"Un seme glorioso che si chiama…
Amore Misericordioso"
(Roberto Lanza)
Ogni anno rispunta la domanda:
– Ha ancora senso la Quaresima?
– Chi s’accorge più che questo è un tempo non solo di penitenza, ma soprattutto di grazia?
– Come vivere la Pasqua del Signore Risorto?
– Che senso ha celebrare oggi questo tempo liturgico?
E
d è proprio questo l’itinerario pasquale che la liturgia ci propone quest’anno nel ciclo liturgico dell’anno B: la Chiesa ci invita a celebrare un rinnovamento sempre più profondo, guardando a Cristo, al suo amore appassionato per il Padre e per gli uomini, vivendo il suo mistero di "seme" che, deposto nella terra, muore e porta molto frutto. Le letture dell’anno B pongono proprio l’attenzione al tema dell’alleanza e del mistero pasquale di Cristo. Sono un invito a scoprire Cristo che nel suo mistero pasquale sacrifica se stesso per la nostra salvezza.Che senso ha la nostra storia? Come si fa a cogliere la bellezza di Dio e della vita secondo il vangelo? Chissà quante volte ci siamo fatti queste domande, e dobbiamo riconoscere che purtroppo non è facile oggi, per ogni credente e anche per ogni uomo che ricerca la verità, riflettere con serietà e semplicità su questi temi. La "bellezza" e il senso della vita, infatti, sembrano negati da tanto male che ancora esiste, sembrano "divorati" dall’egoismo e dall’odio che ormai hanno sostituito il posto dell’amore. Notiamo sempre più la mediocrità che avanza, il calcolo egoistico al posto della generosità, l’abitudine ripetitiva e vuota che sostituisce la fedeltà; l’uomo di oggi è sempre più immerso in una logica di relativismo esistenziale che lo ha fatto cadere nell’illusione dell’effimero e fa davvero tanta fatica a decidersi per ciò che vale e che costa sacrificio. È difficile oggi fare un discorso come questo perché la mentalità del benessere come un diritto dell’uomo, della vita concepita come divertimento e come assenza di sofferenza e di dolore, ha provocato una rottura determinante con i veri valori del vangelo. Tutti oggi più o meno siamo sempre meno educati al sacrificio, al "sudore della fronte", perché troviamo tutto pronto, tutto ci sembra dovuto. Il mondo di oggi ha investito tutto su questa impostazione, si deve tendere a dispensare l’uomo da ogni fatica, da ogni sacrificio, da ogni rinuncia e sofferenza.
Ma ad una lettura di fede noi sappiamo che i fatti che a nostro giudizio evidenziano dei fallimenti, sono avvenimenti amorevoli del Signore: egli vuole che riscopriamo la fede, la gioia, la speranza e ci abbandoniamo nelle sue mani. Il "successo" o il "non successo" nella storia sono nelle mani di Dio, perché ciò che appare un fallimento è parte del piano salvifico di Dio.
La Madre Speranza evidenziava con molta chiarezza questi passaggi: "Non è degno del Vangelo chi non è disposto a lasciarsi umiliare come il chicco di grano che, per dare vita a molti altri chicchi, si nasconde sotto terra, marcisce e muore... è nella Croce che si impara ad amare Gesù è lì che si apprende la lezione dell’amore... Senza Croce non v’è redenzione, se non passiamo per questa scuola di virtù non giungeremo alla perfezione dell’amore". E ancora scriveva: "Mi dici, Gesù mio, che l’amore se non soffre e non si sacrifica non è amore. Che insegnamento, Dio mio! Adesso mi rendo conto perché il tuo amore è così forte ed è fuoco che brucia e consuma. Hai sofferto tanto! Fa’, Gesù mio, che ti segua sempre nel dolore e mai dica "basta" nella sofferenza. Fa’ che impari a rinunciare continuamente a me stessa, per possedere il mio Dio. Aiutami, Gesù mio, a vivere sempre abbracciata alla croce e fa’ che sappia reprimere il desiderio di essere onorata, per mezzo della vera umiltà e l’amore ai piaceri, per mezzo della mortificazion" .
