STUDI
 
P. Gabriele Rossi fam

 

La missione sacerdotale della Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso

 

 
Crocifisso

Verso il 50° di fondazione
dei “Figli dell’Amore Misericordioso”
Roma 1951 - Collevalenza 2001

 

 

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50° di fondazione
della Congregazione
dei FIGLI dell’AMORE MISERICORDIOSO

A questo importante evento, con gioia e riconoscenza al Signore e alla Madre Speranza, per essere stata un docile strumento nelle Sue mani, dedichiamo il calendario dell’anno 2001.

ALCUNE NOTE STORICHE
Fin dal dicembre del 1927, Madre Speranza si sentì chiamata da Dio ad offrirsi vittima all’Amore Misericordioso per la santificazione dei sacerdoti del mondo intero.

Il 15 agosto 1951, nella Cappella della Casa generalizia delle Suore, a Roma, nacque la Congregazione dei Figli dell’A.M., con la missione di annunciare l’A.M. e di aiutare e sostenere i sacerdoti del clero secolare, fomentando l’unione con questi.

  • Per i sacerdoti volle che tutte le Case della Congregazione fossero la loro casa, dove ognuno potesse recarsi a pieno diritto come a casa sua, senza pagare il pranzo o la permanenza.
  • Per i sacerdoti vincolò la missione dei Figli dell’A.M. che potranno dedicarsi a qualunque attività e a qualunque servizio apostolico sempre “uniti” ai sacerdoti.
  • Per i sacerdoti del clero secolare propose una forma nuova di appartenenza alla Congregazione dei Figli dell’A.M. che, pur lasciandoli a totale servizio delle proprie diocesi, li considera, a pieno diritto, membri della Comunità.

Il 18 agosto 1951, a tre giorni dalla nuova fondazione, Madre Speranza si trasferì a Collevalenza, piccolo paese dell’Umbria, per aprire una Comunità di Ancelle e la prima Comunità dei Figli dell’A.M..
Diede così inizio ad una nuova ed originale forma di vita religiosa che è la Famiglia Religiosa dell’Amore Misericordioso: Fratelli e Sorelle, figli della stessa madre, con lo stesso spirito, lo stesso carisma ed il compito di testimoniare ed annunciare al mondo l’A.M. e di aiutarsi mutuamente nella reciproca santificazione.

La Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso ha ricevuto il riconoscimento ufficiale della Chiesa con l’approvazione diocesana il 19 luglio 1968 e con la approvazione Pontificia il 18 agosto 1982.

La Redazione

 

 

Capitolo I

IL FINE PRIMARIO DELLA CONGREGAZIONE DEI FIGLI DELL’AMORE MISERICORDIOSO

  1. Il fine primario dei Religiosi FAM è l’unione con il Clero Diocesano, per aiutarlo fraternamente e per fomentarne l’unità interna e la santità.

1a. Premessa
In riferimento alla missione particolare che ogni Istituto Religioso svolge a beneficio di tutta la Chiesa, Giovanni Paolo II dichiara: “E’ difficile descrivere, anzi persino elencare, in quanti modi diversi le persone consacrate realizzino mediante l’apostolato il loro amore verso la Chiesa. Esso è sempre nato da quel dono particolare dei fondatori, che – ricevuto da Dio e approvato dalla Chiesa – è divenuto un carisma per l’intera comunità. Quel dono corrisponde alle diverse necessità della Chiesa e del mondo nei singoli momenti della storia, e a sua volta si prolunga e si consolida nella vita delle comunità religiose come uno degli elementi duraturi della vita e dell’apostolato della Chiesa”(1).
Si può dire allora che se un Fondatore religioso intraprende un’attività apostolica, ciò avviene sempre dietro un’esplicita mozione dello Spirito Santo che lo spinge e lo abilita a quel determinato servizio, in risposta a precise necessità ecclesiali. E una volta che l’Autorità Ecclesiastica ne sancisce il riconoscimento, per l’Istituto in questione deriva il dovere di una fedeltà dinamica alla missione, cioè di un’adesione stabile ai progetti e agli intendimenti del proprio Fondatore, vagliati alla luce dei mutevoli segni dei tempi(2).

1b. Unione con il Clero Diocesano
Il fine primario dell’Istituto Religioso dei FAM è delineato dalla Madre Speranza sia per mezzo delle norme da lei redatte, sia tramite il suo stesso operato: “I Figli dell’Amore Misericordioso devono essere persuasi che tra le opere di carità da realizzare a beneficio dell’ umanità, la principale per loro è l’unione con il Clero diocesano; e uniti ad essi come fratelli, eserciteranno con entusiasmo e solo per amore al Signore tutte le altre opere”(3).
Per la Congregazione quindi, al di là e al di sopra di qualsiasi altro possibile impegno, il Presbiterio Diocesano rimane in ogni caso l’ambito privilegiato entro il quale operare: “La Madre ci precisa anzitutto che il fine della Congregazione è l’unione dei Religiosi (s’intende: i Religiosi della Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso) con il Clero secolare, per poter meglio lavorare nell’esercizio della carità per il bene delle anime. Da ciò si deduce facilmente... che la carità – e qualsiasi forma di carità – non solo non è esclusa, ma è nell’ ambito del fine stesso della Congregazione”(4).
La Fondatrice infatti assegna all’Istituto anche un fine complementare che, per la sua particolare natura, è valido nella Chiesa non solo per i vari fenomeni associativi, ma anche per ogni singolo battezzato: quello cioè della carità, intesa come solidarietà fattiva verso tutti coloro i quali, in un modo o nell’altro, possono aver bisogno di aiuto (cf Mt 25,31-46; Lc 10,25-37; Gc 2,14-26)(5).

1c. Unione nelle necessità materiali e nelle esigenze spirituali
Volendo precisare meglio le coordinate di questa prossimità al Clero, bisogna dire che essa si estende, in primo luogo, sul versante delle necessità materiali: “Il fine principale di questa Congregazione è l’unione del Clero diocesano con i Religiosi, i quali devono porre tutto l’impegno e la cura nell’unirsi ai Sacerdoti, essendo per loro veri fratelli, aiutandoli in tutto, più con i fatti che con le parole”(6). Il valore di quest’ultima espressione – “più con i fatti che con le parole” – emergerà meglio esaminando le varie modalità operative con le quali questo fine viene perseguito: il Sacerdote diviene oggetto di interesse soprattutto quando si accrescono per lui problemi molto concreti, quali la solitudine, la stanchezza fisica e psichica, la malattia, l’anzianità, ecc...
Ma oltre a tutto ciò, l’Istituto si sente fortemente coinvolto anche nell’incrementare la vitalità spirituale del Presbiterio Diocesano e la sua unità interna. E’ in questo senso che va interpretata l’espressione delle Costituzioni originarie: “La Congregazione si propone un doppio fine; generale: la santificazione dei suoi membri; speciale: l’unione del Clero diocesano e la carità senza altri limiti che l’impossibilità morale, sotto l’obbedienza dell’Autorità Ecclesiastica”(7). La dicitura “unione del Clero diocesano” va intesa proprio come unità interna del Presbiterio, unità tra Sacerdote e Sacerdote, unità tra Sacerdoti e Pastore. La Congregazione, proponendosi un simile obiettivo, offre alla Chiesa intera uno dei servizi più preziosi in assoluto. Infatti: “In questa unità che Gesù ha chiesto al Padre per i suoi (cf Gv 17), è promossa la pienezza della santità sacerdotale, che ci rende capaci di annunciare e di comunicare a tutti la sollecitudine misericordiosa del Buon Pastore per il suo gregge”(8).
Occorre osservare a questo proposito che i Chierici incardinati in Diocesi già posseggono una loro tipica identità, ampiamente definita negli elementi dottrinali, spirituali ed apostolici ad opera del Magistero: non v’è bisogno quindi di mutuare nulla da altri, tantomeno da un Istituto Religioso. Proprio per questo motivo i Religiosi FAM, al fine di fomentare la santità del Clero, fanno leva – come meglio si vedrà più avanti – su istanze dottrinali già profondamente radicate nel patrimonio spirituale diocesano, quali ad esempio: la speciale chiamata dei Presbiteri alla santità; la fraternità sacerdotale; l’unione tra i due Cleri nella comunione filiale e gerarchica con il Vescovo locale; la pratica istituzionalizzata dei consigli evangelici; e la consuetudine della vita comune. E’ appunto ciò che i documenti ufficiali ripropongono costantemente al Clero.

1d. Legittimazione della missione
Questo programma apostolico è strenuamente difeso dalla Fondatrice, tanto nella sua specificità, quanto nella sua origine ispirata. Ella è cosciente della scarsa integrazione che talvolta esiste tra i due Cleri, come pure conosce – per la sua ricca esperienza umana e spirituale – la condizione di vita di tanti Sacerdoti. Per questo scorge nel suo Istituto un provvidenziale strumento, rispondente ad una urgente necessità.
E’ eloquente al riguardo la seguente testimonianza: “Siamo sul finire del mese di novembre 1954. Il 4 ottobre dello stesso anno si è aperta a Fermo la seconda Casa della Congregazione FAM, perché proprio in quella Archidiocesi si avrà la prima esperienza del Clero secolare in vita di comunità con voti, secondo il progetto affidato dal Buon Gesù alla Madre. La Madre Fondatrice, presente a Fermo sia per ristrutturare il Collegio Artigianelli sia per preparare questi “inizi”, si ammala gravemente al punto di credere che per Lei è giunta l’ora della morte. Ci convoca attorno al suo letto e ci dice cose che si sono incise profondamente nel mio animo. Sono presenti i due Sacerdoti che dovranno per primi emettere i Ss. Voti nelle mani dell’Arcivescovo Perini, il giorno dell’Immacolata. Essi sono di intesa con la Madre di andare a Loreto per un corso di Esercizi Spirituali in preparazione a questo evento. La Madre li esorta a preparasi bene presso quella Santa Casa “dove il Verbo di Dio si fece carne”. E poi prosegue: “Figliuoli, dovevo dirvi una cosa molto importante. Secondo Nostro Signore non serviva una Congregazione di più: ce ne sono già tante (e ne fa una enumerazione per le varie necessità della Chiesa). Ne mancava una ‘per il suo amato Clero’. Ricordate, presto verranno giorni che il Clero secolare – solo com’è – non potrà più vivere. Tutti si uniscono: i comunisti, i socialisti... Solo il Clero secolare e i Religiosi sono così divisi! E il Signore ha fatto sorgere questa Famiglia religiosa perché il Sacerdote secolare vi trovi la propria Famiglia”. Ci fu una pausa carica di silenzio e poi con voce forte riprese: «E Dio la disfaccia sul nascere se non dovesse servire per questo!»”(9).
Simili accorati accenti riemergono parimenti in altri testi della Madre Speranza: “Il Clero secolare ben poco ha potuto contare fin qui sull’aiuto dei Religiosi in genere; per questo il buon Gesù ha disposto che sorgesse questa nuova Congregazione proprio in aiuto al Clero...”(10). “Le altre Congregazioni poco si preoccupano della situazione del Clero secolare e raramente si prestano ad essere loro di aiuto, se non peggio...”(11). “Il Buon Gesù penserà a far giustizia di tutti quei figli e figlie i quali, senza amore e senza rispetto per queste sue amate Costituzioni, tralasciano di compiere ciò che esse ordinano, o ardiscono cambiare o ritoccare qualcosa di ciò che costituisce lo spirito e il fine di queste Sante Costituzioni”(12).
Ciò che va ancora sottolineato – ai fini di questa analisi – sono i concetti ricorrenti di unione tra i due Cleri; e di Congregazione intesa come famiglia per i Sacerdoti diocesani.

