Un antico testo liturgico recita: "Rubum quem viderat Moyses incombustum conservatam agnovimus Tuam virginitatem" [Nel roveto che Mosè vide ardere senza consumarsi noi riconosciamo (o Maria) la Tua verginità].
Questo pensiero, che correla con riverenza e tenerezza la verginità della Madre di Gesù allantichissimo segno biblico dellEsodo, è presente nellesegesi cristiana sin dal IV° secolo.
In Cappadocia S. Gregorio di Nissa, annotava infatti espressamente in quellepoca: "Ciò che venne prefigurato nella fiamma fu poi apertamente manifestato nel mistero della Vergine. Come sul monte [Sinai] il roveto ardeva ma non si consumava, così la Vergine, intatta, partorì la Luce".
Indubbiamente non può non colpire ancor oggi la straordinaria bellezza di questa immagine, ed anzi è affascinante osservare che, secondo tale "lettura", il mistero dellIncarnazione del Verbo e quello della Verginità di Maria (tra loro strettamente connessi) sarebbero delineati, anche se in figura sfumata, già in seno allantichissimo resoconto dellEsodo (XIII° - XII° secolo a.C.), quando Israele non aveva ancora (né poteva avere) alcun sentore del Salvatore né di Maria.
Ma fin dove si tratta di un contenuto reale del messaggio biblico e non piuttosto solo (come è ragionevole pensare) di una libera allegoria posteriore, di una costruzione poetica successiva, innestatavi dalla pietà cristiana, insomma di arbitrio umano tardivo anche se splendido? Può cioé mostrarsi che realmente il sostegno della "lettura" cristologica e mariana assieme dellantichissimo codice vetero-testamentario, non è un artificioso adattamento della mente orante, ma un preciso [anche se velato] contenuto del messaggio biblico?
Oggi noi sappiamo che nella cultura antica, e poi in quella medioevale e fino al Rinascimento, è stato accreditato un valore di verità ai ragionamenti analogici (e tale è per lappunto quello di S. Gregorio di Nissa, che si fonda su un "così... come", cioè appunto su uno schema analogico). Un tempo era quindi possibile recepire come vere le spiegazioni omilitiche, esegetiche, come è quello in esame. Ma oggi un tale procedimento logico non risulta più accettabile né riconoscibile come fondamento di verità poiché si è riconosciuto che gli accostamenti analogici (e quindi tutto lintendimento "simbolico") non posseggono una validità "erga omnes", una forza cogente, ma esprimono solo il punto di vista personale del proponente che "vuol" dargli quella specifica significanza; ma questa, in quanto "libera", può non essere accettata da colui che ascolta. Lanalogia aggiunge insomma contenuti liberi, ma non estrae contenuti interni (e riconoscibili) del messaggio a cui ci si accosta, cosicché il procedimento analogico, anche se poetico e bellissimo, risulta in realtà fuorviante rispetto al messaggio originario, per la cui lettura non arbitraria occorre un fondamento "non analogico", occorrono cioé elementi di conferma.
Eppure lintensità che traspare dallidea che lIcarnazione del Verbo e la Verginità di Maria che gli è connessa siano prefigurati già alla radice della Storia della Salvezza è così seducente da far sperare che tale conferma potrebbe esistere e possa essere data.
È osservabile, a tal riguardo, che lelemento centrale del resoconto del Sinai è la rivelazione del Nome di Dio.
Nella Bibbia ebraica questo Nome viene designato con quattro consonanti, il tetragramma JHWH, che si legge "Jahvè", o, in forma abbreviata, "Jah". Esso, per rispetto, non verrà più pronunciato dagli ebrei a partire dagli ultimi due o tre secoli prima di Cristo, poiché nella cultura dellepoca si riteneva che nel nome è presente Dio stesso; e verrà sostituito dalla parola "Adonaj" (= il Signore) o con lindicazione "ha-Shem" (= il Nome).
Ma che significa JHWH, che nella Bibbia ebraica compare più di 6800 volte?
Riporto (anche nelle precedenti righe) quanto su questo argomento ne scrive Hans Kung nel suo recente (e bellissimo) trattato sullEbraismo (Ed. Rizzoli 1993): «Comè noto, a questa domanda, formulata davanti al roveto ardente in occasione della chiamata sua, Mosè ricevette [Esodo 3-4] questa enigmatica risposta: " ehjeh asher ehjeh".
Oggi [per essa] non ci si può più attenere alla traduzione greca della Bibbia ebraica (detta "dei Settanta" poiché, secondo la leggenda, venne realizzata da 70 traduttori): "Io sono lEsistente". Certo in rari casi [lantico] verbo hajah può anche significare "essere", ma per lo più significa "esserci", accadere, avvenire. E siccome in ebraico la medesima forma vale (sia) per il presente e [sia] per il futuro, si può tradurre [...], come fa il grande traduttore della Bibbia ebraica Martin Buber, "Io ci sarò come Colui che sarò", [oppure: Io sono Colui che ci sarà].
