"... Il carisma dell’Amore Misericordioso
il sogno di una comunità ...!"
ROBERTO LANZA
Vivete figli miei sempre uniti come una forte pigna, sempre uniti per santificarvi, per dare gloria al Signore ed esercitare il bene verso le anime che trattano con voi" (El Pan 21)
S
appiamo benissimo che la "vocazione" all’Amore Misericordioso è comunitaria: si realizza con il sostegno della comunità. La chiamata all’Amore Misericordioso è allo stesso tempo personale e comunitaria, e lo è nella fraternità, nella missione, nella spiritualità. Madre Speranza di Gesù non è mai stata un operatore solitario, ha voluto la condivisione e ha promosso la collaborazione e la corresponsabilità. Ella ha curato molto il rapporto personale, ma come vera formatrice ha anche creato un ambiente ricco di rapporti e di proposte comunitarie, creatrice di uno stile e di una pedagogia di vita, comunicatrice di un progetto da vivere insieme, animatrice di una comunità con una chiara identità e con punti di riferimento stabiliti.
L’aspetto comunitario ed il carattere di famiglia è perciò uno dei tratti più fortemente caratterizzanti dell’identità all’Amore Misericordioso. Con spirito di fede, questi "chiamati", vivono lo spirito di famiglia nella comunità e contribuiscono, giorno per giorno, alla costruzione della comunione. Convinti che la missione è affidata alla comunità, tutti si impegnano a operare con i "confratelli" secondo una visione d’insieme e un progetto condiviso. Vivere l’Amore Misericordioso significa maturare il senso del "lavorare insieme" secondo la diversità dei compiti e dei ruoli, significa far crescere la responsabilità di contribuire a mantenere l’unità dello spirito e stimolare il dialogo e la collaborazione fraterna per un reciproco arricchimento e una maggiore fecondità carismatica. In questo senso la "comunità" diventa un vero e proprio laboratorio di maturazione personale, che si distingue per il clima di famiglia e la condivisione fraterna, la convergenza degli intenti e la corresponsabilità nella realizzazione degli ideali carismatici.
L’essere una "unica famiglia" quindi è, per le due Congregazioni, un elemento costitutivo, tanto che troviamo scritto nelle rispettive Costituzioni: "Queste due Congregazioni sono una stessa cosa, con lo stesso Titolare, l’esercizio della carità senza limiti e tutti sono figli della stessa Madre."1 La stessa Madre Speranza, scrivendo ai suoi figli ed alle sue figlie, comunicava loro: "La cosa più grande che qui su questa terra esiste per questa vostra Madre, è vedere queste due piante come alberi giganteschi, che possano estendersi in tutto il mondo unite, esercitando la carità ed insegnando alle anime, con il buon esempio della modestia, abnegazione e sacrificio, il fine per cui sono state create le nostre due Congregazioni: non è altro che dar gloria al nostro Dio e alla sua Chiesa e fare il bene alle anime."2 Sorelle e fratelli, dunque, con il medesimo spirito, nello stesso carisma, con il compito di annunciare e testimoniare le ricchezze della misericordia del Signore: "Si aiuteranno scambievolmente, si ameranno come veri fratelli, trattandosi sempre con il massimo rispetto, disposti sempre a sacrificarsi gli per gli altri."3
Ma vorrei approfondire questa riflessione in un senso più ampio e domandarmi cosa significa fare davvero comunità oggi? In cosa consiste camminare insieme? Che tipo di risorsa è la "comunità cristiana" in un mondo che "predica" oggi solo individualismo?
Queste domande ci rivelano fin dall’inizio che l’uomo non è mai isolato; la sua esistenza è intrinsecamente orientata verso gli altri, intrecciata con gli altri, in una sorta di comunione. Questo è un aspetto originario: non posso esistere senza relazionarmi con l’altro, rendendo la mia esistenza incomprensibile senza questa connessione. L’altro non esiste solo perché io lo concepisco; di conseguenza, la mia esistenza è inevitabilmente modellata dall’accettazione o dal rifiuto dell’altro. Il compimento della mia esistenza è strettamente legato al riconoscimento reciproco, diventando qualcuno per e con l’altro.
Tuttavia, mi sembra che la risorsa insostituibile e il dono della comunità, sia quella di sollecitare continuamente, come una litania, come un perenne rumore di fondo, la domanda sul senso, ossia sul fine, sul significato ultimo della nostra esistenza. La comunità cristiana è, infatti, uno dei pochi luoghi che ci rimangono in cui non siamo costretti a rifuggire davanti alla nostra stessa impotenza e per questo è il luogo in cui è vietato "appesantire" coloro che mostrano la loro debolezza e i loro limiti. E’ il luogo in cui la vulnerabilità non viene rimossa, ma diventa, al contrario, il motivo necessario per far emergere la verità di noi stessi: perché è quando cadono le maschere, quando siamo "nudi", che si riesce a sentire l’altro come un dono, uno che mi appartiene, prendersi cura dei bisogni, offrire un’amicizia, capacità di vedere il positivo nell’altro, fare spazio all’altro per ritrovare insieme la bellezza della forza reciproca nella quale ci aiutiamo. Sono ancora le Costituzioni ad illuminarci riportando queste magistrali parole: "All’interno delle nostre comunità viviamo le relazioni fraterne riconoscendo il valore di ogni persona […] la comunità è il luogo dove ogni sorella deve sentirsi aiutata a superare i propri limiti e le proprie debolezze."4
Così, una "comunità" diventa un cantiere di santità, una santità intrinseca alla Chiesa che si percepisce più che si vede, una costruzione incessante. È il costante sforzo di instaurare la comunione con gli altri, mantenendo il ponte del dialogo sempre aperto. L’impegno costante è quello di accogliere gli altri nella comunione, rispondendo alla richiesta di «elemosina» della comunione che Cristo ci fa, un invito che non possiamo rifiutare. Per noi cristiani, incontrare qualcuno va oltre l’incrocio casuale per strada; per costruire una relazione duratura, un semplice saluto o una conversazione superficiale non sono sufficienti. Incontrare significa dare spazio all’altro nella propria vita, accoglierlo dentro di noi, creare un legame solido e decidere di camminare insieme, senza ridurlo a un semplice "gregario."
