Un Teologo per
la vita: Padre
Ermenegildo Lio

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Un grande maestro

Nato a Castiglione Cosentino (Cosenza) il 3 maggio 1920, fin dalla giovinezza attrezzò la sua mente di una formidabile preparazione filosofica, storica, teologica e ascetica, radicato fortemente nella dottrina di S. Tommaso d'Aquino (e del suo confratello S. Bonaventura) così da poter presto insegnare Teologia Morale alla Pontificia Università Lateranense a Roma.

Religioso esemplare, dall'intensa preghiera eucaristica e dalla filiale devozione all'Immacolata, Docente sicurissimo, Consultore al "Sant'Uffizio", fu chiamato da Papa Giovanni XXIII a far parte delle Commissioni preparatorie del Concilio Vaticano II. Padre Lio vi portò, appena quarantenne, la sua straordinaria scienza teologica che spaziava dalla Sacra Scrittura ai Padri, ai Pontefici, ai Teologi di tutta la Chiesa, attinta alle fonti di prima mano, costantemente approfondita, insegnata a schiere di candidati al sacerdozio e ai "titoli accademici", illustrata in numerosi scritti su diverse questioni di Teologia morale.

Al suo posto, redasse tra l'altro, lo schema "Sull'Ordine morale cristiano", in cui affermava che la Legge di Dio non dipende né dalla situazione né dalla coscienza soggettiva di ciascuno, ma è reale e vera in se stessa, è "oggettiva". In seguito diventerà un luminoso trattato, "L'Ordine morale cristiano" (Pont. Università Lateranense, Roma, 1972, pp. 231).

E preparò pure lo schema umano, sulla indissolubilità-unità-santità della famiglia, meritandosi l'elogio di diversi teologi, Vescovi e Cardinali (Attingiamo queste notizie biografiche dal libro di P. Lio, Humanae vitae e infallibilità, 1986, p. 224).

Paolo VI, conosciuto di persona, prese a stimarlo e ad amarlo profondamente per la sua dottrina e l'esemplarità di consacrato. Il Papa, spesso contestato per le sue posizioni di Sommo Maestro della Verità, lo volle vicino a sé come confidente, amico e sostegno, scambiando spesso con lui, a voce e con note autografe, idee e riflessioni utilissime.

Nell'autunno 1965, il Concilio Vaticano Il volgeva al termine con l'approvazione dei suoi documenti, tra cui la Costituzione "sulla Chiesa nel mondo contemporaneo". Grazie a P. Lio, che ne parlò con il Card. Ottaviani, e a questi che ne scrisse a Paolo VI, la medesima Costituzione poté essere perfezionata con il richiamo alla Casti connubii (1930) di Pio XI, e ai discorsi del 29 ottobre 1951 e del 12 settembre 1958 di Pio XII, che già aveva affermato la dottrina della Chiesa sul matrimonio in modo limpido e immutabile: il fine del matrimonio è la testimonianza della vita e non è mai lecita la contraccezione (Gaudium et spes, N. 5 1, nota 14).

Di questo principio mai dubitò Paolo VI, che volle riservata a sé l'ultima parola sulla questione, anche per rispondere nel modo più autorevole a tutte le obiezioni di quelli che dissentivano dalla Legge di Dio e dal Magistero irreformabile della Chiesa (P. Lio, Humanae vitae e infallibilità cit., pp. 455-456 e seguenti).

Humanae vitae, 1968

Sulla persona del Papa giunsero pressioni di ogni genere affinché dichiarasse lecito oggi con i moderni mezzi contraccettivi ciò che non è mai stato né può essere lecito. Paolo VI sentì più volte di persona P. Lio e lo incaricò di trovare teologi esimi e di redigere per lui il suo "voto". Scrive P. Lio: "Feci un voto di quasi ducento pagine che aveva come titolo "Sull'intrinseca malizia della contraccezione". In quello studio... non solo rispondevo con proprie argomentazioni alle varie obiezioni, ma mostravo positivamente come poteva essere la risposta del Papa, e quanto al contenuto e quanto alla qualifica di immutabilità e di irreformabilità. Con documenti non conosciuti, mostravo che anche i pretesi argomenti permissivi per ragione dell'amore coniugale, della totalità degli atti, ecc.... erano già conosciuti dai teologi del secolo passato e mai accettati" (Ivi, pp. 459-462). Paolo VI confidò a P. Lio di essere personalmente "rneravigliato come si potesse proporre un possibile mutamento" (Ivi, p. 462).