Dobbiamo cercare di seguire e compiere, in noi, quella "sofferenza" che perfeziona nell’amore il nostro essere; in altre parole abbracciare con amore la vita di ogni giorno con la croce quotidiana: "Mediante la croce Gesù salvò il mondo; mediante la croce noi dobbiamo lavorare con Lui per la santificazione nostra e del nostro prossimo. Certo, la sofferenza è per se stessa dura; però non lo è più quando contempliamo il buon Gesù che, per salvare noi e i nostri fratelli, ci precede portando la sua pesante croce", Il buon Gesù ci ha rivelato che "il chicco di grano se muore porta frutto", ed ora sappiamo che la sofferenza non è un assurdo insopportabile peso che ci prostra a terra e ci fa perdere la gioia di vivere. Nella sua grazia ogni dolore offerto per amore porta grandi frutti! Non sempre quello che desideri è quello che necessiti. Dobbiamo essere "elaborati", perché il buon Gesù deve sconfiggere in noi quella superbia "originale" che vuole convincerci che possiamo essere indipendenti, autonomi, senza nessun Dio sopra di noi: "Se uno pensa di essere qualcosa, mentre è nulla, inganna se stesso". Se potessimo rappresentare visivamente l’intera umanità, così come forse essa appare agli occhi di Dio, vedremmo lo spettacolo di una folla immensa di gente che si leva sulla punta dei piedi, che cerca di innalzarsi uno al di sopra dell’altro, schiacciando magari chi gli è accanto, per gridare: "Ci sono anch’io".
Dobbiamo lacerarci il cuore, non le vesti!
Il Signore vuole venire a cercare i propri figli; vuole entrare nella loro vita, perché possano sentire la Sua voce che chiama ognuno di loro per nome. Egli ci circonda, ci trova, ci tocca, si mette in contatto con noi, siamo sotto l’influenza della Sua mano, della Sua Persona, della Sua presenza. Dobbiamo avere il coraggio di marcire a noi stessi, di far decomporre il nostro uomo "vecchio", se non entriamo in questa visione, rischiamo di idolatrarci, preda di un narcisismo asfissiante. Se non facciamo nulla, se restiamo chiusi nel nostro egoismo, nulla potrà mai accadere ed avremo il rimpianto di non aver fatto, poco o tanto che fosse, ciò che eravamo chiamati a fare. Non abbiamo permesso al Signore che operasse con la potenza della sua grazia, del suo amore, della sua grande misericordia. Non è l’opera che conta presso Dio, ma la risposta che noi diamo. Rispondendo, obbedendo noi siamo sempre nella sua volontà. Quando si è nella volontà di Dio, Lui farà poi ogni altra cosa, perché di una cosa solo Lui si compiace: della nostra umiltà che si fa grande, immediata disponibilità ad accogliere il suo grido di verità, giustizia, amore. Noi non lo sappiamo, ma Lui conosce per quali vie deve portare salvezza in questo mondo, è sempre Lui che benedice, moltiplica, fa crescere, converte, redime, salva. Il frutto dell’opera è Lui che lo produce. Noi gli prestiamo solamente la nostra "voce" le nostre "mani". Dobbiamo capire che ogni nostro dolore, ogni nostra sofferenza, ogni nostro patimento è una porta aperta alla relazione con Dio, perché è lì che Dio viene a cercarci, nei nostri inferi.
Solo seguendo questa via noi realizziamo noi stessi e diventiamo strumenti di misericordia nelle mani di Dio. La vera morte, è la sterilità di chi non sa donare nulla, di chi non sa spendere la propria vita, ma vuole conservarla gelosamente, mentre il dare la vita fino a morire è la via della vita abbondante, per noi e per gli altri. Il cristiano che vuole essere servo del Signore, che dice di amare il Signore, deve semplicemente accogliere questa "morte", accettare questa caduta, abbracciare questo nascondimento. E allora non sarà solo, ma avrà Gesù accanto a sé, sarà preceduto dalla forza dello Spirito, che lo porterà dove egli è, ossia nel grembo di Dio, nella vita eterna che si può vivere già qui su questa terra.
La croce del Cristo non deve scandalizzarci, l’annuncio della sua Passione non deve portare confusione nel nostro cuore, senza Passione non c’è Resurrezione!