1e. Rapporto tra fine primario e spiritualità dell’Istituto
L’esperienza mistica della Madre Speranza e i suoi scritti sono fortemente caratterizzati dalla spiritualità dell’amore misericordioso del Signore, fondata sull’insegnamento tanto antico e sempre nuovo della Scrittura, secondo cui Dio non si rallegra per la morte del peccatore, bensì per la sua conversione (cf Ez 18,23), fino al punto di mandare il proprio Figlio Unigenito nel mondo, non per operare un giudizio di condanna (cf Gv 4,16-17), ma per cercare e salvare ciò che era perduto (cf Lc 19,10). Le due Congregazioni dei Figli e delle Ancelle dell’Amore Misericordioso assumono questa medesima prospettiva teologica e – sulla base di precise rivelazioni private concesse alla Fondatrice – la considerano come un patrimonio proprio e come uno specifico impegno di evangelizzazione nella Chiesa(13).
E’ lecito dunque domandarsi quale rapporto esista tra questa spiritualità e la missione a favore del Clero. Le Costituzioni rinnovate ce ne offrono una spiegazione: “Consapevoli che Cristo è il Sommo Sacerdote misericordioso perché ha offerto se stesso a Dio per noi (cf Eb 9,14) condividendo le nostre infermità (cf Eb 4,15), noi FAM vediamo nei sacerdoti i primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini”(14).
Questa prospettiva “sacerdotale” della Lettera agli Ebrei viene inglobata in quella più propriamente “ministeriale” dell’Enciclica Dives in Misericordia, secondo la quale l’opera umanitaria ed evangelizzatrice della Chiesa non è completa se non quando manifesta all’uomo di ogni tempo la logica superiore della misericordia, intesa come dono da accogliere dall’alto e da immettere poi nei multiformi rapporti sociali, per far sì che la ricerca della giustizia non si tramuti mai in vendetta, ma venga sempre contemperata dalla forza più profonda dell’amore che perdona(15). E in quest’opera il Sacerdote ha un ruolo insostituibile perché, attraverso il suo ministero, egli è in grado di professare e proclamare l’amore misericordioso quale “attributo più stupendo del Creatore e del Redentore” e di accostare gli uomini con i sacramenti alle “fonti della misericordia del Salvatore, di cui la Chiesa è depositaria e dispensatrice”(16).
Si deve quindi riconoscere che quella dell’amore misericordioso del Signore è una spiritualità particolarmente adatta ai Sacerdoti, perché ne esalta – e quindi ne rafforza – il ruolo paterno e pastorale in seno al Popolo di Dio (cf Lc 15; Gv 10,1-18).

1f. Modalità operative
Volendo esprimere con formula sintetica quanto detto fin qui, si può affermare che il fine primario dei Religiosi FAM è l’unione con il Clero Diocesano, per aiutarlo fraternamente nelle sue concrete necessità e per fomentarne l’unità interna e la santità. Viene così definito il campo d’azione (il Presbiterio) e le due dimensioni fondamentali d’intervento (aiuto fraterno e santificazione). Resta ora da vedere con quali modalità tutto ciò deve essere perseguito.

 

  1. La missione si attua aprendo le Case dell’Istituto all’accoglienza dei Sacerdoti, per brevi periodi di recupero, o per permanenze stabili.

2a. Premessa
E’ il Vangelo stesso a porre in evidenza la necessità, per tutti coloro che sono immessi nel vortice dell’attività pastorale, di trovare periodicamente spazi di sollievo, per recuperare serenità interiore e vigore fisico. Anche il Concilio ha presente questo problema e offre utili suggerimenti: “E’ bene che i presbiteri si riuniscano volentieri per trascorrere assieme in allegria qualche momento di distensione e di riposo, ricordando le parole con cui il Signore stesso invitava gli apostoli stremati dalla fatica: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco” (Mc 6,31)”(17). Ma la difficoltà talvolta consiste proprio nel riuscire a trovare il tempo disponibile e il luogo adatto per usufruire di queste pause rigeneratrici, le quali potranno essere più o meno prolungate a seconda delle necessità.

2b. Ospitalità fraterna
I Religiosi FAM sono chiamati ad offrire tutta la propria disponibilità affinché il Sacerdote che è in cerca di tranquillità possa trovare un ambiente confacente e un’accoglienza adeguata, riscoprendo così il calore di una vera amicizia fraterna: “Con il beneplacito dei rispettivi Vescovi, i Sacerdoti del Clero Diocesano potranno stare in qualsiasi Casa della Congregazione, tutti quelli che desiderino trascorrere un periodo più o meno lungo tra i Figli dell’Amore Misericordioso, o per rimettersi, o per riposare e ritemprare lo spirito nella pace della Casa religiosa”(18). “L’unione con il Clero si attuerà aprendo le porte delle Case religiose a tutto il Clero secolare, di qualsiasi Diocesi, di qualsiasi età, in qualunque situazione si trovi (bisognoso per lo spirito o per il corpo), intendendo fare con ciò non un atto di carità ma di fraternità. I Sacerdoti potranno rimanere nella Casa sia temporaneamente che permanentemente, sempre però con il permesso del Vescovo della propria Diocesi”(19).
In questo senso, le Case della Congregazione sono tutte Case del Clero, o in senso lato o in senso stretto. Naturalmente i risvolti economici mutano a seconda del tipo di permanenza che vi si instaura: ma di questo si dirà più avanti.

2c. Per un recupero psico-fisico e spirituale
Questa ospitalità fraterna mira ad offrire al Sacerdote un ristoro integrale: “I Religiosi facciano in modo che i Sacerdoti del Clero Diocesano si trovino nella Casa religiosa come in casa propria, senza considerare di che Diocesi sono, né da dove vengono, procurando che non manchi loro il necessario né moralmente né materialmente, e mai a titolo di carità ma di dovere e di amicizia fraterna, avendo per i più bisognosi un cuore di madre. Si sforzino di servir loro di stimolo per avanzare nella perfezione, essendo luce per essi, cosicché anche essi si sforzino perché il loro lavoro sia vivificato dallo spirito interiore dell’orazione, poiché è nell’orazione che apprenderanno la scienza di vivere uniti al nostro Dio, a rinunciare a se stessi e ai propri intenti per unirsi a quelli del nostro Dio, ed è lì che apprenderanno il metodo di santificarsi e santificare tutte le azioni; in tal modo potranno facilmente rinunciare a tutti i propri desideri e voleri per entrare negli affetti e nei voleri del Buon Gesù, conseguendo così che tutte le proprie azioni siano ciò che il Buon Gesù chiede loro, e cioè un’orazione, un’elevazione del proprio spirito a lui”(20). “La vita comunitaria, nelle nostre case, dovrà rifulgere in tutta la sua ricchezza, perché i sacerdoti diocesani si innamorino di essa e ne comprendano la fondamentale importanza”(21).
La permanenza pertanto – oltre a favorire la distensione mentale e corporale – deve anche ridestare nel Sacerdote il gusto della preghiera, l’anelito alla perfezione e un rinnovato apprezzamento per la vita fraterna condotta in comunità. Tutto ciò costituisce per i Religiosi FAM un’alta responsabilità e impone loro una ricerca sincera di esemplarità sia personale che collettiva. Solo a queste precise condizioni i Sacerdoti si sentiranno attratti a frequentare le Case dei FAM e potranno ottenerne un vero giovamento.

 

  1. La missione si attua prendendosi cura della vita spirituale dei Sacerdoti tramite l’animazione fraterna di raduni, ritiri e corsi di esercizi.

3a. Premessa
In relazione alla necessità che ogni Sacerdote ha di curare la propria vitalità interiore ai fini di una maggiore fecondità apostolica, il Concilio afferma: “Per poter alimentare in ogni circostanza della propria vita l’unione con Cristo, i presbiteri, oltre all’esercizio consapevole del ministero, dispongono dei mezzi sia comuni che specifici, sia tradizionali che nuovi, che lo Spirito Santo non ha mai cessato di suscitare in mezzo al Popolo di Dio e la Chiesa raccomanda – anzi talvolta prescrive addirittura – per la santificazione dei suoi membri”(22).
E i mezzi sono i seguenti: adempimento fedele del proprio ministero; assiduo riferimento alla sacra Scrittura e ai sacramenti; recita fedele della liturgia delle ore; sufficiente orazione mentale; partecipazione assidua agli incontri spirituali riservati al Clero; filiale devozione alla Beata Vergine Maria...(23). A questo proposito, un’importanza del tutto particolare va certamente riconosciuta ai ritiri mensili e agli esercizi annuali, perché in queste occasioni i Sacerdoti accolgono una predicazione adatta alla loro condizione, hanno la possibilità di accedere più comodamente alla confessione e alla direzione di coscienza, e hanno modo di recuperare in un clima di fraternità le motivazioni più profonde del loro operare.

3b. Direzione spirituale, ritiri mensili ed esercizi annuali
I Religiosi FAM, essendo mandati a lavorare per l’unità interna del Presbiterio e la sua santificazione, sono tenuti a valorizzare al massimo tutti questi momenti di verifica e di rilancio spirituale: “(I Religiosi FAM) seguiranno i passi (dei Sacerdoti Diocesani) in quanto sarà possibile, consigliandoli e dirigendoli, e procurando infine che facciano il proprio ritiro mensile e tutti gli anni gli esercizi spirituali”(24).
Si deve osservare come in questi casi la Congregazione deve agire con grande discrezione e nel pieno accordo con le Diocesi interessate, offrendo la propria disponibilità per l’accoglienza fraterna in Casa. Ma oltre a ciò, la Congregazione deve anche qualificarsi per saper rendere al Clero un servizio di predicazione e di direzione spirituale, in modo che l’opera di animazione del Presbiterio possa essere veramente completa. Il contatto quotidiano con tanti Sacerdoti, l’adeguata preparazione spirituale e culturale e l’assistenza della grazia possono consentire ai FAM di svolgere al meglio anche questo delicato lavoro apostolico.

 

  1. La missione si attua praticando uno stile di gratuità tanto per i ritiri mensili e gli esercizi annuali, quanto per le permanenze non stabili nella Casa Religiosa.

4a. Premessa
Se esiste una categoria di persone che dovrebbe essere profondamente convinta del primato della carità sulla giustizia e del dono sul calcolo, è proprio quella dei sacri ministri, perché ad essi è rivolto il monito del vangelo: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”(25). Ma questa convinzione può anche vacillare, fino a sfaldarsi del tutto, se non si è simultaneamente e costantemente promotori e destinatari di azioni ispirate alla logica della vera amicizia: se questo mutuo scambio non si realizza, nell’animo del Sacerdote può ingenerarsi un senso di aridità e di rassegnata insoddisfazione.

