per i singoli membri la attanaglia a più riprese, senza interruzione (cfr. Diario 18, 1161; 1260; 1268; 1273; 1303-1304; 1316-1318; 1321-1322; 1325; 1361;1363; 1367-1368), fino al settembre 1952. Gesù però non le fa mancare il suo sostegno e la sua consolazione, anche se la Madre non riesce sempre a consolarsi immersa nelle sue previsioni a tratti sempre più nere; Gesù la esorta lo stesso a pregare e ad offrire tutte queste sofferenze sempre in riparazione dei peccati dei sacerdoti, ricordandole il suo voto di vittima per questo; la Madre però si sorprende ad accettare tutte le sofferenze, ma non la separazione dai figli, così in apprensione per loro: ama Gesù profondamente, e vuole soffrire tanto per Lui e per i sacerdoti, anche al posto dei figli; mercanteggia con Gesù affermandogli di voler rafforzare i figli con la sua vita consunta dal dolore; infine si appena con Gesù per le sue reazioni non generose di fronte alle burrasche che investono i suoi figli: burrasche fuori, burrasche dentro il suo cuore, dentro il suo stesso rapporto intimo con Gesù, è lacerata, ma alla fine si abbandona, esausta in tutto il suo essere.

Infatti il 15 aprile 1952 la Madre scrive: Le mie sofferenze, angosce e dolori siano sempre in riparazione delle offese dei sacerdoti del mondo intero. Dirai che è poca cosa quella che ti offro per una riparazione tanto grande, ma uniscila al tuo Amore Misericordioso e tutto verrà saldato; me lo prometti? Dimmi di sì! Ed io che cosa ti prometto? Nulla, poiché ogni cosa mia è tua e il mio povero cuore non può amarti di più, anzi devo dirti di attenuare un po’, perché non resisto a questo fuoco del tuo amore (Diario 18, 1302). Tutti i dolori alla fine, anche quelli per le vicende dei figli (Fermo non li vuole più e il Vaticano sta in procinto di sopprimerli), sono ben poca cosa di fronte all’enormità del peccato del clero di tutto il mondo, grande per la sostanza, per i soggetti coinvolti e le dimensioni spazio temporali, tanto che solo Gesù può riparare adeguatamente con il suo amore, mentre lei può fare qualcosa solo se aggiunge le sue sofferenze, unendole alla riparazione di Gesù. È per amore di Lui che fa tutto questo, ma il suo amore è insufficiente a tutto ciò, e nello stesso tempo però le sembra già il massimo che può fare, le sembra già il massimo dell’amore che lei può sostenere per Lui: il fuoco dell’amore che le è dentro la sta bruciando viva, al punto che, pur cosciente della sua quasi inutilità, chiede a Gesù di diminuire il fuoco dell’amore che lei ha dentro, di diminuire l’amore che lei prova per Lui; vorrebbe amarlo di più, ma non può, si sente morire; paradossalmente l’insufficienza della sua riparazione di fronte al peccato del clero si sposa con il sentirsi morire per amore di Lui, non può riparare più di tanto perché di più morirebbe d’amore. Sarebbe schiacciata dalla constatazione di queste due realtà se non avesse la consolazione che Gesù saprà ben completare e supplire alle sue deficienze. Si rassegna ad amarlo così, come anche il clero, ha raggiunto il culmine possibile, e l’accetta per solo sfinimento.

 

L’amore la incalza

Ma si rassegna per poco, perché poi torna alla carica tornando a chiedere e sofferenze su sofferenze per riparare i peccati passati e attuali del clero del mondo intero (cfr. Diario 18, 1308, 1338). In piena burrasca per le sorti della congregazione dei Figli, ad amarezza su amarezza si aggiunge la pena di aver dimenticato, a detta di lei, il voto di vittima per i sacerdoti, e questo la getta ancora di più nello sconforto, come riporta il 7 maggio 1952: ho dimenticato anche la mia offerta come vittima per il clero e così temo che la mia sofferenza, invece di essere di sollievo per queste povere anime, non sia servita ad altro che ad offendere il buon Gesù. Preferisco morire anziché offendere il mio Dio o smettere di fare la sua divina volontà; voglio sempre farlo contento; voglio vivere solo per amarlo e, unita a Lui, vivere soffrendo e morire amando (Diario 18, 1313-1314). L’amore di Gesù e per Lui giganteggia anche nel bel mezzo delle sue burrasche interiori; sembra di risentire le parole del profeta Geremia: Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me. Quando parlo, devo gridare, devo urlare: "Violenza! Oppressione!". Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. Mi dicevo: "Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!". Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo (Ger 20, 7-9).

