L'atteggiamento di misericordia ha un nucleo esperienziale. Uno degli elementi di questo nucleo è l'esperienza di sentirsi senza protezione che è veramente fondamentale. Una persona che non ha vissuto la salutare esperienza dei suoi limiti, la necessità di essere aiutato e accolto, la frustrazione del fallimento, l'impotenza di costruire magicamente la realtà secondo i suoi desideri, il morso della colpevolezza, l'ansia di essere perdonato, l'insoddisfazione dell'affetto non corrisposto, la angoscia dell'appuntamento con la morte... è immunizzato contro la misericordia. Se, come diremo più avanti, l'atteggiamento di misericordia dipende dalla capacità di sintonia con il mondo interiore dell'indifeso, colui che non ha esperimentato l'abbandono non può sintonizzarsi con l'indigente. Di fatto, la capacità di sintonia dell'uomo è limitata. Soltanto comunichiamo vitalmente con quelle persone e situazioni che ci rimandano alla nostra persona e alla nostra situazione. Al limite, soltanto sentiamo compassione per quelli nei quali ci riconosciamo. La vera misericordia include coscienza di essere solidali nella debolezza.
Ma non qualsiasi esperienza di abbandono genera misericordia.
Alcune esperienze di questo tipo provocano autodisprezzo, chiusura in se stessi, aggressività. Odiare se stessi è meno difficile di quel che pare.
L'esperienza che genera misericordia è l'abbandono accettato, digerito, come una struttura (non come un fatto transitorio) della condizione umana, della mia condizione umana. Questa digestione non è affatto priva di dolore. E' penosa e sempre incompleta. E paradossalmente non colloca il soggetto in una passività fatalista, ma libera, nella persona, energie e speranze per lottare contro tutte le forme concrete di indigenza, ampliando in questo modo lo spazio di libertà, sicurezza e felicità, della persona. Non si può annullare l'indigenza, come non si può annullare la morte. Ma la si può far retrocedere.
Le persone di questa tempra sono sufficientemente libere da se stesse per sentire e praticare la misericordia. Sanno accendere nella miseria rassegnata o disperata la fiamma della speranza. Niente conforta il debole quanto l'osare di essere deboli con lui e incoraggiarlo a ridurre i limiti della sua debolezza.