4b. Gratuità economica
Si è detto dell’accoglienza da offrire al Clero in varie circostanze; resta da precisare con quali condizioni ciò deve compiersi. Il Direttorio della Congregazione recita: “Il servizio di fraterna ospitalità ai sacerdoti diocesani nelle nostre case sarà fatto all’insegna della gratuità, affinché essi si sentano nella casa religiosa come in casa propria, “mai a titolo di carità, ma di dovere e di amicizia fraterna”. Tale gratuità è obbligatoria in caso di esercizi spirituali, ritiri mensili e per i sacerdoti di passaggio”(26).
Vista la particolarità dell’argomento, la Fondatrice non si è limitata semplicemente a presentare queste prescrizioni nei Codici normativi dell’Istituto, ma si è anche preoccupata di offrire utili precisazioni – tanto a voce che per iscritto – affinché queste disposizioni non venissero eluse in alcun modo: “Con il dovuto permesso dell’Ordinario del luogo, i Religiosi (e tra questi si comprendono sempre i Sacerdoti con Voti del Clero diocesano che fanno vita di comunità) procurino che i Sacerdoti del Clero diocesano, uniti ai Sacerdoti della Congregazione, possano fare tutti i mesi un giorno di ritiro e una volta l’anno gli esercizi spirituali, senza che i Sacerdoti della Congregazione possano percepire alcun compenso per la permanenza nella Casa religiosa. E neppure potranno accettare offerte di Messe per questo scopo, poiché sarebbe lo stesso che ricevere denaro. Se qualcuno poi esprime il desiderio di applicare qualche Messa in favore della Casa religiosa, può farlo applicandola lui stesso in suffragio delle anime dei Sacerdoti e dei Religiosi del mondo intero che si trovassero in Purgatorio, evitando così che i FAM compiano verso i propri fratelli qualunque cosa, anche minima, per interesse materiale”(27).
Anche nelle riunioni settimanali della Comunità di Collevalenza – presiedute nei primi tempi dalla stessa Fondatrice – questi problemi venivano discussi e chiariti: “La Madre, in prossimità dell’apertura della Casa di Perugia – prima Casa che servirà esclusivamente per il Clero –, detta alcune norme che vogliono essere l’autentica interpretazione del Libro delle Usanze e delle Costituzioni e che dovranno servire anche per tutte le Case che si apriranno in seguito. Norma generale, precisa ed inequivocabile sia questa: mai si chieda alcun compenso in denaro o applicazione di Ss. Messe... Alla richiesta dei Sacerdoti: “Quanto debbo per il pranzo o per la permanenza?”, mai si potrà rispondere: “Quel che vuole”. Si dovrà invece far loro capire che la Casa religiosa è la loro Casa, e quel che noi facciamo lo facciamo per dovere, e quindi non possiamo accettare alcun compenso. (E neppure per i ritiri spirituali e gli esercizi si possono accettare offerte o applicazioni di Messe). Se i Sacerdoti dopo che sono partiti dalla Casa religiosa volessero inviare un’offerta, la si accetterà come un dono”(28).

4c. Obiezioni e fede nella Provvidenza
Il discorso è talmente chiaro che non si può fare a meno – come molti hanno già fatto – di domandarsi se sia possibile in tal modo “far quadrare i conti”: “Terminata la lettura (del 2º capitolo del Libro delle Usanze), qualcuno – riferendosi al concetto che le Case religiose sono sempre aperte al Clero senza che si abbia a ricevere alcun compenso – affaccia appena la domanda: “Facendo così sarà possibile andare avanti?”. La Madre risponde in maniera molto categorica: “Qualora sorgesse tale preoccupazione, sarebbe quello il momento in cui manca la fede nel Signore e di conseguenza anche l’aiuto del Signore”... La riunione si chiude con una viva raccomandazione della Madre intorno alla fede nella Provvidenza”(29).
Acquista qui tutto il suo valore anche un altro severo monito che la Fondatrice rivolge ai suoi Religiosi, trattando delle medesime tematiche: “Stiano molto attenti i religiosi di questa Congregazione perché mai entri in essa l’amore per l’interesse materiale, né l’egoismo del benessere delle case religiose”(30). La missione ecclesiale di ogni Istituto, infatti, va perseguita con tutte le risorse spirituali, intellettuali e materiali di cui si dispone; ed esige – tra le altre cose – una testimonianza di povertà non solo a livello individuale, ma anche collettivo.

4d. Case del Clero di proprietà delle Diocesi
Osservazioni specifiche vanno riservate per quelle Case del Clero che, pur non essendo di proprietà della Congregazione, vengono tuttavia gestite dai Religiosi FAM. Il Direttorio dichiara: “E’ preferibile che le case del clero siano di proprietà della Congregazione, per potervi realizzare un’accoglienza conforme allo spirito e alla regola dei Figli dell’Amore Misericordioso. Trovandoci nella possibilità di compierlo, non respingeremo anche l’offerta di case del clero di proprietà delle Diocesi, riservandoci però il diritto di organizzarle secondo lo spirito della Congregazione”(31). Il problema esiste. In questi casi infatti la libertà d’azione non sempre è piena e l’attrito con altre esigenze e mentalità può farsi sentire. La Congregazione però è chiamata ugualmente – secondo le formule amministrative più adatte – a coniugare insieme le esigenze dell’equità con quelle della fraternità.
La presenza dei Religiosi FAM in queste Case non è dovuta al fatto che le Diocesi non sarebbero in grado di gestirle autonomamente, bensì è determinata: da una parte, dal desiderio di attuare in maniera concreta il valore della fraternità sacerdotale in tutte le sue espressioni; e dall’altra, dalla necessità di affiancare e sostenere la preziosa opera delle Consorelle – le Ancelle dell’Amore Misericordioso –, secondo quanto prescrive la stessa Fondatrice: “Queste due Congregazioni sono una sola cosa, hanno il medesimo Titolare, vivono nell’esercizio della carità senza limiti e sono figli della stessa Madre. Formando una stessa famiglia si aiuteranno mutuamente... e saranno sempre disposti... a lavorare uniti nell’esercizio della carità”(32). Tutto ciò esige che i FAM rivendichino per loro stessi la conduzione di queste Case, nel rispetto della convenzione sottoscritta con il Vescovo Diocesano(33).

4e. Motivazione della gratuità economica
Ci si deve ora interrogare sulle ragioni di questa prassi inusuale. Anche se le Costituzioni originarie la motivano con la povertà della maggior parte del Clero (cf art. 2), l’argomentazione più ricorrente è un’altra: “Il servizio di fraterna ospitalità ai sacerdoti diocesani nelle nostre case sarà fatto all’insegna della gratuità affinché essi si sentano nella casa religiosa come in casa propria, «mai a titolo di carità, ma di dovere e di amicizia fraterna»”(34). “Così i FAM (evitino di compiere) verso i propri fratelli qualunque cosa, anche minima, per interesse materiale”(35); “…perché i FAM sono chiamati non per fare gli albergatori, ma per l’unione con i Sacerdoti del Clero secolare, considerati come altrettanti fratelli”(36).
La gratuità dunque non va considerata come un gesto esibizionista o autolesionista, ma come una scelta di carattere strumentale che è posta al servizio di un valore più grande e prezioso: appunto, quello della comunione fraterna la quale può esprimersi anche attraverso una convivenza o una semplice agape. Così la prassi della Congregazione appare perfettamente motivata, sia per il fatto che il vero disinteresse è un linguaggio compreso sempre da tutti, anche dai Sacerdoti; sia per il fatto che la gratuità è la connotazione tipica dell’amore misericordioso del Signore nei confronti di ogni uomo.

4f. Permanenze stabili
Sono diverse invece le condizioni economiche per quanti chiedono di stabilirsi in una Casa dell’Istituto in forma prolungata o permanente: “I sacerdoti con permanenza stabile nella casa religiosa dovranno collaborare al proprio sostentamento e alle proprie necessità materiali con scrupolosità; e se nulla percepissero dalle proprie Diocesi o dal patrimonio, i Religiosi ricorreranno alle Curie Diocesane a cui appartengono, affinché queste diano un sussidio per il sostentamento dei propri Sacerdoti”(37).
E le ragioni di queste disposizioni sono evidenti: “I Figli dell’Amore Misericordioso dovranno stare molto attenti con quanto è stabilito nel capitolo secondo del Libro delle Usanze, in riferimento ai Sacerdoti che desiderano vivere nella Casa religiosa, affinché la carità non si converta mai in speculazione, né del Clero né delle Curie Diocesane”(38). “I Religiosi non faranno il minimo servizio per interesse materiale. Non potranno quindi percepire alcun compenso. Però – dice la Madre – non dobbiamo alimentare l’egoismo e il disordine... Quando un sacerdote chiede di trasferirsi in forma permanente in una Casa dei FAM, dando poi a parenti o – peggio ancora – ad altri per motivi forse non conformi alla legge del Signore le proprie sostanze o i propri mezzi per vivere, non lo si potrà accettare alle solite condizioni. Ciò servirebbe a sfruttare la Provvidenza e ad incrementare il disordine, l’egoismo o – peggio ancora – il vizio”(39).
Ma tutto ciò non toglie che in casi singoli – anche per le permanenze prolungate – la logica della carità non debba prevalere su quella della stretta giustizia: “Se, fatti tutti gli accertamenti, il sacerdote si trovasse nella impossibilità di essere assistito, la Congregazione lo accolga con cuore di madre; e se una preferenza ci deve essere, sia sempre per questi”(40). Per quanto infatti le Conferenze Episcopali nazionali o le singole Diocesi si vogliano premunire o assicurare a vantaggio del proprio Clero, ci saranno sempre dei casi particolari per risolvere i quali bisognerà fare ricorso alle ragioni del cuore.

 

  1. La missione si attua prendendosi cura dei giovani Sacerdoti.

5a. Premessa
Il Concilio, descrivendo i modi concreti con cui i Sacerdoti sono chiamati a vivere l’intima fraternità che li accomuna, fa riferimento anche al giovane Clero: “Ciascuno dei Presbiteri è dunque legato ai confratelli col vincolo della carità, della preghiera e della incondizionata collaborazione, manifestando così quell’unità con cui Cristo volle che i suoi fossero una cosa sola, affinché il mondo sappia che il Figlio è stato inviato dal Padre (cf Gv 17,23). Per tali motivi, i più anziani devono veramente trattare come fratelli i più giovani, aiutandoli nelle prime attività e responsabilità nel ministero, sforzandosi anche di comprendere la loro mentalità e guardando con simpatia le loro iniziative. I giovani, a loro volta, abbiano rispetto per l’età e l’esperienza degli anziani, sappiano studiare assieme ad essi i problemi riguardanti la cura d’anime e collaborino con loro”(41).
Questi richiami appaiono sempre opportuni: infatti, le differenze di attitudini e di mentalità costituiscono un difficile banco di prova sia per i Sacerdoti giovani che per quelli anziani nella loro perfetta integrazione all’interno dell’unico Presbiterio.

5b. Il giovane Clero
Nell’ambito del programma globale che la Congregazione deve svolgere a beneficio dei Sacerdoti, anche questo particolare aspetto va tenuto presente: “(I Religiosi FAM), uniti al Clero diocesano già con Voti, avranno un vivo interesse a lavorare con il Clero giovane, preparandoli affinché possano meglio svolgere il proprio ministero e possano difendersi dai numerosi pericoli che incontreranno all’uscire dal Seminario”(42).
Forse è questo un settore nel quale la Congregazione dovrà ulteriormente approfondire la propria riflessione e il proprio impegno, per offrire un servizio più significativo in linea con il programma delineato dalle Costituzioni originarie: “(I FAM) si dedicheranno a perfezionare la parte spirituale dei giovani Sacerdoti, considerandoli come altrettanti fratelli, perché – appena usciti dal seminario – si possano dedicare, d’accordo con l’Ordinario del luogo, ad aiutare il Clero nelle proprie Parrocchie. I Religiosi procureranno che questi giovani sacerdoti incontrino un appoggio nella casa religiosa e che con frequenza possano ricorrere ad essa, tanto per confortare lo spirito come per chiedere consiglio. Questo ministero sarà esercitato con grande interesse e carità, al fine di aiutare i giovani sacerdoti ad evitare i pericoli che possono incontrare nelle parrocchie”(43).
In quest’opera formativa i Religiosi FAM devono operare con grande sensibilità umana e soprannaturale, lasciandosi guidare dalla propria spiritualità, in base alla quale occorre rifuggire da ogni forma di severità affrettata ed esagerata, salva restando la fermezza del proposito e la ricerca della virtù: “(I FAM) trattino questi giovani con vero amore fraterno e con molta carità e prudenza, senza dimostrare loro meraviglia, fastidio o timore esagerato quando si vedessero tormentati e deboli davanti a qualche umana miseria; con i caduti, nella loro debolezza, si comportino come Padri affettuosi, senza disanimarli, ma cercando di infondere in loro il coraggio perché possano difendersi più facilmente; procurino di infondere in loro l’amore e la confidenza nell’Amore Misericordioso che tanto ha fatto e fa per l’uomo e per la compassione alle sue miserie”(44).

