Pastorale Familiare

Marina Berardi

"La correzione, un atto di carità"

 

 

Proseguiamo il nostro cammino nel mondo dell’educativo, coscienti che lasciarsi formare e guidare esige disponibilità interiore, scelta personale, impegno e che l’accompagnare può anche convertirsi in un giogo e un carico faticoso da portare, soprattutto quando a muoverci è la ricerca del vero bene e della carità, il desiderio di discernere la volontà del Signore sulla nostra vita e su chi ci è affidato. Gesù lo sapeva; per questo ci rassicura: "Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero"; per questo si sporca le mani con noi: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò"; per questo ci indica la strada: "Imparate da me…".

Non ci rimane, dunque, che sederci ai suoi piedi e andare alla sua scuola, così come ha fatto M. Speranza che è diventata madre, educatrice e maestra di virtù frequentando il suo Buon Gesù. Chi l’avvicinava vedeva in lei una persona ferma di carattere e forte, ma allo stesso tempo dolce e comprensiva. Ha lavorato con passione su se stessa per arrivare ad essere come Gesù la voleva: mite ed umile di cuore, grembo accogliente per molti fratelli, ristoro, conforto, sprone, esempio.

Ripercorrendo i suoi scritti troviamo un tesoro inesauribile che vogliamo iniziare a scandagliare. Ci sono dei passaggi che, una volta letti, non ci lasciano uguali, passaggi che non hanno bisogno di commenti. Sono riflessioni che, entrando nel cuore e nella mente, ci spingono a rivedere il nostro agire e a operare scelte concrete… sempre che vogliamo essere padri, madri ed educatori "stile Amore Misericordioso".

Seguiamo, allora, la Madre, la quale ci consiglia di equipaggiarci di alcune virtù che renderanno più sicuro il successo nell’ardua impresa.

"Vediamo ciò di cui abbiamo bisogno… per fare in modo che la fermezza del nostro carattere possa fare del bene. Io credo che la prima cosa sia quella di essere sempre accompagnati dalla pazienza: non lasciarsi trasportare dal malumore o dalla collera; non esiste un’altra cosa che disdica tanto... quanto la collera che rende odioso e dispregevole colui che dovrebbe essere venerato e di stimolo.

Ci è molto facile essere sdegnati, comandare con arroganza e castigare; per questo non abbiamo bisogno di andare a scuola perché la nostra natura già lo porta con sé; mentre ci è piuttosto difficile controllare le passioni, moderare il carattere, sopportare con pazienza e carità i difetti del nostro prossimo, aspettare che sia passato il momento della impetuosità e della collera, il prendere le cose con pazienza, il pregare prima di dare una correzione e darla dopo aver esaminato i diversi modi di correggere con carità; tutto questo esige una virtù vigorosa (varonil) e un grande amore a Nostro Dio; quando amiamo il nostro prossimo facilmente riusciamo a sopportane i difetti ma, se non lo amiamo, non avremo pazienza per tollerarne le debolezze né ci impegneremo a correggercene.

Sopportiamo con pazienza i difetti dei nostri figli e di tutto il nostro prossimo; la pazienza è l’esercizio più vantaggioso per noi, quello che ci assicura la nostra stessa santificazione perché, sopportando gli altri, noi cresciamo in umiltà, in mortificazione, in dolcezza e carità perfetta; con il sopportare i difetti degli altri rendiamo concreto in noi quell’esercizio che è il più vantaggioso per garantire un nostro avanzamento nella virtù. Vediamo anche quanto sia preziosa la pazienza. Per mezzo della pazienza si arriva a quelle virtù sublimi che sono la mansuetudine e la perseveranza"1.

Educare è un percorso che esige tempo, dedizione, presenza e che si fonda sull’umiltà, base di tutte le virtù. Credo che ne avremo fatto esperienza: educare l’altro è educare se stessi, o meglio, è lasciarsi educare. Per sapere chi sono, chi voglio diventare o quale meta indicare all’altro, è importante capire chi è il mio vero maestro, chi orienta le piccole e grandi scelte della mia vita.

Papa Francesco non ha dubbi e non perde occasione per ricordarci – a voce e con i fatti - che è la Parola a dover indirizzare il nostro agire: una Parola da portare in tasca, da leggere e meditare, perché ci illumini nelle nostre decisioni.

Anche la Madre indica l’intimità con Gesù, la preghiera, come il luogo per rientrare in noi stessi e lasciare che questa illumini i nostri atteggiamenti e le nostre azioni, soprattutto quando ci accingiamo ad esercitare la delicata arte della correzione.

"Teniamo presente che ogni correzione deve essere preceduta dalla preghiera; perché una correzione risulti vantaggiosa è necessario che, tanto chi la riceve che chi la da, abbia uno stato d’animo rilassato e uno spirito tranquillo; per questo, dovendo riprendere un figlio, prima dobbiamo vedere se l’ammonimento non dovesse esporre lui a qualche cosa di peggio o noi stessi a commettere una mancanza; non possiamo dimenticare che metteremmo in pericolo il colpevole se lo correggessimo quando è turbato o afflitto, poiché in quel momento non riconosce la sua colpa e pensa che gli portiamo antipatia.

Non si deve riprendere mai uno nel momento che si commette una mancanza. Se il signore ci chiedesse conto nel momento del nostro peccato la maggior parte di tutti noi finirebbe sotto la sua mano di giustizia. Invece, che fa il Signore? Aspetta che l’anima si corregga; e non una o due volte ma tante e tante; e poi con voce dolce e soave la invita al pentimento, al dolore, alla contrizione. E noi come ci comportiamo?

Mai dobbiamo correggere quando siamo turbati poiché in questo caso la nostra correzione non è suggerita dalla carità ma dalla inquietudine o dalla passione; aspettiamo che la pace e la serenità si siano ristabilite nella nostra anima; e non dimentichiamo che il rigore e il bastone mai rialzano un debole mentre risultano più adatti per uccidere i vivi piuttosto che per risuscitare i morti.

Noi vediamo che quando una pecora si è rotta una zampa non per questo il pastore la maltratta né le rompe l’altra zampa, anzi la cura con premura e fascia la zampa che ha rotto, e se la carica sulle spalle, e la delicatezza la porta a un luogo di riposo.

Detestiamo, figli miei, il peccato ma mai i peccatori; per questi dobbiamo avere viscere di madre e molta carità. Correggiamo, si; però, una volta corretto un nostro figlio di una mancanza, non gliela ricordiamo più; la correzione non è un insulto né un oltraggio ma un atto di carità; per questo, finita la correzione, c’è da raddoppiare la carità con il colpevole2.

(continua)


1 M. Speranza, Perché imparino ad essere padri…, madri…, El Pan 11 e 12, 65-70.

2 Ibidem, 71-75.

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ultimo aggiornamento 12 gennaio, 2015