L’unione totale col buon Gesù

Sì, l’amore di Gesù e per Lui nella Madre vince su tutto, nel bene e nel male, scrive infatti la Madre il 1° giugno 1952: Credo che il mio amore per Dio non sia conforme col mio comportamento, perché cerco il mio benessere anziché la carità, il mio piacere anziché il sacrificio e trascuro il mio dovere per vivere unita a Lui, senza badare che per questa ambita contemplazione ho a disposizione l’eternità, mentre invece in questo breve esilio debbo soffrire, lavorare per la gloria di Dio e riparare quale vittima di espiazione (per i sacerdoti del mondo intero), ad imitazione del buon Gesù (Diario 18, 1348). Che cosa infatti le sta succedendo? Lo dice lei stessa poco prima, nello stesso Diario: Non so cosa mi sta succedendo poiché mi sento senza forze e con una specie di disgusto e tedio per le cose che mi circondano; provo la tentazione di restare in camera da sola con Dio e debbo sforzarmi per stare insieme ai figli e alle figlie, perché sento una prostrazione morale che non mi permette di provare gioia per le cose che mi circondano, ma nonostante questo credo di amare il buon Gesù tanto, tanto, fino al punto che molte volte il mio debole cuore non riesce a sopportare questo fuoco ardente e debbo gridare: "basta, Gesù mio, allevia un po’ perché non resisto oltre" (Diario 18, 1347). La Madre ormai è entrata nell’unione totale col buon Gesù, sta entrando nel pieno dell’unione trasformante nel suo rapporto con Gesù, e si rammarica di voler più contemplare Dio che soffrire in riparazione come vittima, ma questa unione è più forte di lei, la attrae inesorabilmente.

Si dimentica di sé, e pensa soltanto alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime, e per questo ha un grande desiderio di patire in riparazione, ma senza le inquietudini che aveva prima, prova una grande felicità e una grande pace, appena turbata dal pensiero che le sembra di non soffrire più, chè forse, dubita lei, è per egoismo. Pur attratta da Lui, e godendo della sua presenza, non ha però desiderio di morire per godere di più della presenza di Dio, ma desidera vivere per servirlo ancora. Nello stesso tempo prova anche un grande distacco da tutto, sentendosene in qualche modo colpevole, ma non può farci nulla: desidera soltanto essere sola, in compagnia con Dio; sente una grande pace; sta completamente assorta nella contemplazione, senza qualche sforzo da parte sua, né la turbano più di tanto i problemi (cfr. P. Mario Gialletti, Ruolo profetico di Madre Speranza, Atti del Convegno di Collevalenza 5-8 febbraio 1993, ed. L’Amore Misericordioso, pp. 57-58). Al culmine di questo stato, il 30 gennaio 1954, la Madre scrive: Non so che dire, mi sembra di essere ogni giorno più assorta in questo letargo e, senza rendermi conto, lo sguardo, la mente e il cuore si fissano nel buon Gesù, rimanendo come immersa in Lui, senza curarmi di quello che succede intorno a me, né adempiere i miei doveri, camminando per casa senza preoccuparmi – a mio parere – di vedere, come prima, cosa fanno i figli e le figlie (Diario 18, 1440). Sembra di sentire lo stesso S. Paolo che in qualche modo descrive la stessa esperienza: Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo. Persuaso di questo, so che rimarrò e continuerò a rimanere in mezzo a tutti voi per il progresso e la gioia della vostra fede (Ef 1, 21-25).