 

  1. La missione si attua provvedendo all’accoglienza e all’assistenza di Sacerdoti anziani e malati.

6a. Premessa
Circa il problema del Clero anziano e malato il Concilio offre dei brevi richiami. Parlando della fraternità sacerdotale invita i presbiteri ad avere “speciale cura di quanti sono infermi”(45); e prescrivendo la riforma del sistema beneficiale invita a provvedere, tramite speciali fondi e appositi organismi, alle diverse necessità del Clero: “Nelle nazioni in cui la previdenza sociale a favore del Clero non è ancora sufficientemente disposta, le Conferenze Episcopali vi devono provvedere, sempre nel massimo rispetto delle leggi ecclesiastiche e civili... Queste istituzioni devono sufficientemente provvedere, sotto la vigilanza della gerarchia, sia alla conveniente prevenzione e all’assistenza sanitaria, sia al decoroso mantenimento dei presbiteri che patiscono malattia, invalidità o vecchiaia”(46).
Queste problematiche tornano alla ribalta – con toni spesso assai preoccupati – nei vari convegni di Clero, o più semplicemente nei discorsi di ogni giorno: il Sacerdote teme di non riuscire a trovare un luogo adatto per trascorrere con dignità la vecchiaia, o di non essere in grado di provvedere economicamente alle proprie necessità. E ancora più allarmati appaiono talvolta i Vescovi, perché chiamati a far fronte alle richieste dell’intera Diocesi.

6b. Sacerdoti anziani e malati
Anche questo problema dunque interpella direttamente la Congregazione: “I Sacerdoti del Clero diocesano che, per infermità o altra causa, non possono disimpegnare con profitto il proprio ministero, dovranno – con il consenso del proprio Vescovo – essere ricevuti nelle Case della Congregazione. Si accetterà dalle proprie Diocesi un aiuto per il sostentamento di questi Sacerdoti. Questo lavoro sarà fatto sempre in nome della carità fraterna”(47).
Questo dovere impone all’Istituto il gravoso onere di possedere strutture sufficienti e adeguate per l’accoglienza e l’assistenza; vi dovranno poi essere anche delle Case particolarmente attrezzate per i casi più gravi di Sacerdoti inabili. Ma è anche l’aspetto umano che va curato in queste situazioni, perché i pericoli tipici dell’età avanzata – quali l’isolamento, il deprezzamento e l’inattività – non gravino troppo duramente sui Sacerdoti accolti in comunità: “Le case del clero dei FAM devono offrire un clima di famiglia per tutti, in modo particolare per i sacerdoti giovani e per i sacerdoti anziani ed ammalati, che saranno coinvolti attivamente nella vita di comunità per quanto è possibile”(48).
Indubbiamente il problema del Clero anziano e malato è complesso e le soluzioni possono essere assai diversificate. Già gli Istituti Religiosi, soprattutto femminili, stanno offrendo il loro prezioso apporto; altre volte le Diocesi riescono a trovare soluzioni in proprio. In ogni caso, si tratta di un settore nel quale vi è spazio per molti.

 

  1. La missione si attua favorendo incontri fraterni con i Sacerdoti, collaborando con loro nel ministero e offrendo loro aiuto in ogni necessità.

7a. Premessa
La fraternità sacerdotale impone ai Presbiteri di collaborare pastoralmente, sotto la guida del Vescovo locale, per essere di sostegno gli uni verso gli altri e per rendere più incisivo il ministero. Ciò vale naturalmente anche per quei Religiosi che sono coinvolti più direttamente nella cura d’anime, in modo che vi possa essere una proficua ed ordinata collaborazione tra tutte le forze apostoliche: “È chiaro che tutti (i Presbiteri) lavorano per la stessa causa, cioè per l’edificazione del Corpo di Cristo... Pertanto è assai necessario che tutti i Presbiteri, sia diocesani che religiosi, si aiutino a vicenda in modo da essere sempre cooperatori della verità. Pertanto, ciascuno è unito agli altri membri di questo Presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità”(49).
Questi richiami appaiono tanto più necessari, quanto maggiore è la rivalità – più o meno velata – che talvolta esiste tra i due Cleri.

7b. Collaborazione nel ministero
I Religiosi FAM, in linea con la loro specifica finalità, sono tenuti ad inserirsi in maniera proficua nella Diocesi in cui dimorano; e a valorizzare ogni circostanza, anche la più spicciola e informale, per creare fraternità con il Presbiterio locale: “I Sacerdoti (Religiosi FAM) si dedicheranno al proprio ministero e saranno ben formati nello spirito, perché possano essere di aiuto nelle Diocesi dove si trovano le loro Case religiose”(50). “Nella ricerca di questa unione, sono da promuovere visite e aiuti ai sacerdoti, collaborazione nell’apostolato, incontri amichevoli, ritiri, esercizi spirituali e qualsiasi altra iniziativa che favorisca la fraternità sacerdotale... Salvo il proprio carisma e la tensione prioritaria (verso) alcune opere, la Congregazione può assumere delle parrocchie per condividere più realisticamente le difficoltà, i problemi e le esigenze dei sacerdoti diocesani... L’inserimento nella Chiesa locale e nella Pastorale diocesana sia fatta in comunione con il Vescovo e il suo Presbiterio”(51).
Si aprono qui spazi pressoché illimitati per conoscere meglio il Clero della Diocesi; per condividere con esso l’onere ministeriale, se occorre anche tramite l’assunzione diretta di parrocchie; e per dimostrarsi fattivamente solidali in ogni circostanza.

 

  1. La missione si attua nutrendo sempre verso i Sacerdoti rispetto e dedizione, e consacrandosi più pienamente alla loro causa con il voto di vittima.

8a. Premessa
Il Magistero Pontificio ha avuto modo di esprimere apprezzamento verso quanti consacrano radicalmente le proprie azioni e preghiere per la santificazione dei Sacerdoti, imitando in tal modo l’oblazione libera e vittimale del divino Maestro che per amore dei suoi consegnò se stesso. Afferma San Pio X, rivolto al Clero: “Ci è di gioia il sapere che molti fedeli si associano a Noi in questa preghiera (per il Clero); e ancor più ci fa piacere che ci siano non poche anime generose, non solo claustrali ma anche viventi nel mondo, le quali con abnegazione continua si offrono a Dio per i sacerdoti col voto di vittima. Il Signore gradisca come un soave profumo le loro preghiere pure ed elette e accetti le nostre umili suppliche. Nella sua clemenza... effonda su tutto il Clero le ricchezze di grazia, di carità e di ogni virtù”(52).
Un atto di questo genere non è mai frutto di improvvisazione, ma è sempre il risultato finale di una serie di attitudini interiori improntate alla più completa dedizione verso i Sacerdoti in generale e, più in particolare, verso quelli che sono gravati da qualche umana miseria, così come lo stesso Concilio invita a fare: “Per quanto riguarda coloro che fossero caduti in qualche mancanza, (i Presbiteri) li trattino sempre con carità fraterna e comprensione, preghino per loro incessantemente e si mostrino in ogni occasione come veri fratelli e amici”(53). Il ritorno infatti di quanti si sono allontanati – o sono in procinto di farlo – è facilitato dalla consapevolezza di trovare non un gelido giudizio di condanna, ma l’accoglienza festosa, il perdono e una nuova possibilità di riscatto.

8b. Attitudini interiori
Si è detto del lavoro che la Congregazione è chiamata a svolgere nella Chiesa. Ora, l’esperienza insegna come le opere prive di interiore carità, non solo non hanno alcun valore, ma alla fine divengono insostenibili per tutti. E’ per questo che la Madre Speranza insiste sui sentimenti spirituali che debbono animare i suoi Religiosi: “I Sacerdoti Religiosi... saranno formati nello spirito di carità, abnegazione e amore al Clero diocesano, abituandosi a considerarli come veri fratelli”(54).
E’ preziosa, a questo riguardo, la seguente pagina dei Verbali: “La Madre dà consigli e direttive... Capiteranno dei Sacerdoti nei quali toccherà vedere l’umana miseria. Occorre essere a ciò preparati. Non scandalizzarsi, ma pensare che se il Signore non ci avesse chiamati ad una vita in cui troviamo con facilità tanti mezzi di santificazione e se non ci tenesse continuamente la mano in capo, potremmo anche noi arrivare al punto di coloro dei quali siamo tentati di scandalizzarci. Bisogna però essere molto attenti per non far l’abitudine di sentire e vedere cose che prima facevano impressione e che ad un certo punto invece potrebbero far perdere la sensibilità e la delicatezza dello spirito. Pregare molto, usare molta prudenza e continuo controllo: sono le norme pratiche perché lo spirito non si addormenti su questo stato di cose. Non si manifesti mai ad altri ciò che di meno buono si è potuto notare in qualche Sacerdote. Quando è possibile occultare la miseria lo si faccia... Essere buoni samaritani con i miseri; con i caduti usare balsamo, carità, buone maniere e non aceto; non mantenersi a debita distanza, non usare modi bruschi”(55). Riemerge in questi accenti la spiritualità dell’amore misericordioso del Signore il quale “perdona, dimentica e non tiene in conto” e che – per ciò stesso – facilita il pentimento e il ritorno di ogni figliol prodigo.

8c. Il quarto voto
Nell’insegnamento e nella prassi della Madre Speranza, il voto di vittima per i Sacerdoti è uno degli elementi più caratteristici e costituisce l’esplicitazione ultima di quegli atteggiamenti oblativi richiesti alla sua Famiglia Religiosa per poter attuare la propria missione.
Senza ripetere ciò che altri hanno già pregevolmente scritto sul tema(56), ci limitiamo a registrare le testimonianze più significative della Fondatrice: “Questa notte “mi sono distratta” e il Buon Gesù mi ha detto che io non debbo desiderare altro che amarlo, soffrire in riparazione delle offese che Egli riceve dal suo amato Clero, e fare in modo che tutti quelli che trattano con me sentano lo stesso desiderio di offrirsi come vittime di espiazione per i peccati che commettono i Sacerdoti del mondo intero”(57). “Oggi, 24 dicembre 1941 – considerando tutto quello che il Buon Gesù ha sofferto per tutti noi, e l’amore che continuamente ci sta dimostrando, e la scarsa gratitudine da parte delle anime a Lui consacrate, e le numerose offese che riceve dai suoi Sacerdoti –, mi sento trasportata a rinnovare la mia offerta come vittima di espiazione, fatta il 24 dicembre 1927, per riparare le mancanze dei Sacerdoti di tutto il mondo”(58). “Oggi – giorno del Giovedì santo – ti chiedo Gesù mio di non dimenticarti dei Sacerdoti del mondo intero, per i quali io desidero vivere come vittima: illuminali con la tua luce, perché comprendano la vacuità e il nulla delle realtà umane… Concedimi, Gesù mio, la grazia di vivere amandoti nella continua sofferenza, per riparare in qualche modo le offese che ti arrecano i tuoi Sacerdoti; e fa’ che, dopo una lunga vita di fatiche e di tribolazioni, io veda il mio corpo disfatto in putrefazione, sempre in riparazione dei peccati che commettono i tuoi Sacerdoti con la concupiscenza della carne… Ti chiedo, Gesù mio, una e mille volte, che le mie sofferenze non servano giammai a riparare le offese che disgraziatamente io stessa Ti ho arrecato: questa riparazione ti chiedo di riservarmela per il purgatorio; per l’inferno no, Dio mio, perché lì non ti posso amare. Le mie sofferenze, le mie angustie e i miei dolori servano sempre per riparare le mancanze dei Sacerdoti del mondo intero”(59).
Queste aspirazioni eroiche della Madre Speranza si tramutano spesso in esortazioni spirituali per i componenti delle sue Congregazioni: “La Madre ricorda che è desiderio del Signore che ciascuno di noi faccia il voto di vittima in riparazione delle offese del Clero di tutto il mondo. E’ bene che all’indomani, festa di Cristo Re, insieme alla rinnovazione dei Voti religiosi, ciascuno faccia la rinnovazione di tale voto. Ottima cosa è ripetere ogni giorno tale atto dopo la comunione. I Sacerdoti la ripetano tra la Comunione con il Corpo e quella con il Sangue”(60). Si esprime così in maniera eccellente che con tale gesto si compie una oblazione radicale e sacrificale la quale dal Sacrificio Eucaristico trae ispirazione e forza.