[...] Con questa risposta lessenza di Dio non viene affatto definita in maniera statico-ontologica, come ritenevano alcuni teologi cristiani antichi, medioevali, e moderni: "sum qui sum = Io sono Colui che è", lipsum esse = lessere stesso; [ma] viene piuttosto annunciata in forma di promessa la Volontà di Dio, [...] lessere presente ed operante di Dio. "Jahvè" significa dunque: "Io ci sarò, sarò presente (per guidare, aiutare, rafforzare, liberare)"».
Sul Sinai Dio si dichiara con ciò non lEsistente (il che ha un interesse relativo) ma il Protettore ed il Salvatore di Israele, si dichiara "Dio con noi e per noi", insomma lEmmanuel poi proclamato da Isaia cinque secoli dopo insieme alla preconizzazione (anche se velata ed indistinta) della Vergine [Is 7-14]. Michea, quasi contemporaneo e forse discepolo di Isaia, riprenderà a sua volta la profezia sulla Vergine, rafforzandola, ma senza soffermarsi sul tema della di lei verginità, [Mi 5-2] ripreso invece ed affermato con decisione nel Nuovo Testamento.
Allora, mentre la traduzione dei Settanta, che fu effettuta storicamente nellambito della Comunità Ebraica di Alessandria al tempo dellultima dinastia dei Tolomei, quando era imperante linflusso della cultura ellenistica, ne riflette linteresse e listanza "esistenziale", la critica linguistica moderna coglie piuttosto nel tetragramma JHWH la manifestazione di una Promessa salvifica che si riannoda alla Promessa già espressa ad Abramo (Genesi 15-17) ove il segno della Luce (la fiaccola che arde nelle tenebre) e quello del forno fumante rimandano certamente a Cristo, Luce del Mondo e Pane vivo (= Eucarestia), e questo proprio alla radice stessa (Genesi) della Storia della Salvezza.
La Theofania (= manifestazione di Dio) del Sinai mostra dunque, non per accostamento omilitico, analogico, esegetico (che non avrebbe alcuna forza logica), ma per struttura grammaticale delle parole "riferite da Dio", che realmente il contenuto del messaggio è di dichiarare con forza Dio quale Protettore e Salvatore; lo proclama per sue stesse parole (ehjeh asher ehjeh) non un astratto Esistente, inacessibile e velato, ma lEmmanuel operante (= il Messia), Colui che ci sarà, per noi e con noi, e che si svelerà a suo tempo essere Cristo.
Questi e non unastratta proclamazione di esistenza, è il nocciolo dellevento sul Sinai, e si badi bene, ciò quando Israele non aveva ancora alcun sentore del futuro Messia, il che esclude ogni manipolazione al riguardo e la possibilita sottesa di essere un resoconto tardivo ed inventato.
Se tale è il contenuto del messaggio del roveto, si tratta di una narrazione che va dunque letta, non per analogia, omilia od esegesi, ma per grammatica, esser segno (= traccia, figura, tipo), e non simbolo, del paradigma dellIncarnazione. Realmente la Theofania del Sinai "rimanda", anche se in forma indistinta e velata, al "Figlio" ed alla Vergine che ne è stata lo "strumento" ed il "mezzo", e della quale propone quindi la "prefigurazione ed il modello".
In logica si definisce "modello" ogni correlazione che "conserva" una proprietà. P. es: una carta geografica è modello di una regione in quanto ne conserva certi aspetti geometrici, ecc.
Nel roveto che arde incombusto è marcante la proprietà del rimanere intatto nonostante il suo ardere per rivelare Dio.
Questa caratteristica è conservata nella narrazione lucana dellAnnunciazione, assieme allintero schema narrativo:
Esodo 3-2.3 Luca 1-26.24
1) Langelo del Signore Gli apparve Langelo (Gabriele) fu mandato da Dio...
2) il roveto ardeva ma non si consumava ... ad una vergine ...
3) pensò: come mai il roveto non brucia? ... disse: come è possibile ciò?...
4) Rispose: Eccomi ... Allora Maria disse:
"Ecco lancella del Signore.
Sia fatto di me secondo la Tua parola".
Esiste, come si vede, una modellazione reciproca, sorretta, come si è detto, dalla struttura grammaticale del messaggio primitivo e sintattica delle due narrazioni, di cui sono "conservati" lun laltra, lo schema ed i rapporti.
E perciò fondato il criterio "tipologico" di un contenuto prefigurato nella prima e definitorio nella seconda delle due narrazioni, in connessione alla Promessa della Volontà salvifica di Dio; Dio con noi e per noi, sin dalle radici stesse dellAnnucio della Salvezza.
Ing. Calogero Benedetti
realizzazione webmaster@collevalenza.it
ultimo aggionamento 05 maggio, 2005