Significa in sostanza rivivere fino in fondo l’esperienza dell’Apostolo Pietro che davanti all’annuncio della passione del Cristo, non comprende fino in fondo il mistero della croce e la logica del chicco di grano. Vedendo i suoi miracoli, le folle arrivano a capire che Gesù è un profeta e anche i discepoli comprendono che è il Messia, ma non arrivano a vedere, fino in fondo, il Figlio di Dio che abbraccia la croce. L’incontro con Gesù aveva suscitato in loro speranze e grandi progetti, ma poi sono rimasti improvvisamente inappagati: la croce di Gesù li ha delusi e sconvolti. Avevano fatto i loro progetti e coltivato le loro speranze: desideravano un Messia "liberatore", un Messia diverso. Un Messia, un Salvatore crocifisso era incompatibile con tanti loro progetti; per loro era un non senso, un assurdo.
Di fronte a questa lezione Pietro resta sconcertato, contrariato, smarrito. Manifesta la reazione dell’uomo comune, di ciascuno di noi, e si domanda perché bisogna patire, morire e poi risorgere? Se Gesù ha il potere di risorgere, perché non se ne serve per evitare, per eliminare la sconfitta e la morte, senza doverle vivere personalmente? Perché non puntare subito sulla resurrezione, se questo doveva essere l’esito? Se Dio è amante della vita, come può manifestarsi nella morte di Gesù? Domande importanti che ancora una volta evidenziano il profondo contrasto tra il pensare secondo Dio e il pensare secondo gli uomini. Gesù invita Pietro, ma anche ognuno di noi, a convertirsi al mistero della croce, che è anzitutto mistero di pazienza, di obbedienza e di amore, unico luogo di salvezza. Pietro è ciascuno di noi: proclama la sua fede in Gesù, ma poi vuole che egli si comporti secondo le proprie idee e aspirazioni. La legge della nuova alleanza, è la legge della vita che si realizza attraverso la croce.
Questo richiede una conversione umanamente inaccettabile: la nostra natura rifiuta che la vita passi attraverso la croce e ogni volta che siamo coinvolti in prove dolorose, non riusciamo ad accettarle e ci chiediamo: "Perché Dio mi punisce, che cosa ho fatto"?
"Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" . L’essenza del cristianesimo è andare dietro a Gesù e non seguire i propri desideri personali o le proprie idee. Gesù invita tutti noi, in primo luogo, a rinnegare se stessi, ossia a fare propria la sua via, a rinunciare a quella parte che in ognuno di noi si autodifende e che vuol trovare le ragioni per vivere. Chiama tutti noi a capire che la vita è dono di Dio, a non avere l’angoscia di doverla salvare da soli, ma ad affidarla con speranza alla paternità di Dio che è amore totale.Non bastano le formule per annunciare Cristo, ma occorre lasciarsi afferrare da Lui, fino a capire che rinnegare se stessi è vivere la vita come un dono, è non lasciare che la nostra esistenza sia sotto la paura della morte. Rinnegare se stessi significa mettersi nelle mani di colui che è più forte della morte, è accettare la povertà, i limiti, le fatiche, essere coerenti con la volontà di Dio, essere fedeli al vangelo e ai suoi valori. Rinnegare se stessi vuol dire rinunciare al culto del potere, dell’apparire, dell’avere successo. Rinnegare se stessi è non mettere al centro di tutto se stessi, il proprio io, i propri interessi, è rinunciare a fare scelte in vista del proprio tornaconto, è vigilare, perché l’uomo vecchio che è in noi non riemerga con la sua brama di potere e di avere.
Prendere la croce e morire come un chicco di grano, significa anzitutto scegliere una vita che assomigli a quella di Gesù, prendere la via dell’amore, del servizio, accettare la propria debolezza e la propria impotenza, riconoscere e accettare la povertà che sempre ci accompagna, senza cercare di nasconderla, senza recriminare, senza lamentarci, ma facendola diventare occasione di dialogo con Dio, di abbandono in Lui. Infine prendere la croce significa anche accettare le fatiche della vita, il prezzo da pagare per essere fedeli a Dio, certi che egli non domanda cose sbagliate e soprattutto che non ci abbandona. Essere attaccati alla propria vita terrena, pensare di salvarla vivendo nell’egoismo, è distruggersi, rovinarsi; consegnare la propria vita a Dio, come ha fatto Gesù, significa metterla in buone mani, è raggiungere la meta, è conservarla per una vita definitiva.