 

  1. La missione si attua, infine, unendo alla Congregazione alcuni Sacerdoti del Clero Diocesano tramite la professione dei voti e la pratica della vita comune.

9a. Premessa
Cosciente del fatto che il Presbiterio Diocesano è attraversato da mentalità, prassi e interessi apostolici assai diversificati, il Concilio invita i Sacerdoti a vincere i pericoli della dispersione e dell’isolamento tramite l’adesione volontaria ad apposite aggregazioni ecclesiali, finalizzate a fomentare la santità personale, la comunione fraterna e l’esemplarità ministeriale: “Vanno tenute in grande considerazione e diligentemente incoraggiate le associazioni che, in base a statuti riconosciuti dall’autorità ecclesiastica competente, fomentano – grazie a un modo di vita convenientemente ordinato e approvato e all’aiuto fraterno – la santità dei sacerdoti nell’esercizio del loro ministero, e mirano in tal modo al servizio di tutto l’ordine dei presbiteri”(61). Questo invito è concretamente raccolto da tutti quei Sacerdoti che aderiscono a Istituti Secolari, Associazioni, Movimenti e Gruppi ecclesiali di vario genere(62).

9b. Destinatari e compartecipi della missione
Tra le varie modalità con cui i Religiosi FAM operano a beneficio del Clero, ve n’è ancora una che è sicuramente la più importante di tutte quelle finora indicate: l’adesione all’ Istituto di alcuni Sacerdoti del Clero Diocesano, tramite la professione dei voti e la pratica della vita comune. Rimandando al capitolo III l’esposizione sull’origine storica del gruppo e sugli aspetti più propriamente giuridici della questione, tentiamo prima di comprenderne un po’ meglio lo spirito e la sostanza. Le Costituzioni rinnovate dichiarano: “Il profondo inserimento di questi Sacerdoti Diocesani all’interno della Congregazione è espressione peculiare di quell’unione fraterna che i Figli dell’Amore Misericordioso sono tenuti a perseguire nei confronti del Clero; allo stesso tempo, ne è anche strumento prezioso per una più incisiva azione apostolica nel Presbiterio”(63).
Ma in quale senso i Diocesani FAM sono segni e strumenti della missione sacerdotale della Congregazione? Di questo si parlerà nel prossimo capitolo. Fin da ora, però, occorre mettere chiaramente in risalto che in tutta questa problematica esiste una duplice dimensione: una passiva (i Diocesani FAM ricevono un beneficio dall’Istituto); e una attiva (i Diocesani FAM partecipano della vita interna della Congregazione e operano per le sue stesse finalità apostoliche). Se infatti ci si limitasse a considerare soltanto la prima dimensione, si correrebbe il rischio di operare un duplice stravolgimento di questa proposta consacratoria.
In primo luogo, si produrrebbe una riduzione devozionale, in quanto l’emissione dei voti da parte di questi Sacerdoti – pur avendo un innegabile valore cultuale e pur denotando un encomiabile anelito verso la santità – rimarrebbe circoscritta in un ambito del tutto privato, riducendosi ad essere un gesto di carattere individuale, senza eccessive conseguenze esteriori. In secondo luogo, si produrrebbe una riduzione strumentale, in quanto l’ingresso nel gruppo dei Diocesani FAM potrebbe essere determinato da motivazioni più o meno opportunistiche, le quali appaiono del tutto immotivate anche in considerazione del fatto che la Congregazione è già tenuta a venire incontro ai problemi dei Sacerdoti, senza che questi debbano necessariamente emettere i voti al suo interno.
Il fatto, quindi, che i Diocesani FAM possano ottenere qualcosa dall’Istituto Religioso di Madre Speranza è assolutamente insufficiente a definire in maniera adeguata la natura di questa forma aggregativa. Al contrario, occorre scoprire il loro ruolo altamente compartecipativo nell’ambito della missione or ora descritta.

 

Capitolo II

I SACERDOTI DIOCESANI FIGLI DELL’AMORE MISERICORDIOSO COME DESTINATARI E COMPARTECIPI DEL FINE PRIMARIO DELLA CONGREGAZIONE

  1. I Diocesani FAM entrano a far parte della Congregazione senza mutare la propria condizione canonica.

10a. Premessa
Il diritto dei Sacerdoti Diocesani di “associarsi con altri in vista di finalità confacenti allo stato clericale”(64) trova un’eccellente traduzione pratica nell’adesione a quella forma specifica di Vita Consacrata che sono gli Istituti Secolari(65). Normalmente questi offrono al Sacerdote una doppia possibilità: di rimanere incardinato a tutti gli effetti alla Diocesi, in obbedienza al proprio Vescovo; e di essere incorporato a pieno titolo all’Istituto, dipendendo dal Diritto interno solo nell’ambito della Consacrazione. Il Codice chiarisce come va intesa questa doppia appartenenza: “Un membro di Istituto Secolare, in forza della consacrazione, non cambia la propria condizione canonica, laicale o clericale, in mezzo al Popolo di Dio...”(66). Ciò significa che non si cambia stato giuridico: il laico rimane laico e non gli va applicata l’intera normativa dei Fratelli Religiosi; e il Chierico incardinato in Diocesi rimane Diocesano e non gli va applicata l’intera normativa dei Chierici Religiosi. Gli impegni dell’Istituto Secolare dunque hanno un carattere complementare e subordinato rispetto a quelli della Chiesa particolare: “§ 1 - I membri chierici incardinati in una diocesi dipendono dal Vescovo Diocesano, salvo quanto riguarda la vita consacrata nel proprio istituto. § 2 - Quelli invece che... vengono incardinati nell’Istituto, se sono destinati alle opere proprie dell’Istituto o a funzioni di governo all’interno di esso, dipendono dal Vescovo allo stesso modo dei religiosi”(67).
Le coordinate giuridiche fondamentali dei Sacerdoti incardinati in Diocesi e incorporati ad un Istituto Secolare – e la relativa terminologia adottata dal Codice – vanno applicate per analogia anche ai Diocesani FAM, perché i suddetti Chierici costituiscono il termine di paragone più adatto e qualificante per definire la singolare natura canonica dei Diocesani FAM e regolamentarne la doppia appartenenza alla Diocesi e all’Istituto Religioso.

10b. Senza mutare condizione canonica
La Congregazione dei FAM, secondo l’ispirazione carismatica della Fondatrice, è costituita da quattro diversi rami i quali vanno intesi non come entità autonome, bensì come parti del tutto, cosicché tutti i membri dell’Istituto aderiscono allo stesso non per gruppi o categorie, ma individualmente, cioè “in quanto singoli”(68). “La Congregazione si compone di Sacerdoti Religiosi, di Sacerdoti Diocesani con Voti, di Fratelli con titolo di studio e di Fratelli artigiani”(69). Ma come intendere la presenza di questi Chierici Diocesani? In che senso essi “debbono essere considerati come Religiosi e membri della stessa Congregazione”?(70). Non ci si trova forse davanti ad affermazioni giuridicamente inconciliabili?(71).
La soluzione interpretativa viene offerta dalle Costituzioni rinnovate: “Questi Sacerdoti Diocesani, poiché non mutano la propria condizione canonica, hanno un modo proprio di appartenere alla Congregazione. Anche dopo l’unione perpetua con l’Istituto tramite l’assunzione dei consigli evangelici con voti, conservano l’incardinazione nella propria Chiesa particolare con tutti i diritti e i doveri connessi. / In quanto Sacerdoti Diocesani, essi sono tenuti ad obbedire, in maniera giuridicamente prevalente, al proprio Ordinario locale, nella piena disponibilità di servizio alla Diocesi, secondo le prescrizioni delle leggi comuni e particolari. / In quanto Sacerdoti consacrati nella Congregazione, essi sono tenuti ad osservare il diritto proprio dei Figli dell’Amore Misericordioso, nei limiti definiti da uno Statuto proprio, approvato dalla Santa Sede”(72).
Dello stesso tenore è anche il suddetto Statuto il quale indica pure i criteri di giudizio che bisogna adottare in caso di conflitto di competenze: “I Sacerdoti Diocesani Figli dell’ Amore Misericordioso sono Chierici Diocesani consacrati i quali, senza mutare la propria condizione canonica, vengono uniti, in quanto singoli, all’Istituto Religioso dei Figli dell’ Amore Misericordioso per praticarvi i voti e partecipare alla vita comune...”(73). “Se ci dovessero essere casi di conflitto, specialmente quando situazioni particolari riguardanti gli obblighi della consacrazione richiedessero interventi disciplinari, il Superiore Generale agirà cercando, nel sincero dialogo con l’Ordinario Diocesano, di tener presente e salvaguardare sia il bene della Diocesi ed il bene personale del Sacerdote, sia gli impegni della professione nell’Istituto, salvo restando che, in caso di incompatibilità, tra i doveri della Diocesi e quelli della Congregazione prevalgono in ogni caso i primi”(74). Sulla base di queste delimitazioni è sicuramente possibile coniugare insieme e far convivere in maniera complementare e subordinata – oltre che proficua – l’Ordinamento canonico Diocesano e quello Religioso.

 

  1. I Diocesani FAM partecipano, secondo modalità proprie, delle stesse finalità personali e collettive della Congregazione: in particolare, della sua missione a favore del Clero.

11a. Premessa
Coloro che aderiscono ad un Istituto di Vita Consacrata non possono compiere un simile gesto solamente per una gratificazione personale: infatti… “Quando il Signore consacra una persona, le dona una grazia speciale affinché possa compiere la sua volontà... Dio non soltanto sceglie, mette in disparte e dedica a se stesso la persona, ma la impegna nella sua propria opera divina. La consacrazione inevitabilmente comporta la missione. Sono due aspetti, questi, di un’unica realtà. La scelta di una persona da parte di Dio è per il bene degli altri: la persona consacrata è un “inviato” per l’opera di Dio, nella potenza di Dio...”(75).
Per i Consacrati questa missione è costituita innanzitutto da ciò che essi sono; e solo successivamente da ciò che essi fanno. Vale pertanto in primo luogo la testimonianza globale della vita(76). A questo apostolato generale si affianca poi quello specifico, determinato dalla natura del proprio Istituto e dai suoi fini collettivi(77). È così che ci si consacra a Dio nella Chiesa, non tanto a beneficio di se stessi quanto a vantaggio degli altri(78).