 

I Diocesani con voti

Nel frattempo, malgrado le mille contrarietà, la sua opera sacerdotale conosce dei progressi. Il 29 febbraio 1952 Gesù le dice che è giunta l’ora di scrivere ciò che riguarda il clero diocesano con voti, raggiungendo così il culmine della sua cura per i sacerdoti: l’attenzione a loro arriva fino al punto di metterli a parte della vita comune con i Figli dell’Amore Misericordioso, aggregandoli a titolo personale ad essi con i voti, considerandoli membri della Congregazione a tutti gli effetti. Tutto quello che Madre Speranza aveva pensato fosse necessario approntare per la cura del clero, mediante in particolare l’opera dei suoi figli, con questo ramo raggiunge il massimo, rendendo inoltre questi stessi sacerdoti a loro volta curatori attenti, con la stessa grazia carismatica dei Figli, ai loro confratelli diocesani, animandoli in tutti i sensi dal di dentro del presbiterio diocesano (cfr. Diario 18, 1140). Troverà per questo però tante incomprensioni e difficoltà, che faranno parte di tutto l’armamentario che il diavolo appronterà per contrastare quest’opera a favore del clero diocesano; già avevamo detto che il diavolo si fa sentire nella vita della Madre quando soprattutto ella metterà in opera i suoi progetti a favore del clero, e lui puntuale si presenta ad ogni fase, mettendo ostacoli quanti più ne può, arrivando anche alla violenza fisica contro la Madre stessa, per punirla di essere comunque riuscita, malgrado i suoi lacci. Scrive Madre Speranza il 12 marzo 1952: Questa notte sono stata molto angosciata, perché il "tignoso" non mi ha lasciato in pace; sembra si sia infuriato perché sto scrivendo ciò che riguarda i sacerdoti diocesani con voti; ho avuto tanta paura ed oggi non mi sento bene (18, 1194). Finalmente però l’8 dicembre 1954, a Fermo, i primi due diocesani emettono i loro primi voti (cfr. Diario 18, 1518).

 

Il voto di vittima dei Figli (e Figlie)

Un’altro evento ancora fa avanzare la sua opera sacerdotale. Scrive la Madre, il 6 maggio 1952: Oggi, Gesù mio, è un grande giorno perché un figlio con generosità si è offerto come vittima di espiazione per i sacerdoti deboli del mondo intero. Gesù mio, accetta la generosa vittima e, col tuo amore e la tua misericordia, perdona, dimentica e non considerare le offese di queste anime che, accecate dalla forza delle passioni, hanno dimenticato che sono a te consacrate. Fa’ che questa vittima, che oggi si è generosamente offerta per loro, corra sempre verso il dolore come un assetato e che la tua bellezza, la tua bontà, la tua misericordia e il tuo amore catturino il suo cuore e vi accendano il forte e ardente fuoco dell’amore (Diario 18, 1306-1307). È il culmine della delineazione del Figlio dell’Amore Misericordioso. È il Figlio dell’Amore Misericordioso continuatore dello spirito sacerdotale della Madre. È l’erede fedele di ciò che Gesù ha voluto dalla Madre dalla sua fanciullezza fino alla morte, ciò che come un filo rosso ha congiunto tutte le fasi della vita della Madre, comprese tutte le sue opere, nonché il compito della proclamazione del suo Amore Misericordioso in tutte le contrade del mondo, in tutte le periferie esistenziali dell’uomo, come direbbe Papa Francesco. Ogni figlio e figlia dell’Amore Misericordioso dovrebbe emettere questo voto di vittima in riparazione dei peccati dei sacerdoti e per la loro santificazione, trovandovi qui il senso e il culmine della propria vocazione di uomini e di Figli e Ancelle dell’Amore Misericordioso, come la Madre stessa fin dai primordi si auspica, per comando di Gesù, in occasione della prima volta che emetterà questo voto in quel lontano 18 dicembre 1927: Questa notte mi sono distratta e il buon Gesù mi ha detto, che non debbo desiderare altro che amarlo e soffrire, per riparare le offese che riceve dal suo amato clero. Debbo far si che quanti vivono con me sentano questo desiderio di soffrire e offrirsi come vittime di espiazione per i peccati che commettono i sacerdoti del mondo intero (Diario 18, 3).

(segue)

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ultimo aggiornamento 14 maggio, 2014