Cosa può dire lo studioso di scienze sociali della seconda Enciclica di Papa Giovanni Paolo II. "Dives in misericordia"? Come può una scienza incerta e limitata come la sociologia affrontare un discorso così alto? Della "Dives in misericordia", certo la più biblica e teologica delle encicliche sinora scritte da Papa Wojtyla, non sarebbe meglio al sociologo, tacere, piuttosto che, parlando, banalizzare e profanare un messaggio così alto?

Sono, queste, domande reali, che non si possono non avanzare preliminarmente. Esse, tuttavia, non escludendo la possibilità di un discorso sociologico sull'Enciclica, ma richiedono un atteggiamento di cautela e di disponibilità. Non si tratta, cioè, di fare una lettura sociologica dell'Enciclica; e neppure di desumere dall'Enciclica una sociologia. Si tratta, piuttosto, di indicare che cosa l'Enciclica può offrire all'uomo delle culture contemporanee; e si tratta, ancora, di comprendere meglio il richiamo di Giovanni Paolo II alla misericordia analizzando le culture attuali, nelle quali vi è, insieme, una quasi totale assenza di misericordia e un bisogno irrefrenabile di amore misericordioso.

E' necessario - mi sembra - avvicinarsi all'Enciclica con una mentalità nuova e progressiva, capace di mettere alle spalle vecchi miti e superficiali utopie. Per troppo tempo la cultura cattolica ha pensato che le scienze umane (psicologia, sociologia, antropologia) consentissero un intendimento più profondo della rivelazione e della teologia. Capire il Vangelo attraverso Marx o la teologia morale attraverso Freud era divenuto un tema obbligato. L'esito non fu davvero soddisfacente, in quanto si finì per non capire più non solo complesso d'inferiorità e dialogare con le scienze umane (quasi sempre enunciate in termini di anticristianesimo) sulla base della propria identità cristiana, della fedeltà alla tradizione, dell'unità ecclesiale. Le scienze umane aiutano certo a conoscere meglio l'uomo di oggi, la sua situazione e i suoi condizionamenti; ma nulla possono dire circa la natura dell'uomo e il destino dell'uomo come ente naturale-soprannaturale (a queste domande solo la teologia e la filosofica sanno dare una risposta).

E', poi, ancora vero che le scienze umane rischiamo di divenire totalitarie, di trasformare la loro descrizione dei fenomeni in un progetto normativo. Solo il riferimento ad una saggezza superiore

consente di evitare tentazioni assolutistiche incompatibili con il carattere provvisorio e subalterno delle scienze umane. In tal senso si può affermare che la rivelazione, la teologia e la filosofia sono necessarie per un retto uso delle scienze umane.