11b. Partecipi della vita e delle finalità della Congregazione
Lo Statuto attesta chiaramente come – in forza della singolare appartenenza dei Diocesani FAM all’Istituto, fondata sulla comune vocazione (art. 2) – essi condividono con i confratelli Religiosi: la spiritualità (art. 3); la chiamata alla santità (art. 4); la sensibilità misericordiosa verso gli ultimi (art. 6); e in modo del tutto particolare, l’impegno prioritario a favore del Clero (art. 5). Questo coinvolgimento però dovrà ordinariamente esplicarsi non nell’ambito delle opere interne dell’Istituto, ma nel contesto del Presbiterio Diocesano e nell’esercizio del comune ministero pastorale: “Questi Sacerdoti, partecipando con i confratelli Religiosi di un’unica vocazione e di un medesimo dono di grazia, sono tenuti a perseguire le stesse finalità della Congregazione, secondo modalità proprie e in maniera compatibile con gli impegni diocesani”(79). “Essi sono chiamati, innanzitutto, ad annunciare la pienezza di bontà di Dio Padre il quale ama tutti i suoi figli e li vuol rendere felici: per questo in Gesù Cristo si è rivelato particolarmente ricco di amore e di misericordia, affinché l’uomo, anche il più malvagio e peccatore, non temesse di tornare pentito alla casa del Padre, per esservi di nuovo accolto in qualità di figlio”(80). “Entrando a far parte di una nuova famiglia di consacrati, essi debbono tendere con rinnovato impegno alla propria santificazione, così da conseguire una maggiore armonia tra vita interiore ed azione apostolica, al fine di operare più efficacemente per il bene delle persone loro affidate e per l’edificazione della Chiesa”(81). “Essi sono tenuti, inoltre, a perseguire con particolare interesse il fine primario della Congregazione, a norma delle Costituzioni, operando per l’unità del Clero Diocesano e la sua santificazione, in spirito di concreto servizio fraterno”(82). “Questi Sacerdoti sono chiamati, infine, ad incarnare nel proprio ministero la particolare sollecitudine dell’Amore Misericordioso del Signore per quanti sono maggiormente colpiti dal male morale, fisico o materiale, ponendo di preferenza la propria carità pastorale al loro servizio”(83).
La partecipazione dei Diocesani FAM a queste finalità personali e istituzionali deve realizzarsi in maniera tale che tutti possano ottenerne un beneficio: i diretti interessati, le rispettive Chiese particolari e la stessa Congregazione.

  1. I Diocesani FAM si impegnano alla pratica dei tre consigli evangelici per camminare più celermente nella propria santificazione, e per rendere una pubblica testimonianza nella Chiesa.

12a. Premessa
All’interno dell’universale chiamata alla santità di tutti i battezzati, i Presbiteri hanno un obbligo del tutto particolare di conseguire la perfetta unione con Cristo nella carità(84). Questa santità sacerdotale, oltre che dal fedele adempimento dei doveri ministeriali e dagli altri mezzi spirituali ed ascetici tradizionali, è singolarmente favorita dall’osservanza dei tre consigli evangelici: “La pratica dei consigli (che si sogliono chiamare evangelici), abbracciata da molti cristiani per impulso dello Spirito Santo, sia privatamente che in una istituzione o stato sanciti nella Chiesa, porta e deve portare nel mondo una splendida testimonianza e un magnifico esempio di... santità”(85).
Questa dichiarazione conciliare è valida non solo per il fenomeno della Vita Consacrata(86), ma anche per lo stesso Clero Diocesano, chiamato ripetutamente dal Magistero a praticare le virtù dell’obbedienza, della castità e della povertà, per una più piena configurazione al Signore Gesù, causa e modello di ogni perfezione(87).

12b. Con il solo fine di santificarsi
Anche per i Religiosi FAM il perseguimento della perfetta carità è un imperativo categorico che precede ogni altra mansione. Le Costituzioni rinnovate non mancano di ricordarlo: “La risposta adeguata alla nostra vocazione è la santità della vita, ossia la perfezione della carità come permanenza in noi dell’Amore di Dio, in totale uniformità al suo volere”(88).
E’ evidente che anche i Sacerdoti Diocesani che aderiscono alla Congregazione devono essere animati da un sincero anelito di perfezione evangelica. E’ quanto emerge ripetutamente dai testi della Madre Speranza: “Il Sacerdote che desidera vivere unito ai Figli dell’ Amore Misericordioso per mezzo dei Voti può sempre farlo, però con il solo fine che questi siano il canale attraverso il quale il buon Gesù comunichi sempre più le sue grazie per aiutarlo a santificarsi e a fare in modo che il suo ministero sia fruttuoso per le anime”(89). “(A questa famiglia religiosa) si potranno unire con i Voti i Sacerdoti del Clero diocesano che lo desiderino, con il fine di poter camminare più facilmente nella propria santificazione e darsi in pieno al proprio ministero, liberi dalle preoccupazioni materiali e dai pericoli che disgraziatamente circondano la maggior parte di essi”(90).
La pratica più impegnata dei tre consigli evangelici infatti, operando una progressiva purificazione dalla triplice concupiscenza umana (cf 1 Gv 2,16), rende il Sacerdote più docile all’azione della Grazia e più idoneo all’esercizio delle sue funzioni ministeriali.

12c. Con un preciso oggetto giuridico
I Diocesani FAM si impegnano pubblicamente ad una pratica più esigente dei tre consigli evangelici per mezzo del vincolo sacro del voto e secondo l’oggetto giuridico (o contenuto interno) che è definito dallo Statuto, il quale espone la materia in termini più generali per quanto riguarda l’obbedienza (art. 18-19), in forma più risaputa circa la castità (art. 21), e in maniera più dettagliata per quanto si riferisce alla povertà (art. 22-23): “I Sacerdoti Diocesani Figli dell’Amore Misericordioso con il voto di Obbedienza confermano la promessa di sottomissione gerarchica al proprio Ordinario Diocesano, in tutto ciò che riguarda l’appartenenza e il servizio ministeriale alla propria Chiesa particolare, in unione devota e filiale verso di lui...”(91). “In forza del medesimo voto essi sono anche tenuti ad obbedire, con senso di fede e docile sottomissione, ai Superiori Religiosi in tutto ciò che si riferisce alla pratica della Vita Consacrata, secondo le Costituzioni e il presente Statuto...”(92). “I Sacerdoti Diocesani Figli dell’Amore Misericordioso con il voto di Castità assumono di nuovo e con rinnovato slancio gli impegni del celibato ecclesiastico, per aderire con cuore indiviso a Cristo Signore, nella piena donazione ministeriale alla Chiesa e nella testimonianza gioiosa della condizione futura”(93). “I Sacerdoti Diocesani Figli dell’Amore Misericordioso con il voto di Povertà si impegnano volontariamente ad una vita povera di fatto e di spirito, da condursi in operosa sobrietà, in modo conforme all’ideale evangelico e alle indicazioni ecclesiali circa l’utilizzo dei beni, e
in comunione con le finalità sacerdotali della Congregazione
”(94). “Il voto di Povertà, salva restando la normativa economica di diritto comune e particolare valida per i Chierici Diocesani, è determinato dal diritto proprio della Congregazione, in particolare dall’art. 45 delle Costituzioni e dal relativo Direttorio, ai quali si aggiunge quanto disposto nel presente articolo...”(95).
Non è sufficiente dunque emettere i tre voti per realizzare una piena donazione di se stessi a Dio: occorre anche tener presente e tradurre fedelmente in pratica ciò che tramite quei vincoli sacri si è promesso a Dio, al cospetto di un suo legittimo rappresentante e di una determinata Comunità ecclesiale(96).

12d. Per una pubblica testimonianza
La professione dei tre voti da parte dei Diocesani FAM non va considerata come un atto esclusivamente privato, ma come un impegno che è in grado di esercitare un pubblico richiamo sia verso i laici sia verso l’intero Presbiterio, perché contesta ogni forma di abulìa spirituale e tiene desto l’anelito ad essere perfetti come è perfetto il Padre Celeste (cf Mt 5,48). Per questo lo Statuto recita: “L’unione alla Congregazione pone in grado i Sacerdoti Diocesani Figli dell’Amore Misericordioso di offrire una chiara e tipica testimonianza ecclesiale, conforme alla natura della Vita Consacrata”(97). “Attraverso l’effettiva prassi dei consigli evangelici assunti in maniera istituzionalizzata, essi, a nuovo titolo, si danno totalmente a Dio amato sopra ogni cosa e si pongono alla sequela del divino Maestro al di là della stretta misura del precetto, per seguirne più da vicino gli esempi e gli intendimenti, sotto l’azione dello Spirito Santo. / In tal modo, oltre che richiamare tutti i battezzati sul valore comune di questi atteggiamenti evangelici, essi svolgono una funzione profetica in mezzo ai confratelli Diocesani i quali, per la pienezza del loro sacro ministero, sono già chiamati a conseguire le virtù della castità, della sobrietà di vita e dell’umile obbedienza”(98).
Il Clero Diocesano infatti, specie nell’ambito dell’obbedienza e della povertà, ha larghi spazi lasciati alla propria discrezionalità e può quindi ridursi ad una pratica più superficiale di tali virtù. L’impegno associativo invece – tramite la maggiore ampiezza degli obblighi e la mutua edificazione tra i confratelli – funge propriamente da stimolo e da sostegno nel realizzare un’osservanza più radicale.

 

  1. I Diocesani FAM si impegnano alla pratica della vita comune per usufruirne dei molteplici vantaggi materiali e spirituali, e per rendere una pubblica testimonianza nella Chiesa.

13a. Premessa
La pratica della vita comune tra il Clero ha una lunga tradizione nella Chiesa ed è costantemente raccomandata dal Magistero(99). I suoi benefici sono molteplici e vanno dal piano spirituale a quello materiale, dalla sfera personale a quella ministeriale. Il Concilio ne parla nel contesto del discorso sulla fraternità sacerdotale: “Per far sì che i Presbiteri possano reciprocamente aiutarsi a fomentare la vita spirituale e intellettuale, collaborare più efficacemente nel ministero, ed eventualmente evitare i pericoli della solitudine, sia incoraggiata tra di essi una certa vita comune, ossia una qualche comunità di vita, che può naturalmente assumere forme diverse, in rapporto ai differenti bisogni personali o pastorali: può trattarsi, cioè, di coabitazione, là dove è possibile, oppure di una mensa comune, o almeno di frequenti e periodici raduni”(100). L’attuale contesto sociale, contrassegnato profondamente dai fenomeni della secolarizzazione e dell’indifferenza religiosa, ha reso molto più problematiche di un tempo le condizioni di vita e di ministero dei Sacerdoti isolati: da qui la viva attualità delle varie proposte associative rivolte al Clero.