Il 25 luglio 1968, Paolo VI, sfidando impopolarità e contestazione, pubblicò l'enciclica Humanae vitae, in cui affermava in modo decisivo: "Richiamando gli uomini all'osservanza delle norme della legge naturale interpretata dalla sua costante dottrina, la Chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita. Tale dottrina, più volte esposta dal Magistero, è fondata sulla connessione che Dio ha voluto tra i due significati dell'atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo". E al N. 14 (il famoso N. 14) l'affermazione centrale: esclusi aborto e sterilizzazione, "è altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale o nel suo compimento o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione".

Tutto questo, Papa Giovanni Paolo Il ha sempre confermato nei suoi interventi, nella Familiaris consortio (1981) e nella Evangelium vitae (1995), trattandosi di Magistero infallibile, immutabile e non riformabile, parte del "Sacro Deposito" della Fede e della Tradizione cristiana.

Scrive P. Lio: "Paolo VI benevolmente poi mi ringraziò per lo studio e per il lavoro, nella preparazione non di una semplice asciutta e fredda risposta, ma poi anche di un'enciclica ben nutrita" (Ivi, p. 462). Nella sua umiltà di Francesco, P. Lio però commenta: "Il vero e unico Autore è il Sommo Pontefice Paolo VI... Personalmente non ho avuto e non ho che sofferenze che gioiosamente accetto per testimonianza a Cristo, l'unico infallibile Maestro" (Ivi, P. 424-425).

Forte nel sacrificio

In difesa della dottrina della Chiesa di sempre, dal Concilio di Trento, di Pio XI, Pio XII, Paolo VI, del Concilio Vaticano Il di Giovanni Paolo II, Padre Ermenegildo Lio scrisse due libri forti e carichi di luce: "Humanae vitae e coscienza" (Ed. Vaticana, 1980) e il più volte citato "Humanae vitae e infallibilità" (Ed. Vaticana, 1986), da cui non si finisce più di imparare e di ammirare lo splendore della Verità ("Véritatis splendor"!) che la Chiesa insegna senza mai venir meno, anche nei tempi più confusi.

Accettare e seguire l'Humanae vitae, anche se costa sacrificio, significa obbedire a Dio, evitare il peccato mortale e meritarci il Paradiso.

Ma significa pure che il matrimonio non sia profanato e che le nostre case siano di nuovo in festa per la nascita dei figli, che l'umanità viva e cresca e il Paradiso si riempia di santi. Solo a questo siamo chiamati e non dobbiamo mancare all'appello.

E Padre Lio? Ne ebbe un cumulo di sofferenze accolte come testimonianza a Cristo: lo sostennero la fede invitta, la celebrazione del santo Sacrificio della Messa, l'adorazione eucaristica e il Rosario alla Madonna, sgranato ogni giorno con la devozione di un fanciullo. A chi tentava di fargli smentire l'Humanae vitae, rispondeva, fermo come roccia: "Non sono io, è il Papa, è la Chiesa, è la Verità immutabile di Gesù Cristo!".

Giovanni Paolo II, al quale aveva offerto il suo volume di 927 pagine, Humanae vitae e infallibilità, lo confortò con una lettera con firma autografa, in cui, il 31 luglio 1986 gli esprimeva "animo grato e vivo apprezzamento per i sentimenti di sincera adesione al Magistero della Chiesa, che hanno sempre guidato la sua attività di ricerca e di insegnamento" e gli impartiva "una speciale benedizione apostolica, pegno della continua assistenza celeste per la fervorosa perseveranza nell'amore alla Verità e nel servizio delle anime".

Dopo la sua morte, avvenuta il 6 maggio 1992 a Grimaldi (Cosenza), sul ricordino funebre i suoi Confratelli di Calabria scrissero di lui: "Dottore esimio, lodò Dio, servì la Chiesa, onorò l'Ordine, insegnando, scrivendo, soffrendo molto. In un periodo di arbitrarie teorie, attinse solo al Vangelo, ai santi Dottori, al Magistero. Saldezza di dottrina, integrità di costumi, in una visione mistica della vita".

Paolo Risso

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ultimo aggionamento 05 maggio, 2005