I fratelli che ho accanto non li ho scelti, ed è fondamentale la riscoperta del vero valore e significato dell’altro; il fratello e la relazione con lui sono innanzitutto un dono di Dio, dono del quale il Signore ci chiederà conto: "dov’è Abele, tuo fratello?", ognuno è "custode" del fratello. Ecco perché ciò di cui parliamo è essenziale all’essere comunità cristiana, ecco perché tutti siamo chiamati a realizzare l’unità voluta da Cristo, in quanto se noi non realizziamo questa unità noi non siamo di Cristo. Una comunità cristiana è così o non è una comunità cristiana. Tutti i cristiani sono chiamati, ognuno con la propria parte, in forza di questa vita che circola nel corpo mistico di Cristo, ad unirsi gli uni agli altri in Cristo Signore per essere una cosa sola.
Come possiamo serbare rancori, creare divisioni, giudicarci a vicenda? Siamo fratelli in Cristo, l’amore costa, ma ci guarisce!
L’amore vicendevole chiede stima, rispetto e armonia, riconoscimento di ogni legittima diversità e porta frutto quando c’è lo sforzo di imparare l’uno dall’altro. È comune notare difetti ed errori negli altri, pensando che noi stessi non commettiamo mai sbagli. Se le nostre offese, non riconosciute, provocano reazioni e errori da parte degli altri, tendiamo a attribuire la colpa a loro senza mai riconoscere le nostre responsabilità. Anche il libro del Qoèlet sembra essere su questa linea: "Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno un miglior compenso nella fatica. Guai, invece, a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. Inoltre, se due dormono insieme, si possono riscaldare; ma uno solo come fa a riscaldarsi? Se uno aggredisce, in due gli possono resistere e una corda a tre cappi non si rompe tanto presto."5 Vivere insieme condividendo la stessa vocazione, la stessa missione riprende in maniera determinante gli insegnamenti evangelici della comunione:
"amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda."6
Che cos’è il pane consacrato? Corpo di Cristo. E che cosa diventano coloro che si comunicano? Corpo di Cristo.
Così si esprime il documento "Ripartire da Cristo" al capitolo 29: "Spiritualità della comunione significa capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come "uno che mi appartiene". Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzi tutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio; è saper fare spazio al fratello portando insieme gli uni i pesi degli altri. Senza questo cammino spirituale, a poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione."
Fratello e sorella che avete letto queste righe, permettimi di dirvi, in questo momento, quale sia il mio sogno?
Sogno una comunità formata da fratelli e sorelle, ma il cui termine "fratello" o "sorella" non venga appiccicato addosso dall’abitudine, ma conquistato, sudato da tutti, giorno per giorno con il rispetto… sogno una comunità in cui venga riconosciuto il primato della persona, una comunità costruita in rapporto alle persone…sogno una comunità in cui manchino i privilegiati; semmai i tutelati siano i piccoli, i deboli, gli ultimi, una comunità nella quale domini la "mentalità della catena", per la quale la forza stessa della catena nel suo insieme viene data dall’anello più debole…
…sogno una comunità in cui non ci sia tempo da perdere per i pettegolezzi, i sospetti, le maldicenze, le chiacchiere: dove non c’è tempo da perdere, ma dove "tutto sia fatto per amore"…sogno una comunità in cui venga scoraggiato bruscamente ogni tentativo, di parlare male di una persona assente…sogno una comunità in cui tutti si trovino "al sicuro"… sogno una comunità in cui ciascuno abbia il coraggio di esprimere liberamente il proprio pensiero…sogno una comunità in cui ogni membro venga considerato da tutti gli altri un fratello o una sorella di cui ci si può fidare… sogno una comunità nella quale tutti si lascino mettere in discussione e il linguaggio sia schietto, trasparente, sincero, vero…
…sogno una comunità dove l’amore "tutto crede, tutto spera, tutto sopporta" …sogno una comunità in cui tutti quelli che si chiamano "maestri" vengano condannati a vivere le parole e tutti quelli che si atteggiano a "giudici" vengano condannati a sentirsi estranei…sogno una comunità in cui l’unico sospetto valido sia la paura che qualche fratello o sorella non ricevano la quota d’amore che spetta loro…sogno una comunità dove imparare ad amare…
Sogno dieci, cento, mille comunità che dimostrino che… ho sognato la realtà… che ho sognato l’Amore Misericordioso!
E così sia!
1 Cost. FAM Parte I, Cap. II, art. 9
2 El pan 20, Circolare 23.6.1957
3 Cost. FAM Parte II, Cap. VI, art. 64
4 Cost. EAM, Parte II, Cap. VI, art. 64
5 4, 9-12
6 Rm.12,10
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ultimo aggiornamento
17 febbraio, 2024