13b. In una nuova famiglia e in una concreta comunità
Ogni Istituto Religioso deve essere considerato a tutti gli effetti come una grande famiglia all’interno della quale si condividono gioie e speranze, tristezze e preoccupazioni. Anche i Diocesani FAM, secondo il pensiero della Madre Speranza, debbono essere coinvolti appieno in questa dinamica, all’interno della Congregazione: “Questi Sacerdoti devono trovare sempre nei Figli dell’Amore Misericordioso una famiglia che li ama, che attende ad essi nelle loro necessità e che sta sempre pronta ad essere loro di appoggio”(101).
Si tratta, appunto, del “gran bene di poter fare famiglia con i FAM”(102), cioè del sostegno globale che deriva dal sentirsi profondamente inseriti in un Istituto Religioso il quale si dedica primariamente alla causa del Clero. Ma questo aggancio generalizzato e vago con tutta la Congregazione non è sufficiente; occorre anche un’esperienza di vita fraterna condotta in una concreta comunità locale: “(I Diocesani FAM) sono tenuti ad instaurare la vita comune o in una Casa della Congregazione o, qualora la vicinanza lo permettesse, in comunità formate da Sacerdoti Diocesani con voti della stessa zona, oppure insieme ad uno o più Religiosi inviati a questo scopo presso le loro sedi. In ognuno di questi casi ci si dovrà attenere, nello spirito e nella disciplina, a quanto il diritto proprio della Congregazione prescrive in riferimento alla comunità locale, alla sua organizzazione interna, agli atti comuni e alla sua funzione apostolica a favore del Clero, nel rispetto della giusta autonomia richiesta dal ministero pastorale”(103).
E l’impegno alla pratica comunitaria è talmente rilevante nella proposta della Congregazione che occorrono motivazioni più che valide per potersene astenere: “I Sacerdoti Diocesani Figli dell’Amore Misericordioso, per quanto è possibile, debbono fare vita di comunità. In forza di tale obbligo, il giudizio sui motivi validi o meno per esserne esentati non è lasciato al singolo Sacerdote, ma è riservato al Superiore Generale col voto consultivo del suo Consiglio, salva restando la facoltà per l’Ordinario Diocesano di disporre diversamente..., per seri motivi pastorali”(104). A commento di questo articolo dello Statuto è utile tenere presenti alcune precisazioni della Fondatrice: “Non sarà permesso a un Sacerdote emettere i voti e non fare vita di comunità per vivere più liberamente, per accumulare beni per i propri parenti, o per qualche altro impedimento che non riesce ad abbandonare facilmente”(105).

13c. Liberi da molteplici pericoli
Nell’intuizione profetica della Madre Speranza, la proposta consacratoria propugnata dalla sua Congregazione va considerata come... “un’autentica salvaguardia che dovrà risultare di grande utilità perché i Sacerdoti del Clero secolare possano difendersi nel ministero in questi tremendi tempi”(106). Ma a cosa intende alludere la Fondatrice con queste parole?
Lei si riferisce in primo luogo alle “preoccupazioni materiali”(107) che sovente assillano il Sacerdote: “Egli deve risiedere nella Casa religiosa perché venga aiutato a santificarsi e così possa esercitare con buon esito il proprio ministero ecclesiale, offrendogli i mezzi per fortificare lo spirito e liberandolo dal pericolo di vivere attaccato agli interessi materiali, dato che tutti abbiamo la necessità di mangiare e di vestire, evitando così che a poco a poco si creino necessità superflue a scapito della carità e a danno dei fedeli che lo circondano. Per questo i Religiosi dovranno aiutare questi Sacerdoti con il buon esempio della carità, dell’ amore alla povertà, dello spirito di sacrificio e di mortificazione”(108).
E in secondo luogo, come anche risulta da alcune sue lettere, si riferisce chiaramente a quei “pericoli che disgraziatamente circondano la maggior parte (del Clero)”(109) a causa del-l’isolamento sociologico ed affettivo: “Data la mancanza di pudore e di ritegno della donna moderna è già difficile, e più lo sarà per l’avvenire, che l’anima del ministro di Gesù possa conservarsi pura e lontana dal pericolo di macchiarsi... Vostra Eccellenza può vedere come questi Sacerdoti si trovino estremamente soli, che non sempre hanno forza di aprirsi come dovrebbero col proprio Pastore. Così è loro molto difficile mantenersi per lungo tempo con un contegno grave e modesto. A poco a poco si sentono trasportati a instaurare amicizie troppo intimistiche e, senza rendersene conto, giungono al punto di non potersi astenere né liberare, per la solitudine in cui versano, da affezioni intime. Nel loro scoraggiamento arrivano a lasciare la recita dell’Ufficio divino e del santo rosario, si fa loro sempre più difficile la meditazione e l’esame di coscienza, riducendosi a celebrare la Messa in condizioni che Vostra Eccellenza non ignora, per andare poi a sfociare tutto come Vostra Eccellenza ben sa”(110).
Non è certo impossibile constatare come questa analisi – ispirata a grande realismo e a sofferta comprensione – spesso si rivela tutt’altro che infondata.

13d. Per una pubblica testimonianza
La pratica comunitaria dei Diocesani FAM, lungi dal rimanere circoscritta nella sfera privata, può anch’essa esercitare un pubblico richiamo, sia verso i laici che verso l’intero Presbiterio, proprio in relazione al valore di questa prassi fraterna, la quale – sovente – non solo non è ricercata dal Clero, ma è persino temuta; o quantomeno è subita passivamente, se proprio non può essere evitata. Ciò è determinato dal fatto che il Sacerdote teme di dover rinunciare a proprie autonomie, o di non riuscire ad integrarsi proficuamente con i confratelli.
Ed è proprio su questa radicata mentalità che la Congregazione dovrebbe incidere: “La Madre dice che bisogna far penetrare l’idea della bellezza della vita di comunità tra il Clero”(111). Quest’opera di diffusione si realizza principalmente tramite i Diocesani FAM, perché è del tutto scontato che dei Religiosi vivano sotto lo stesso tetto, mentre diventa estremamente significativo che siano alcuni del Clero Diocesano a fare ciò volontariamente. Per questo lo Statuto recita: “Attraverso la pratica della vita comune animata dalla carità, (i Diocesani FAM) attestano il valore dell’intima fraternità sacerdotale che unisce i ministri sacri e si pongono in condizione di superare più facilmente i pericoli dell’isolamento. / Così ne fomentano in modo concreto la consuetudine tra il Clero, in vista dell’esempio che ne deriva ai fedeli e dei vantaggi apportati ai Sacerdoti: alimentare la vita spirituale e l’impegno ascetico; custodire e rafforzare la castità; curare la vita intellettuale e la formazione permanente; favorire la collaborazione nel ministero; ridurre le spese di sostentamento”(112).
E’ necessario che questi numerosi vantaggi – ripetutamente formulati nei documenti ufficiali della Chiesa – vengano chiaramente compresi e attivamente ricercati da parte di un numero sempre crescente di Sacerdoti del Clero Diocesano.

 

  1. I Diocesani FAM si impegnano a vivere e ad operare in stretta unione con la Congregazione, per divenire segni e strumenti del suo fine primario, e per rendere una pubblica testimonianza nella Chiesa.

14a. Premessa
Le relazioni tra Clero Diocesano e Comunità Religiose non sempre sono serene. Incide sul fenomeno la diversità di formazione e di interessi apostolici: mentre il Sacerdote Diocesano è inscindibilmente legato alla propria Chiesa particolare condividendone profondamente mentalità, necessità ed esiti, il Religioso (Chierico o laico che sia) tende a trovare il centro unificatore di se stesso nell’Istituto, vivendo così la propria attività in un’ottica differente, poiché egli non è mandato alla singola Diocesi ma, tramite il suo Istituto, a tutta la Chiesa. Queste diverse prospettive, impossibili ad essere eliminate perché legate alla natura stessa delle cose, non dovrebbero però impedire né il rispetto reciproco né la mutua integrazione apostolica, nella comunione col Vescovo locale(113).
E’ quanto il Concilio raccomanda ai Presbiteri: “Per ragione dell’Ordine e del ministero, tutti i Sacerdoti, sia diocesani che religiosi, sono associati al Corpo episcopale e, secondo la loro vocazione e la loro grazia, sono al servizio del bene di tutta la Chiesa”(114). “Ciascuno è unito agli altri membri del Presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità... Pertanto è assai necessario che tutti i Presbiteri, sia diocesani che religiosi, si aiutino a vicenda, in modo da essere sempre cooperatori della verità”(115).
Occorre dunque superare ogni tentazione di rivalità e di sterile contrapposizione, per far sì che anche in questo caso si realizzi appieno l’invocazione del Signore: “Che tutti siano una sola cosa, perché il mondo creda!” (cf Gv 17,21).

14b. Uno stretto e polivalente tipo di “unione”
Il criterio fondamentale che deve guidare i Diocesani FAM nel loro rapporto con l’Istituto può essere espresso in forma adeguata con la seguente raccomandazione della Fondatrice: “Questi Sacerdoti si sforzeranno di avere la maggior comunicazione possibile con i Superiori della Congregazione e la maggior unione possibile con i Figli dell’Amore Misericordioso”(116). Ma come bisogna interpretare questo vincolo di unità che sussiste tra i Diocesani FAM e i confratelli Religiosi? Quali caratteristiche possiede? Può esso limitarsi ad un sentimento più o meno vago di amicizia fraterna?
Occorre rispondere che questo vincolo è di natura sia teologale che strutturale: si tratta cioè di uno stretto tipo di unione che si articola non solo a livello spirituale e comunitario, ma anche a livello giuridico e apostolico: i Diocesani FAM infatti condividono con i confratelli Religiosi la vocazione, il dono di grazia, la spiritualità, la pratica consacratoria dei tre voti e la vita fraterna in comunità... Ma oltre a ciò, essi condividono anche – in maniera però ancora non completa –(117) l’incorporazione giuridica all’Istituto e l’esercizio dei diritti di voce attiva e passiva all’interno dello stesso; e tutto ciò – come precisa lo Statuto – al fine di operare il più strettamente possibile con la Congregazione, in vista della sua missione sacerdotale: “I Sacerdoti Diocesani Figli dell’Amore Misericordioso con l’esercizio dei diritti di voce attiva e passiva nella Congregazione..., esprimono la loro singolare appartenenza alla stessa, se ne rendono attivamente responsabili e sono messi in grado di animarla dall’interno per un migliore espletamento del suo servizio ecclesiale”(118).
Lo Statuto naturalmente precisa anche entro quali limiti i Diocesani FAM possono – per ora – esercitare questi importanti diritti: come cioè possono prendere parte al Capitolo Generale (art. 31-32) e al Governo Generale dell’Istituto (art. 33). Ma su queste tre norme – suggerite dalla Santa Sede (CIVC-SVA) in sostituzione di una diversa formulazione che era stata avanzata – torneremo a parlare nel capitolo III. Per ora ci limitiamo ad osservare che – in forza di questi particolari diritti – l’unione dei Diocesani FAM con la Congregazione non è da intendersi come semplice accostamento o giustapposizione, ma piuttosto come “profondo inserimento”(119) nella stessa e come globale coinvolgimento nelle sue finalità.

14c. Segni e strumenti del fine primario
Ma come giustificare questa apparente intromissione di estranei nelle comunità locali, negli organismi di partecipazione dell’Istituto e persino nella sua stessa struttura di governo? Non si tratta forse di una pretesa irrazionale e pericolosa? Quale il suo significato specifico e quale la sua finalità strategica? La risposta delle Costituzioni rinnovate non poteva essere più illuminante: “Il profondo inserimento di questi Sacerdoti Diocesani all’interno della Congregazione è espressione peculiare di quell’unione fraterna che i Figli dell’Amore Misericordioso sono tenuti a perseguire nei confronti del Clero; allo stesso tempo, ne è anche strumento prezioso, per una più incisiva azione apostolica nel Presbiterio”(120).
I Diocesani FAM sono un segno perché incarnano quell’unione con il Clero nelle necessità materiali e nelle esigenze spirituali che la Congregazione persegue in forza della sua missione; allo stesso tempo, sono anche uno strumento perché animano dall’interno l’Istituto e ne facilitano l’azione dall’interno del Presbiterio.
Stando così le cose, se ne può dedurre un principio che è di fondamentale importanza per comprendere l’intero assetto dello Statuto e – più in particolare – gli articoli che regolano l’esercizio della voce attiva e passiva nell’Istituto: l’efficacia operativa dei Diocesani FAM sarà tanto maggiore, quanto più stabile e consistente sarà il loro legame giuridico non solo con la Diocesi, ma anche con la Congregazione. Quanto più si è convinti della bontà di questa asserzione, tanto più si cercherà di ottenere dalla competente Autorità Ecclesiastica un ampliamento – anche sostanziale – dei diritti di voce attiva e passiva nell’Istituto per questi Sacerdoti; in caso contrario, si cercherà di ridurli e circoscriverli il più possibile, in modo che la presenza di questi Diocesani non condizioni negativamente i Religiosi, e viceversa!