Non dobbiamo credere che la nostra esistenza sia totalmente ed esclusivamente "mia", posso volerla stringere, conservare, come se fosse un bene da difendere ad ogni costo, una proprietà che dipende solo da me. Ma se penso e mi comporto così, la vita mi sfugge, come l’acqua che volessi trattenere avidamente tra le mani; non posso dominare né la sorgente della vita, né il suo scorrere, né il suo punto di arrivo. Al contrario, perdere la propria vita significa metterla ogni giorno nelle mani di Dio, affidarsi a Lui, beneficiare dei suoi doni, non dimenticarsi di Lui, quando la vita diventa una salita troppo dura da percorrere. Se non mi aggrappo a questa mia esistenza, se non penso di doverla salvare da solo, se accetto di aprirmi a Dio e al fratello e quindi di morire a ciò che mi ripiega su me stesso, allora esco dal mio egoismo e la mia vita, va verso la risurrezione, che non è il ritorno alla misera vita di questo mondo, ma un’esistenza piena ricreata in Dio. Chi riesce a perdere le molte cose che sembrano indispensabili per la vita di quaggiù, si prepara a ricevere già ora la vita autentica che solo Dio può dare, apre davvero già ora la propria esistenza per la vita eterna, che è fatta di comunione piena con Dio stesso e di relazione totale con gli altri.
Cosa dire ancora?
Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Parole difficili e anche pericolose se capite male, perché può legittimare una visione dolorosa e infelice della vita.
Ma non è così!
Dimentichiamo spesso che il verbo che regge l’intera costruzione di queste parole evangeliche è "produrre": il chicco produce molto frutto. L’accento non è sulla morte, ma sulla vita, non è il morire, ma il molto frutto buono.
Quante volte abbiamo osservato un granello di frumento, un qualsiasi seme, nessun segno di vita, un guscio spento e inerte, che in realtà è un forziere, un piccolo vulcano di vita. Caduto in terra, il seme muore alla sua forma, ma rinasce in forma di pianta; seme e pianta non sono due cose diverse, sono la stessa cosa, ma tutto trasformato in più vita. La gemma si muta in fiore, il fiore in frutto, il frutto in seme. Nel ciclo vitale come in quello spirituale la vita non è tolta ma trasformata, non dunque una perdita ma una dilatazione dell’amore. Dio è entrato nella morte, perché lì sono spesso i suoi figli, nelle tenebre della vita, ma da quella morte è risorto come un germe di vita indistruttibile, una nuova vita che ci ha trascinato fuori, in alto, nel cielo. L’amore di Dio è così: un chicco di grano, che si consuma e fiorisce, una croce, dove già respira la risurrezione. Tuttavia ognuno di noi, resta responsabile delle proprie azioni, dell’accoglienza o del rifiuto della Parola di Dio. Ognuno è responsabile, potremmo dire, della sua salvezza o della sua condanna, ma la libertà, che Dio ci ha donato, ci impone delle responsabilità con cui confrontarci.
Un seme germoglia, diventa fiore, diventa frutto se una buona terra, se un buon concime lo nutrono. Noi possiamo essere buona terra e buon concime, se in mezzo alle persone, portiamo la presenza di Dio, la sua grazia, la sua misericordia. Dobbiamo continuare a credere che ogni uomo ha dentro di sé un seme di grazia e che vale la pena lottare per un mondo migliore. Se il chicco di grano non muore, è come se dei passi si fermassero, ma se invece fosse una partenza per un altro viaggio? Se il chicco di grano non muore, è come un albero che viene abbattuto, ma se invece fosse un seme che germoglia in una terra nuova? Se il chicco di grano non muore, è come una porta che si chiude, ma se invece si trattasse di un squarcio di luce che si apre sulle tenebre della nostra vita? Se il chicco di grano non muore, è come un grande silenzio che irrora la terra, ma se invece ci permettesse di ascoltare il mormorio di un vento leggero che porta con sé l’amore di Dio, la dolce musica di una nuova vita che sta nascendo?
A te che hai letto queste poche righe, l’augurio di una Santa Pasqua e la grazia di riuscire ad aprire le porte del tuo cuore e accogliere la luce dell’Amore di Dio… c’è un nuovo sole che sta sorgendo sul terreno della nostra vita, possa tu vedere l’ora, nella quale, quel seme caduto in terra, farà risuonerà soltanto una parola nel mondo: Amore Misericordioso!
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ultimo aggiornamento
15 marzo, 2018