14d. Per una pubblica testimonianza
La stretta collaborazione tra i vari rami della Congregazione può sicuramente esercitare un pubblico richiamo, specie nel Presbiterio, in relazione al valore di una cordiale collaborazione tra i due Cleri. È, per l’appunto, ciò che la Madre Speranza si prefiggeva di ottenere con il suo programma apostolico, come risulta tra l’altro da questo resoconto su un suo incontro con l’allora Arcivescovo di Fermo, Mons. Norberto Perini: “Gli ho anche parlato del progetto di raccogliere in comunità il Clero Secolare. Egli mi ha risposto quanto già conoscevo, e cioè: “Come è possibile che vivano in comunità Sacerdoti religiosi e Sacerdoti secolari dal momento che non si amano né gli uni, né gli altri?”. Io gli ho risposto: «Proprio per questa ragione, secondo il Buon Gesù, è bene riunirli insieme perché, così uniti, si amino e insieme si sforzino per santificarsi»”(121).
In relazione a questo particolare argomento, la sintesi operata dallo Statuto non poteva essere più completa ed efficace: “Attraverso la comunione con i confratelli Religiosi, (i Diocesani FAM) rendono visibile e, nello stesso tempo, facilitano la missione dell’Istituto a favore del Clero. E’ necessario quindi che tale unione spirituale, comunitaria ed apostolica, oltre che giuridica, sia da tutti sommamente perseguita, così da rendere la Congregazione una vera famiglia. / In tal modo si attesta l’esigenza di un’ordinata integrazione tra Chierici Diocesani e Religiosi nella comunione gerarchica con il Vescovo locale, superando ogni possibile forma di contrapposizione, poiché gli uni e gli altri, secondo la vocazione e la grazia ricevuta, servono al bene della famiglia diocesana e di tutta la Chiesa”(122).
Tutti i doni e i ministeri che lo Spirito Santo suscita nella Comunità ecclesiale vanno sempre posti al servizio dell’utilità comune e vanno sempre sublimati in quel carisma che tutti li supera e li contiene: la carità (cf 1 Cor 13).

Al termine di questo capitolo, dovrebbe ormai risultare chiaro in che senso i Diocesani FAM sono – allo stesso tempo – destinatari e compartecipi della missione dei loro confratelli: saliti sulla barca della Congregazione, è necessario che diano con generosità il loro insostituibile apporto perché questa possa proseguire agilmente il suo viaggio in mezzo al mare talvolta burrascoso del Presbiterio Diocesano.   

P. Gabriele Rossi, fam


1    GIOVANNI PAOLO II, Esort. Ap. Redemptionis Donum, 15.
2    Cf CIC, can. 577-578; 677, § 1.
3     M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Libro delle Usanze per la Congregazione dei FAM, par. 1, cap. 1.
4    Verbali delle riunioni comunitarie dei FAM di Collevalenza, 5.11.1954
5    Cf Costituzioni della Congregazione dei FAM / 1999, art. 17.
6    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Libro delle Usanze..., par. 1, cap. 1.
7    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Costituzioni per la Congregazione dei FAM / 1954, art. 2.
8    Costituzioni… / 1999, art. 18.
9    P. ARSENIO AMBROGI, fam, Promemoria, Agosto 1988.
10    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Lettera al Card. Giuseppe Pizzardo, 24.9.1961.
11    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Lettere al Card. Giuseppe Pizzardo e a Mons. Norberto Perini, 24.9.1961.
12    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Testamento spirituale.
13    Cf Costituzioni… / 1999, art. 1-7.
14    Costituzioni… / 1999, art. 18.
15    Cf GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Dives in Misericordia, 12; 14.
16    GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Dives in Misericordia, 13.
17    CONCILIO ECUM. VATICANO II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 8c.
18    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Libro delle Usanze..., par. 1, cap.1.
19    Verbali..., 5.1.1954.
20    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Libro delle Usanze..., par. 1, cap. 1.
21    Direttorio della Congregazione dei FAM / 1999, art. 7.
22    CONCILIO ECUM. VATICANO II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 18a.
23    Cf CIC, can. 276, § 2.
24    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Costituzioni… / 1954, art. 2.
25    Mt 10,8b; cf anche: Is 55,1; Lc 14,12-24; At 20,35b.
26    Direttorio… / 1999, art. 8; per la citazione riportata, cf Libro delle Usanze…, par. 1, cap. 1.
27    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Libro delle Usanze..., par. 1, cap. 2.
28    Verbali..., 7.1.1955.
29    Verbali..., 7.1.1955.
30    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Libro delle Usanze..., par. 1, cap. 2.
31    Direttorio… / 1999, art. 7.
32    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Libro delle Usanze..., par. 2, cap. 15.
33    Cf CIC, can. 681.
34    Direttorio… / 1999, art. 8; per la citazione riportata, cf Libro delle Usanze…, par. 1, cap 1.
35    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Libro delle Usanze..., par. 1, cap. 2.
36    Verbali..., 20.4.1956.
37    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Libro delle Usanze..., par. 1. cap. 1.
38    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Libro delle Usanze..., par. 1, cap. 1.
39    Verbali..., 27.5.1955.
40    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Libro delle Usanze..., par. 1, cap. 1.
41    CONCILIO ECUM. VATICANO II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 8ab.
42    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Libro delle Usanze..., par. 1, cap. 1.
43    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Costituzioni… / 1954, art. 2.
44    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Libro delle Usanze..., par. 1, cap. 1.
45    CONCILIO ECUM. VATICANO II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 8c.
46    CONCILIO ECUM. VATICANO II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 21b. Per la traduzione normativa di queste istanze conciliari, cf CIC, can. 281, § 1-2; e soprattutto can. 1274.
47    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Costituzioni… / 1954, art. 126.
48    Direttorio… / 1999, art. 7.
49    CONCILIO ECUM. VATICANO II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 8a; cf anche CIC, can. 275, § 1; 680.
50    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Costituzioni… / 1954, art. 2.
51    Costituzioni… / 1999, art. 19.
52    S. PIO X, Esort. Ap. Haerent animo, 32.
53    CONCILIO ECUM. VATICANO II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 8d.
54    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Libro delle Usanze..., par. 1, cap. 1.
55    Verbali..., 6.2.1955.
56    Cf P. ARMANDO MARTIN, fam, Principali atteggiamenti etico-spirituali nei quaderni manoscritti di Madre Esperanza Alhama Valera, pro manuscripto, Roma 1988, pag. 218-225.
57    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Diario autobiografico, 18.12.1927.     
58     M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Diario autobiografico, 24.12.1941.
59     M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Diario autobiografico, 2.4.1942.
60    Verbali..., 29.10.1955; cf anche Verbali…, 21.3.1955.
61    CONCILIO ECUM. VATICANO II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 8c; cf anche CIC, can. 278.
62    Cf CIC, can. 710 ss.; 298 ss.
63    Costituzioni… / 1999, art. 20.
64    CIC, can. 278, § 1.
65    Cf CIC, can. 710 ss.
66    CIC, can. 711.
67    CIC, can. 715, § 1-2. Per il termine “incorporazione” cf ad esempio CIC, can. 723.
68    Statuto per i Sacerdoti Diocesani FAM / 1995, art. 1.
69    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Costituzioni… / 1954, art. 2.
70    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Libro delle Usanze..., par. 1, cap. 4.    
71    Cf CIC, can. 268, § 2.
72    Costituzioni… / 1999, art. 10 (articolo approvato nel 1995 insieme allo Statuto).
73    Statuto... / 1995, art. 1.
74    Statuto... / 1995, art. 20.
75    SCRIS, Elementi essenziali dell’insegnamento della Chiesa sulla Vita Religiosa, 23.
76    Cf SCRIS, Elementi essenziali..., 24; cf CIC, can. 673.
77    Cf CIC, can. 674-676; 713.
78    Cf CIC, can. 574, § 2.
79    Statuto... / 1995, art. 2.
80    Statuto... / 1995, art. 3.
81    Statuto... / 1995, art. 4.
82    Statuto... / 1995, art. 5.
83    Statuto... / 1995, art. 6.
84    Cf CONCILIO ECUM. VATICANO II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 12; CIC, can. 276, § 1-2.
85    CONCILIO ECUM. VATICANO II, Cost. Dogm. Lumen Gentium, 39.
86    Cf CIC, can. 573-575.
87    Cf CONCILIO ECUM. VATICANO II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 15-17; CIC, can. 273; 277; 282.
88    Costituzioni… / 1999, art. 11; cf anche art. 12.
89     M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Costituzioni… / 1954, nota all’art. 126.
90     M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Libro delle Usanze..., par. 1, cap. 1.
91    Statuto… / 1995, art. 18.
92    Statuto… / 1995, art. 19.
93    Statuto… / 1995, art. 21.
94    Statuto… / 1995, art. 22.
95    Statuto… / 1995, art. 23.
96    Cf Statuto… / 1995, art. 17.
97    Statuto… / 1995, art. 7.
98     Statuto... / 1995, art. 8.
99    Cf CIC, can. 280.
100    CONCILIO ECUM. VATICANO II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 8d.
101    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Lettere al Card. Giuseppe Pizzardo e al Vesc. Norberto Perini, 24.9.1961.
102    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Lettera al Vesc. Norberto Perini, 24.9.1961.
103    Statuto... / 1995, art. 25. Per quanto riguarda la costituzione di comunità miste tramite l’invio di Religiosi presso le sedi dei Diocesani FAM, cf Statuto... / 1995, art. 27.
104    Statuto... / 1995, art. 24.
105    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Costituzioni… / 1954, nota all’art. 126.
106    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Lettera al Vesc. Norberto Perini, 24.9.1961.
107    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Libro delle Usanze..., par. 1, cap. 1.
108    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Libro delle Usanze..., par. 1, cap. 4.
109    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Libro delle Usanze..., par. 1, cap. 1.
110    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Lettere al Card. Giuseppe Pizzardo e al Vesc. Norberto Perini, 24.9.1961.
111    Verbali..., 15.5.1955.
112    Statuto... / 1995, art. 9.
113     Cf CIC, can. 680.
114    CONCILIO ECUM. VATICANO II, Cost. Dogm. Lumen Gentium, 28b.
115    CONCILIO ECUM. VATICANO II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 8a.
116    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Costituzioni… / 1954, nota all’art. 126.
117    Circa i limiti formali e sostanziali della normativa approvata dalla Santa Sede, cf capitolo III/16.
118    Statuto... / 1995, art. 30.
119    Costituzioni… / 1999, art. 20.
120    Costituzioni… / 1999, art. 20.
121    M. SPERANZA ALHAMA VALERA, Diario autobiografico, 20.3.1952.
122    Statuto... / 1995, art. 10.


 

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ultimo aggionamento 27 aprile, 2002